Longobardi è un comune di 2.299 abitanti della provincia di Cosenza.
LONGOBARDI MARINA
LONGOBARDI IN PROVINCIA DI COSENZA, CENTRO STORICO
Il comune di Longobardi si estende tra il mare e la montagna, il centro storico è situato a circa 300 metri sul livello del mare e sovrastato dai 1541 metri del Monte Cocuzzo, la massima cima della Catena Costiera calabrese, conosciuto anche per la notevole pineta. Fra le numerose frazioni, meritano una citazione la popolosa Marina, la Taureana con l’omonima chiesa, e Tarifi, probabile insediamento arabo che segna il confine col territorio del comune di Belmonte Calabro.
MONTE COCUZZO
IL PANORAMA DA QUESTA PASSEGGIATA
MONTE COCUZZO
I TETTI DI LONGOBARDI
CHIESA DI SANT’ANTONIO
Il toponimo “Longobardi” deriva dal fatto che nella zona c’era il confine tra il Ducato di Benevento e i possedimenti bizantini della Calabria meridionale, e il paesino venne fondato a quanto si dice dal re longobardo Liutprando. Poco più a valle di Longobardi, sul mare, verso Belmonte, esiste una località denominata Tarifi: lì forse vi era, a quanto farebbe pensare il toponimo, una dogana di confine.
L’abitato passò alterne vicende nel Regno di Napoli, per poi divenire un Comune del regno d’Italia dal 1861 e passare alla Repubblica nel 1946.
Dallo studio etimologico di vocaboli e toponimi longobardesi, e da altri fatti, si desume che il paese sia stato fondato da profughi da Thourioi nel 204 a.C., minacciata e poi distrutta da Annibale.
Chiesa della Tauriana


Chiesa della Madonna dell’Assunta

Palazzo Coscarella
Palazzo Pagnotta


Androne del palazzo Pellegrini
La rupe
Chiesetta di San Nicola Saggio
Vittorio martire – Opera propria
REPUBBLICA.IT — 5 SETTEMBRE 2019
Il piccolo borgo calabrese salvato da una melanzana
Eugenio Furia
A Longobardi, in provincia di Cosenza, tutto è slow: dalle vacanze alla cottura (lentissima) di una frittata senza uova. Mentre la “violetta” DeCo rafforza il turismo gastronomico.
Mezzo secolo dopo Woodstock e lo sbarco sulla luna, in questa estate 2019 c’è stato un borgo calabrese che ha celebrato un anniversario ben più importante, nel suo piccolo: i 150 anni di un’antica bottega di paese poi divenuta manifattura, locanda, bar dello sport e oggi bistrot meta di gastro-turisti da tutta la regione e oltre. Ma per partire da quest’angolo di Calabria insolita tocca fare un balzo indietro ancora più lungo, arrivando a fine VI secolo d.C. Fu allora che un manipolo di hipster di un millennio e mezzo fa conquistò questo costone di Monte Cocuzzo, terrazza naturale sul basso Tirreno cosentino: non che i Longobardi fossero i primi (né sarebbero stati gli ultimi) invasori-conquistatori della regione, ma il toponimo che resiste ancora oggi ci ricorda con forza quel passaggio. Di quei guerrieri barbuti di origine germanica, a parte il nome, a Longobardi resta lo spirito resiliente: nei secoli, in questo fazzoletto di Magna Graecia si sono succeduti bizantini, arabi, saraceni, Angioini e Aragonesi. Mentre le genti si mescolavano sedimentando tradizioni e gusti, con gli anni il borgo di Longobardi si svuotava mentre la marina si sviluppava, dolcemente, con la sua idea di turismo slow lontana dalla cementificazione selvaggia imperante nel resto della costa tirrenica. Da qualche anno, però, il centro storico – memore della tempra di quei combattenti longobardi – sta conducendo la sua, di battaglia, proprio contro lo spopolamento: fa strano dirlo ma è grazie a un’arma insolita come un ortaggio. Di colore viola, anzi violetto. È la melanzana DeCo (denominazione comunale), dolce e compatta, poco acquosa, con pochi semi e dalla buccia liscia e sottile: un unicum che Francesco Saliceti e sua moglie Giovanna Martire stanno rilanciando dal loro avamposto, la Degusteria Magnatum, meno di 20 coperti nel cuore del paese.
Degusteria Magnatum
È un locale storico, datato 1869, oggi gemmato in un doppio ambiente con bar-edicola vecchia maniera, dall’alto soffitto, e ingresso ipogeo con liquori, vini e bollicine tra la Calabria e il mondo. Nella saletta accanto, dove è incastonata la cucina, ossia il regno di Giovanna, ecco i pochi tavoli dove degustare il menu immersi tra le mensolette di bottiglie.
L’estate del 150esimo anniversario della bottega proponeva, tra le altre cose: il “Gammune” di Belmonte (versione locale del culatello) nel pane di fichi; l’insalata di pomodori – anche loro rigorosamente belmontini – e la altrettanto immancabile “millefoglie di patate”, al secolo “frittata d’u scuru” perché cuoce al buio di un coperchio, senza uova, con tempi meridiani (55 minuti da un lato e 8/12 dall’altro), con peperoncino e origano quasi impercettibili. “È la frittata di patate vista da Longobardi”, sorride Francesco rispondendo preventivamente a chi rivendica la paternità della ricetta dalle vicine Fiumefreddo e Falconara Albanese.
Poi si presenta con un “affettato di manzo con tartufo di Calabria e scagliette di pecorino crotonese”; la “parmigiana di melanzana violetta dal cuore di caciocavallo silano Dop”; il “filetto di baccalà con pomodori secchi e olive ammaccate” e, per chiudere in bellezza, la “pastetta” (così le nostre nonne calabresi definivano gli Oro Saiwa) di zuppa inglese.
Nella filosofia di Saliceti trovano posto anche un forno comunitario (o “turnario”) e un orto-giardino in una dimora storica 700esca: i suoi discepoli gourmand aumentano, di recente un incredulo Andy Luotto si è tatuato la melanzana violetta sul braccio, mentre il decano degli chef calabresi Antonio Abbruzzino faceva da testimonial assicurandosi una fornitura per il suo ristorante stellato di Catanzaro.
I ristoratori calabresi fanno rete e propongono piatti a tema, come nella Locanda Toscano di Caterina Malerba a Pizzo .Che un luogo possa rinascere grazie alla potenza taumaturgica di un ortaggio è quasi naturale, se si pensa che il longobardese Nicola Saggio (1650-1709), proclamato santo 5 anni fa da Papa Bergoglio, nel vicino convento di San Francesco di Paola fu cuoco, dispensiere e ortolano e fece del cibo donato ai poveri una delle sue professioni di fede.

molto curioso questo argomento su Longobardi