+++ MATTIA MOTTA :: Bersani: «Sinistra e sindacato hanno perso il radar con il mondo di sotto» -IL MANIFESTO DEL PRIMO AGOSTO 2020 ++ NOTA DI MATTIA MOTTA SULLA PERTITE E LE MANIFESTAZIONI-

 

 

IL MANIFESTO DEL PRIMO AGOSTO 2020

https://ilmanifesto.it/bersani-sinistra-e-sindacato-hanno-perso-il-radar-con-il-mondo-di-sotto/

 

POLITICA

Bersani: «Sinistra e sindacato hanno perso il radar con il mondo di sotto»

 

Opinioni . Intervista a Pierluigi Bersani, “cittadino illustre” della cittadina emiliana sconvolta dallo scandalo della caserma Levante

 

Pierluigi Bersani Pierluigi Bersani

Mattia Motta   PIACENZA

EDIZIONE DEL  01.08.2020

PUBBLICATO31.7.2020, 23:58

 

“Piacenza? Come diceva Alberto Cavallari: sta talmente nascosta che, se arrivi da Bologna, ti sembra la prima città della Lombardia perché incroci le fabbriche. Se arrivi da Milano, ti sembra la prima città dell’Emilia per i tetti rossi. Periferia di tutti i centri, centro di nulla, diceva”.

Cittadino “illustre” di una città sconvolta da una caserma dei carabinieri sotto sequestro, Pierluigi Bersani ha la testa a Roma e cuore (e famiglia) in questo territorio di confine della Pianura Padana.

 

Nato a Bettola nel 1951, Bersani è laureato in Filosofia con una tesi su Fabrizio De André. Già presidente della Regione Emilia-Romagna (1993-96), Ministro nei governi Prodi e D’Alema con deleghe all’industria e allo sviluppo economico e Segretario del Pd dal 2009 al 2013.

Nel 2017, in rotta con il “renzismo” che ormai aveva scalato la “ditta”, esce e fonda Articolo 1 – Movimento Democratico e Progressista.

 

Partiamo dall’attualità. L’ex presidente del Consiglio comunale di Piacenza, Giuseppe Caruso (FdI), è in carcere al 416bis: per lui c’è una richiesta pena di 15 anni e 10 mesi nell’ambito di un processo sull’infiltrazione della ‘ndrangheta in Emilia. Piacenza non se la passa molto bene, ultimamente…

 

Bisogna ripensare la sociologia. Pensavamo la provincia felice, mentre la grande città è investita dai problemi. Ora il paradigma è cambiato: nella grande e nella piccola città c’è un mondo di sotto, un “sottomondo” su cui non c’è segnale radar. Lo vediamo nelle ipotesi di ‘ndrangheta, lo vediamo nel caso dei carabinieri arrestati.

Nel “sottomondo” probabilmente tutti sapevano la storia dei carabinieri. Paradossalmente, sono le forze dell’ordine che possono approcciare questo “sottomondo”, ma il resto della società va avanti come se non ci fosse. Il problema è serissimo e appartiene a questa fase storica. Su Piacenza, Alberto Cavallari disse: “Periferia di tutti i centri, centro di nulla”. È incrocio di strade: il “sottomondo” sfrutta i canali di comunicazione e Piacenza ne ha parecchi.Dire Brescia, Piacenza, Biella o Codogno è uguale: il fenomeno del “sottomondo” c’è dappertuto.

 

Società e giustizia. C’è un vuoto della politica se ancora una volta è la magistratura a intervenire su certe storture? Secondo lei, da Tangentopoli a oggi, cosa è cambiato nel rapporto tra società civile e politica?

 

Tangentopoli è stato lo spartiacque. Era caduto il muro di Berlino da qualche anno, si festeggiava la libertà, la riunificazione. È lì però che nasce la particolare forma di antipolitica che parte da un indebolimento della partecipazione attiva.Se la politica è credibile, la cittadinanza attiva si mette nella politica. Se la politica è screditata, la cittadinanza prende altre vie. Oggi abbiamo una debolezza della politica e fenomeni nuovi, difficili da incrociare per qualsiasi soggetto sociale. Il livello parossistico di disuguaglianza che si è creato in questo decennio fa sì che la gente finisca anche nel “sottomondo”. Il segnale radar non ce l’ha la politica, ma non ce l’ha il sindacato, la Sinistra, non ce l’hanno le forze dell’ordine e non ce l’ha l’informazione.

 

Quindi il segnale radar che dovrebbe, tra le altre cose, permettere di dare voce agli ultimi si è inceppato. È inevitabile che siano gli ultimi a pagare il prezzo più alto?

 

Questa è la cosa che fa più male. Riunificare questi mondi sarà un problemone del prossimo decennio per la “Sinistra”, se esiste ancora. Qualche segnale lo capta il volontariato, un po’ la chiesa, ma in particolare le forze dell’ordine perché fanno le pratiche dell’immigrazione, girano per i giardini pubblici dimenticati.

 

Per esempio, sui carabinieri. Dal 1814 hanno una tratto distintivo: la presenza sul territorio. Presenza multipla, distribuita, locale, su tutto il territorio.È chiaro che questo porta un tema strutturale: come fai a garantire il controllo della catena di comando in un mondo così articolato? Hai migliaia di stazioni e hai, in proporzione, il minor numero di ufficiali di tutti i corpi di polizia. Non sono un tecnico, ma credo che la nobile Arma deve porsi questo problema, dobbiamo porcelo tutti. Perché una “mela marcia” o una “stazione marcia” può essere catturata dalla logica del “sottomondo” per la voglia di un esercizio di potere. La possibilità di avere potere, in un mondo debole, senza radar, ricattabile, è molto alta. Quando incontro un carabiniere per strada gli faccio dei gran sorrisi: sono rimasti malissimo per le cose di Piacenza. Lo vedi che è una sofferenza anche per loro. Allora ragioniamoci su.

 

La politica si è occupata dell’Arma l’ultima volta con il ministro della Difesa Ignazio La Russa che cambiò da “Regione” a “Legione” il nome dei comandi regionali, con spesa per timbri di qualche milione di euro. Oggi si allarga il fronte che chiede il sindacato nei militari. È il momento di una riforma?

 

Il sindacato, compatibilmente con la funzione, può essere uno dei canali che può aiutare la catena di comando ad avere migliore comprensione della realtà. Il rapporto tra numero dei militari in giro per l’Italia e numero dei “dirigenti” è equilibrato? È chiaro che se tu hai pochi dirigenti e tantissimi dipendenti diffusi il rischio di affidarti alla statistica è nelle cose. La capillarità della catena di comando è importante. La territorialità che l’Arma ha dal 1814 è più importante che mai. È una dote preziosissima che portano alla Repubblica, deve essere tutelata. Il territorio è più importante che mai per l’effetto sociologico secondo cui il “sottomondo” è comunicante ed è dappertutto, anche in un piccolo paese.

 

Che ruolo ha l’informazione nel “mancato controllo”, nel caso dei carabinieri come in altri, secondo lei?

 

Trasparenza verso l’informazione, sì. Aggiungo però che c’è un problema: quella che si chiamerebbe cronaca, con elementi di investigazione dei cronisti, si è persa.

Se si rinuncia a mandare qualcuno, luogo per luogo, a far vedere le cose che veramente interessano alla gente, andiamo male. C’è una sottovalutazione della cronaca che avrà una sua logica per i giornali, ma non la capisco. Se qualcuno avesse potuto dire: “ho capito che c’è la conferenza stampa, ma quell’arresto lì che hai fatto?”. C’è qualcosa che non va.

 

Nelle città i reati diminuiscono, ma la percezione di insicurezza cresce. Come mai la sinistra sembra aver ceduto sul piano culturale alle destre?

 

Ci sono due fatti. Primo: c’è una parte della politica che ha investito sull’insicurezza. La destra non ha fatto altro che investire su questo. Secondo: il fattore sicurezza è un fattore multiplo. Lo pensiamo legato alla delinquenza, qualcuno tenta di agganciarlo all’immigrazione ma l’insicurezza è un elemento psicologico nella vita comune che si è aggravato insieme all’economia negli ultimi anni. Insicurezza è incertezza del futuro. La sinistra fa il suo quando intendo “sicurezza” come sicurezza sociale. È universalismo nelle politiche sociali. È lavoro, sanità, scuola. Nei confronti dei comportamenti devianti tu metti in campo il bastone, sì, ma deve esserci anche la carota dell’universalismo. Bisogna dire: fai per bene, perché se fai per bene c’è qualcosa anche per te. Oggi viviamo fenomeni di disparità geopolitica e sociale. Ci fu l’immigrazione interna: non c’è lavoro e lo vado a cercare. Ora ci sono fattori di pace e guerra, di fame, di disperazione. È più difficile oggi, ma la sinistra che vuole essere tale deve tenere insieme questi temi. Il che vuol dire esser seri, non buonisti.

Guardiamo al futuro delle città come Piacenza. Oggi emergono problemi di “lavoro povero” e ambientali, con un’aria irrespirabile. Su cosa puntare per il futuro?La possibilità strutturale di relazioni che ha Piacenza non può diventare una disgrazia: deve diventare una carta da giocare. Ho letto una cosa che dice Colla (Vincenzo, ex segretario nazionale Cgil, ora assessore al lavoro dell’Emilia-Romagna della giunta di Stefano Bonaccini, ndc) che mi pare sacrosanta:

 

Piacenza deve puntare a una logistica che includa una prima lavorazione. Poi abbiamo bisogno di avere i grandi investitori. Faccio l’esempio del comparto energetico, che per Piacenza vuol dire Enel, Agip. I programmi di questi gruppi sono rivolti sempre più ai temi ambientali. Ecco, devono cercare di dare una mano per lo sviluppo sostenibile. Investimenti su innovazione e ricerca. Sul tema ambientale un salto in avanti va fatto: con i soldi che arriveranno per Covid, a Piacenza questa cosa della Pertite (una ex area militare al centro di un referendum, vedi box a lato, per la destinazione ad area verde pubblica, ndc) non si potrebbe risolvere? Si tratta di un investimento per il futuro della città. Dallo Stato, dalla Regione c’è uno sforzo per risarcire Piacenza dal dramma del coronavirus. Ecco: io investirei molto sull’opzione del recupero della ex Pertite.

 

 

 

EX PERTITE, IL PARCO PIACE MA NON C’E’ 

 

Foti al ministro Trenta: «La Difesa dica se l'area ex Pertite va o ...

 

La Pertite è uno stabilimento militare piacentino oggi in disuso in via Emialia Pavese. L’ex polveriera ha un’estensione di 270 mila metri quadrati inglobata nel tessuto urbano a circa 600 metri dalle mura rinascimentali.  Attualmente in disuso e chiuso al pubblico. Lo stabilimento è tristemente famoso poiché l’8 agosto 1940 fu teatro di violentissime esplosioni che causarono 47 morti e 500 feriti. Una delibera comunale del 2009 aprì di fatto la strada alla conversione dell’area militare ad area edificabile. Poco dopo il maggio 2009 ( il 21 maggio 2009 ) nacque un comitato di cittadini che promuove l’idea di trasformare l’ex polveriera in un parco. Vennero raccolte 12 mila firme, tra le quali quelle dell’attivista indiana Vandana Shiva, Eugenio Finardi, Franco Battiato e la campionessa del mondo del ciclismo Giorgia Bronzini. Nonostante le diverse iniziative, tra cui spicca ” l’abbraccio ” del 5 giugno 2010 in cui ottomila persone circondarono l’area tenendosi per mano, il futuro dell’area militare rimane ad oggi incerto.

Mattia Motta

( stesso link dell’intervista )

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