ALESSANDRO CARRERA ( Lodi, 1954 ), scrittore ::: ” La mente di Calasso ” –ytali. 30 luglio 2021 + Il fatto quotidiano

 

 

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30 luglio 2021

 

https://ytali.com/2021/07/30/la-mente-di-calasso/

 

La mente di Calasso

È stato capace di realizzare ciò che forse non è mai riuscito a nessun editore-bibliofilo: pubblicare solo i libri che avrebbe voluto leggere lui stesso. Niente poteva entrare nel catalogo Adelphi se non occupava uno spazio nella biblioteca mentale del suo editore.

 

 

Alessandro Carrera - University of Houston

 ALESSANDRO CARRERA, (Lodi, 1954) è uno scrittore, saggista, traduttore e cantautore italiano.

una foto di Roberto Calasso giovanissimo e bellissimo

 

Morto Roberto Calasso, l'editore di Adelphi - la Repubblica

foto Repubblica

Roberto Calasso Immagini e Fotos Stock - Alamy

Roberto Calasso (Firenze, 30 maggio 1941 – Milano, 28 luglio 2021) è stato uno scrittore e editore italiano. Saggista e narratore, è stato proprietario e direttore editoriale della casa editrice Adelphi. I suoi libri sono tradotti in 25 lingue e pubblicati in 28 paesi.

Figlio del giurista Francesco Calasso e di Melisenda Codignola, a sua volta figlia del pedagogista Ernesto Codignola, e fratello minore del regista Gian Pietro Calasso, frequenta il liceo classico T. Tasso di Roma. Successivamente si laurea in letteratura inglese con Mario Praz, discutendo una tesi dal titolo I geroglifici di Sir Thomas Browne. Nel 1962, a soli 21 anni, entra a far parte di un piccolo gruppo di persone che, insieme a Roberto Bazlen e Luciano Foà, sta elaborando il programma di una nuova casa editrice.

L’anno dopo nasce Adelphi.

continua :

https://it.wikipedia.org/wiki/Roberto_Calasso

 

 

Se Adelphi l’aveva pubblicato, si poteva leggere. Era questa la legge non scritta che guidava la mano alla ricerca di libri con il fascino del proibito. Sto parlando della generazione degli anni Settanta, quella che mai avrebbe letto un autore considerato, non dico reazionario, ma anche solo conservatore, o comunque non allineato. Ma se l’aveva pubblicato Adelphi non ti dovevi vergognare a leggerlo in presenza dei tuoi compagni. Era, come dire, sdoganato. Potevi concederti il piacere colpevole di costruirti una biblioteca decadente e allo stesso tempo contro quello stesso decadentismo. Sostenevi la scuola di Francoforte, il marxismo scientifico di Althusser, flirtavi con la rivoluzione culturale cinese della quale in realtà non sapevi nulla, ma il vero piacere del tuo sé bibliofilo consisteva nell’accumulare libri su libri con la meravigliosa grafica Adelphi ( ispirata ad Aubrey Beardsley, si poteva essere più decadenti?).

 

1974

 

Era un godimento segreto mettersi a leggere La Cripta dei Cappuccini, nel 1974, quando uscì, dopo aver proclamato nelle piazze e nelle aule universitarie la fine della cultura borghese. Perfino i “dissidenti” del comunismo, come venivano chiamati una volta, erano accettabili se li pubblicava Adelphi.

Non sto parlando di me, ma di storie comuni. Lasciatemi però passare alla prima persona. Lo devo ammettere: non c’è un solo libro pubblicato da Adelphi che non vorrei avere, e non credo di essere il solo a essermi assuefatto alla strana sostanza psicochimica che emana da quelle pagine. Mi piacerebbe potere riordinare la mia biblioteca mettendo in fila tutti gli Adelphi che posseggo, senza curarmi nella differenza di epoca e di disciplina. Con la biblioteca di mia moglie ci sono riuscito, ma lei ne ha “solo” una settantina. Io ne ho di più e sono sparsi fra tre luoghi diversi. Se mai lo potessi fare, riconoscerei semplicemente che esiste un’altra disciplina da accomunare alla letteratura, alle scienze, alla filosofia, alla storia e al saggismo. E quest’altra disciplina è la mente di Roberto Calasso, che è stato capace di realizzare ciò che forse non è mai riuscito a nessun editore-bibliofilo: pubblicare solo i libri che avrebbe voluto leggere lui stesso. Niente poteva entrare nel catalogo Adelphi se non occupava uno spazio nella biblioteca mentale del suo editore. Non erano ammesse divagazioni. O, almeno, non che io ne sia mai venuto a conoscenza. La casa editrice Adelphi era un’estensione della mente del suo editore, e non lo dico per sminuire il lavoro dei suoi collaboratori, che è stato essenziale, ma perché l’impronta del “produttore” era troppo forte.

 

Calasso non si limitava a pubblicare libri; li “produceva” come David O. Selznick produceva Hitchcock o come Norman Granz produceva Ella Fitzgerald. Non aveva importanza se il libro era antico, se veniva da una cultura lontana, se l’autore era noto o sconosciuto ai più. Nel momento in cui un nuovo autore entrava a far parte del catalogo, il tocco Adelphi te lo faceva riconsiderare, lo rimetteva a nuovo. Mi rendo conto che questa lode tocca i limiti del feticismo, e non soltanto il feticismo del libro ma proprio quello del marchio, del brand. Sì, il libro Adelphi è stato anche una moda, perché ogni brand forte prima o poi diventa una moda, una merce ancora più feticizzata.

 

 

Luciano Foà e la nascita dell'Adelphi | Doppiozero

LUCIANO FOA’ (Milano, 2 gennaio 1915 – Milano, 25 gennaio 2005) è stato un editore e traduttore italiano. Nel 1962, con Roberto Bazlen e Roberto Calasso, fondò a Milano la casa editrice Adelphi.

VALE LEGGERE

https://it.wikipedia.org/wiki/Luciano_Fo%C3%A0

 

 

Luigi Pellini: Intellettuali: gente spesso pericolosa

ROBERTO ( BOBI ) BAZLEN

Roberto Bazlen, noto anche come Bobi Bazlen (Trieste, 10 giugno 1902 – Milano, 27 luglio 1965), è stato un critico letterario, traduttore e scrittore italiano.

Studioso in particolare della letteratura tedesca, fu consulente editoriale di varie case editrici italiane, quali Nuove Edizioni Ivrea, Edizioni di Comunità, Bompiani, Astrolabio, Giulio Einaudi e Adelphi.

 

 

 

 

Non credo che questo sviluppo, dall’anno della fondazione nel 1962 a opera di Roberto Bazlen e Luciano Foà fino a quando Roberto Calasso ne prese in mano le redini nel 1971, fosse calcolato. Vi si potrebbe leggere una straordinaria strategia di marketing, capace di rendere accessibile una serie di prodotti altamente sofisticati e, in altre circostanze, di commercializzazione impossibile. Ma una simile strategia deve venire da una sola persona, non da un consiglio di amministrazione, e perché riesca non deve nemmeno essere una strategia; può solo essere una passione.

Ho conosciuto parecchi piccoli editori in vita mia. Tutti, o quasi tutti, in qualche modo si convincevano di essere gli autori dei libri che pubblicavano, anche quando li avevano letti a malapena. Non ho avuto questa impressione lavorando con grandi editori, dove le decisioni, tranne rari casi, non vengono prese da un singolo. Ma nel caso di Calasso, che ho incrociato molto brevemente una volta sola (non a Milano ma a Toronto), non ho mai percepito quella sensazione di precaria onnipotenza che i piccoli editori, anche quando sono bravissimi, sono ansiosi di trasmettere. Il suo progetto non era affatto onnivoro; al contrario, era quello di creare un’orchestra di libri, ogni volume uno strumento convocato a suonare col suo unico timbro, a patto che quel timbro si armonizzasse con il resto dell’insieme. Poteva essere un timbro meraviglioso, ma se non si fondeva con l’ensemble non sarebbe stato scritturato. E doveva anche essere estremo, maestoso, sopra le righe, e pure un po’ sinistro.

Per pubblicare con Adelphi non bastava essere uno scrittore, uno scienziato, un pensatore. Bisognava essere un sintomo. Ma non un sintomo che rimanda immediatamente a una diagnosi, no. Un sintomo, piuttosto, che fa segno a una malattia dell’anima ancora sconosciuta. I libri Adelphi, classici a parte, ma anche su quelli si potrebbe fare un discorso simile, sono una biblioteca di tormenti, cronache di civiltà che crollano, mondi che finiscono, realtà che si dissolvono. Sono sonde gettate nel nichilismo universale, tenute insieme da un’idea di scrittura non come difesa contro le rovine, ma come rovine vere e proprie, ormai tanto imponenti da ergersi a difesa di se stesse. (Parecchi anni fa un mio manoscritto arrivò su una scrivania Adelphi. La editor che lo lesse mi disse poi: “avrei potuto proporlo a Calasso, ma tu non sei né morto, né pazzo, né suicida. Qui c’è troppa joie de vivre”).

Calasso ha potuto riempire le nostre biblioteche perché conosceva il vuoto che si annidava nelle menti dei suoi contemporanei, e ha trovato il modo di colmarlo, o di dare questa incredibile illusione. Non solo lui, certamente no. L’editoria italiana è a suo modo straordinaria, un incredibile formicolare di lavoro e passioni, idee e proposte di altissimo livello in un paese in cui forse (dico forse) si legge più di quello che si crede, ma molto, meno di ciò che si dovrebbe. Le quattromila pagine di saggistica che Calasso ha accumulato nei suoi venti e più libri deve essere misurata insieme a quella di altri grandi saggisti, da Giovanni Macchia a Elèmire Zolla, da Claudio Magris a Umberto Eco, la cui stella filosofica ha sofferto il tramonto della semiotica ma la cui opera saggistica, che non potrebbe essere più diversa da quella degli altri autori che ho nominato, continua a suo modo a brillare. Ma c’è una differenza. Dai grandi saggisti si può imparare molto su loro stessi, se è questo che – nella tradizione di Montaigne – ci vogliono trasmettere, o si può imparare molto di ciò di cui ci vogliono parlare – nella tradizione che vede, almeno nel ‘900, Walter Benjamin come forse il loro più grande esponente. Dai saggi di Eco, Zolla, Macchia, Magris e altri (non voglio dimenticare Nicola Chiaromonte) si può imparare molto, quanto e più che dai migliori trattati accademici, ma Calasso è diverso.

 

 

Roberto Calasso

La rovina di Kasch

Biblioteca Adelphi, 1291983,
1983, 2ª ediz., pp. 495

La leggenda della rovina di Kasch narra di un regno africano dove il re veniva ucciso quando gli astri raggiungevano certe posizioni celesti. In quel regno arrivò un giorno uno straniero di nome Far-li-mas, dalla terra di là dal mare orientale. Raccontava storie inebrianti: i sacerdoti, ascoltandolo, dimenticarono di osservare il cielo. Con l’arrivo di Far-li-mas ebbe inizio la rovina dell’antico ordine di Kasch, fondato sul sacrificio. Ma anche il nuovo ordine, dove l’uccisione rituale del re era abolita, sarebbe andato presto in rovina. Rimasero soltanto le storie di Far-li-mas. In questo libro è la Storia stessa, guidata da un accorto cerimoniere, che torna a volgersi verso quelle storie. Il cerimoniere è qui Talleyrand, il più chiaroveggente e il più famigerato, il più moderno e il più arcaico fra i politici. Dando il braccio al lettore, come già lo aveva dato a tante Dame e a tanti Potenti, egli ci introduce a luoghi, voci, gesti, vicende: la Corte di Versailles e l’India dei Veda, l’abbazia di Port-Royal e i portici libertini del Palais-Royal, Maria Antonietta, Bentham, Goethe, Fénelon, Baudelaire, Marx, Chateaubriand, tre sordidi assassini, un bastardo di Luigi XV, un uomo d’armi che si ritira alla Trappa, Napoleone, Joseph de Maistre, Porfirio, Stirner, Sainte-Beuve e molte altre illustri comparse. Ciascuna di queste figure è connessa a ogni altra – e tutte ci riconducono alla stessa origine: la leggenda della rovina di Kasch, quale fu raccontata, circa settant’anni fa, da un vecchio cammelliere – e qui riaffiora in un arcipelago di storie, avvolte, nutrite, invase e cesellate dal mare del tempo.

Le nozze di Cadmo e Armonia

 Roberto Calasso

Articolo acquistabile con 18App e Carta del Docente

Editore: Adelphi
Collana: Gli Adelphi
Anno edizione: 1991
Formato: Tascabile
In commercio dal: 13 luglio 2004
Pagine: 487 p., Brossura

Come Zeus, sotto forma di toro bianco, rapì la principessa Europa; come Teseo abbandonò Arianna; come Dioniso violò Aura; come Apollo fu servo di Admeto, per amore; come il simulacro di Elena si ritrovò, insieme a quello di Achille, nell’isola di Leukè; come Erigone si impiccò; come Coronis, incinta di Apollo, lo tradì con un mortale; come le Danaidi tagliarono la testa ai loro sposi; come Achille uccise Pentesilea e si congiunse con lei; come Oreste lottò con la follia; come Demetra vagò alla ricerca della figlia Core; come Core guardò Ade e si vide riflessa negli occhi di lui; come Giasone morì, colpito da una trave della nave Argo; come Fedra smaniò invano per Ippolito; come gli Olimpi scesero a Tebe per partecipare alle nozze di Cadmo e Armonia…

 

 

 

 

Forse il suo libro dal quale veramente si impara è La rovina di Kasch, se si è disposti a perdersi nel labirinto delle sue pagine. Ma già con Le nozze di Cadmo e Armonia la questione si fa più problematica.

Se si vuole davvero studiare la mitologia greca, se la si vuole davvero apprendere, sarà da leggere Károly Kerényi, Gli dèi e gli eroi della Grecia. Se si vuole una lettura forte, più poetica che scientifica, ci si può rivolgere a Robert Graves, La dea bianca (pubblicato da Adelphi, peraltro).

Le nozze di Cadmo e Armonia, così come molti dei libri successivi di Calasso, non sono fatti per insegnare qualcosa a qualcuno. Sono fatti per volare.

 

 

Fanciulla meditante con fiore di loto sul palmo, scultura in pietra nera (X-XI secolo d.C.). State Museum, Lucknow.

 

2010, 4ª ediz., pp. 529, 28 ill.

Temi: India, Letteratura italiana

 

Qualcosa di immensamente remoto dall’oggi apparve più di tremila anni fa nell’India del Nord: il Veda, un «sapere» che comprendeva in sé tutto, dai granelli di sabbia sino ai confini dell’universo. Distanza che si avverte nel modo di vivere ogni gesto, ogni parola, ogni impresa. Gli uomini vedici prestavano un’attenzione adamantina alla mente che li reggeva, mai disgiungibile da quell’«ardore» da cui ritenevano si fosse sviluppato il mondo. L’attimo acquistava senso in rapporto a un invisibile traboccante di presenze divine. Fu un esperimento del pensiero così estremo che sarebbe potuto scomparire senza lasciare traccia del suo passaggio nella «terra dove vaga in libertà l’antilope nera» (così veniva definito il luogo della legge). Eppure quel pensiero – groviglio composto da inni enigmatici, atti rituali, storie di dèi e folgorazioni metafisiche – ha l’indubitabile capacità di illuminare con luce radente, diversa da ogni altra, gli eventi elementari che appartengono all’esperienza di chiunque, oggi e dappertutto, a cominciare dal puro fatto di essere coscienti. Così collidendo con molte di quelle che vengono ormai considerate ferme acquisizioni. Questo libro racconta come attraverso i «cento cammini» a cui allude il titolo di un’opera smisurata e capitale del Veda, lo Śatapatha Brāhmaņa, si può raggiungere ciò che sta davanti ai nostri occhi passando attraverso ciò che da noi è più lontano.

 

 

 

Désiré-François Millet, Quadro con donna nuda coricata di Jean-Auguste-Dominique Ingres (1852 ca). Musée Ingres, Montauban. musée ingres, montauban/foto guy roumagnac

 

2008, 5ª ediz.,
pp. 425, 52 ill.

 

Al centro di questo libro si trova un sogno dove l’azione si svolge in un immenso bordello che è anche un museo. È l’unico suo sogno che Baudelaire abbia raccontato. Entrarvi è immediato, uscirne difficile, se non attraversando un reticolo di storie, di rapporti e di risonanze che coinvolgono non solo il sognatore ma ciò che lo circondava. Dove spiccano due pittori di cui Baudelaire scrisse con stupefacente acutezza: Ingres e Delacroix; e altri due che solo attraverso di lui si svelano: Degas e Manet. Secondo Sainte-Beuve, perfido e illuminato, Baudelaire si era costruito un «chiosco bizzarro, assai ornato, assai tormentato, civettuolo e misterioso», che chiamò la Folie Baudelaire («Folie» era il nome settecentesco di certi padiglioni dedicati all’ozio e al piacere), situandolo sulla «punta estrema della Kamčatka romantica». Ma in quel luogo desolato e attraente, in una terra ritenuta dai più inabitabile, non sarebbero mancati i visitatori. Anche i più opposti, da Rimbaud a Proust. Anzi, sarebbe diventato il crocevia inevitabile per ciò che apparve da allora sotto il nome di letteratura. Qui si racconta la storia, discontinua e frastagliata, di come la Folie Baudelaire venne a formarsi e di come altri si avventurassero a esplorare quelle regioni. Una storia fatta di storie che tendono a intrecciarsi – finché il lettore scopre che, per alcuni decenni, la Folie Baudelaire è stata anzitutto la città di Parigi.

 

 

 

 

Volare sulla superficie accidentata della mitologia greca, o indiana nel caso di  Ka e L’ardore; volare sulla Parigi capitale del XIX secolo come nel grande La folie Baudelaire. Volare senza fermarsi, senza l’imperativo di dover prender nota e ritenere. Il volo è spesso magnifico, ma non è fatto per partire da A e giungere a B. Non c’è tesi da dimostrare e non c’è obiettivo da conquistare. Perché, forse, i libri di Calasso non sono scritti veramente per essere letti.

 

 

In copertina: Anonimo fiammingo o tedesco Coppia nuda in un interno (ca 1500), Staatliche Museen Preussicher Kulturbesitz, Berlino

 

 

A lungo gli scrittori hanno parlato degli dèi perché la comunità affidava loro questo compito. Ma poi hanno continuato a scriverne, anche quando la comunità avrebbe ignorato o avversato quegli stessi dèi e il divino da cui promanano. Chi erano quelle figure? Perché i loro nomi affioravano sempre, imperiosamente o allusivamente? Innanzitutto gli dèi della Grecia, che sin dalla Firenze quattrocentesca degli Orti Oricellari – dove poeti, pensatori e pittori quali Botticelli, Poliziano o Marsilio Ficino si proponevano di tornare a celebrare i misteri pagani – attraversano per secoli, come onde possenti e capricciose, la vita mentale dell’Europa, depositandosi in statue, quadri, versi. E in seguito, a partire dai primi anni del Romanticismo tedesco, dèi provenienti da ogni spicchio dell’orizzonte, e in particolare dall’Oriente. Dèi dai nomi oscuri, ma ancora una volta paurosi e ammalianti. Le loro figure si mescolano ora a un rivolgimento delle forme, a una fuga della letteratura dal maestoso edificio della retorica, che a lungo l’aveva ospitata, verso una terra che non è descritta sulle mappe ma dove – da Hölderlin e Novalis a Mallarmé, a Proust e sino a oggi – siamo ormai abituati a ritrovare la letteratura stessa nella sua metamorfosi più azzardata ed essenziale, insofferente di ogni servitù verso la società e portatrice di un sapere irriducibile a ogni altro, che qui viene delineato sotto il nome di letteratura assoluta. Questo volume raccoglie le otto Weidenfeld Lectures che l’autore ha tenuto all’Università di Oxford nel maggio 2000.

 

 

 

 

 

In  La letteratura e gli dèi, Calasso elabora una certa qual nozione di letteratura assoluta. Ma il termine “letteratura” rimanda all’idea che qualcosa venga scritto perché sia letto, come una lettera. E se i libri di Calasso fossero invece scritti per essere scritti, per il piacere della scrittura assoluta, per omaggio “all’insensato gioco di scrivere”, come lo chiamava Blanchot? Soltanto se li leggiamo da intrusi nella mente del loro autore, più che da lettori, li possiamo veramente godere. Non intendono trasmettere, spiegare o insegnare una cultura. Intendono sostituirla, creare non un corpus di opere letterarie o erudite bensì una mente esterna a quella del suo creatore e allo stesso tempo inscindibile da lui, come una external drive ( ” una guida esterna ” ) che puoi staccare dal tuo computer ma contiene le stesse informazioni che vi hai copiato per comodità.

Calasso ha lasciato, da questo punto di vista, un’eredità inquietante, un modello di trasmissione della cultura che non trasmette veramente nulla, nel senso che rifiuta quel passaggio da emittente a ricevente che è il cuore del sistema dell’informazione e la ragion d’essere della sua efficacia, nel bene come nel male. I libri di Calasso dicono moltissime cose, ma non informano; a questa imposizione si rifiutano. Non propongono una teoria, un’immagine del mondo, e certamente non un programma di studio, bensì l’accesso a una mente. E in questo il loro autore ha colto il suo tempo, perché cos’è che vogliamo veramente? La cultura, o una cultura acquisita per procura? Il sapere, o solo l’accesso al sapere? (“Sono entrato nella mente di Calasso, e ho pure tutti gli Adelphi. Sono una persona colta?”) Questa è la soglia che Calasso ha aperto per noi, che dobbiamo decidere se passarla o se restare ostinatamente da questa parte, ad aspettare non si sa bene che cosa.

 

 

 

IL FATTO QUOTIDIANO DEL 29 LUGLIO 2021

https://www.ilfattoquotidiano.it/2021/07/29/roberto-calasso-morto-lo-scrittore-e-direttore-editoriale-di-aldephi/6277147/

 

 

Roberto Calasso, morto lo scrittore e direttore editoriale di Aldephi

Roberto Calasso, morto lo scrittore e direttore editoriale di AldephiMalato da tempo, aveva 80 anni

di Giuseppe Candela | 29 LUGLIO 2021

 

“Le storie non vivono mai solitarie: sono rami di una famiglia, che occorre risalire all’indietro e in avanti“. Il mondo della cultura piange la scomparsa di Roberto Calasso, morto a Milano dopo una lunga malattia a 80 anni. Scrittore, intellettuale raffinato, direttore editoriale della casa editrice Adelphi: scomparso nel giorno dell’uscita dei suoi ultimi titoli “Bobi” e “Memé Scianca”, un memoir su Roberto Bazlen, fondatore con Foà della casa editrice, e un titolo dedicato alla sua infanzia a Firenze.

Nel capoluogo toscano era nato il 30 maggio 1941, figlio del giurista antifascista Francesco Calasso, si era laureato in letteratura inglese e aveva intrapreso la carriera da scrittore e saggista. Libri tradotti in venticinque lingue e pubblicati in ventotto paesi. Un successo internazionale per una figura di spicco della cultura italiana, lettore onnivoro fin da ragazzo (a tredici anni aveva già letto la Recherche) con la passione per l’editoria ereditata dal nonno materno Ernesto Codignola, filosofo e pedagogista fondatore della Nuova Italia, biblioteca in cui si procurava le sue prime letture.

 

Le donne non dovrebbero leggere… né tantomeno scrivere”: Fleur Jaeggy | YouPopCorn

La Locanda dei Libri: "Le statue d'acqua" di Fleur Jaeggy

Fleur Calasso Jaeggy (Zurigo, 31 luglio 1940) è una scrittrice svizzera di madrelingua italiana. Dopo essersi formata in Svizzera, negli anni sessanta si trasferisce a Roma, dove diventa intima amica della scrittrice austriaca Ingeborg Bachmann e conosce alcuni tra i maggiori scrittori dell’epoca, come Thomas Bernhard.

Dal 1968 vive a Milano, ed inizia la sua collaborazione con la casa editrice Adelphi. Il successo arriva con I beati anni del castigo, premio Bagutta 1990. All’attività di narratrice affianca quella di traduttrice e saggista. Traduce Marcel Schwob, Thomas de Quincey, Robert Schumann e scrive su John Keats e Robert Walser. I suoi romanzi sono tradotti in diciotto lingue.

Ha scritto inoltre per il teatro Un tram che si chiama Tallulah, presentato nel 1975 al Festival dei Due Mondi di Spoleto (per la regia di Giorgio Marini) e nel 1984 a Lugano al Teatro La Maschera, per la regia di Alberto Canetta.

Proleterka è stato scelto libro dell’anno nel 2003 dal Times Literary Supplement.

Nel 2014 pubblica il suo nuovo libro, Sono il fratello di XX, con il quale ha vinto nel 2015 il Premio letterario internazionale Giuseppe Tomasi di Lampedusa.

La scrittrice ha collaborato, nel corso degli anni, più volte con Franco Battiato alla stesura di alcuni testi, usando spesso lo pseudonimo di Carlotta Wieck.


Fleur Jaeggy è stata sposata dal 2005 al 2021 con il defunto scrittore ed editore Roberto Calasso, proprietario di Adelphi, casa editrice che da sempre pubblica in Italia le sue opere, e suo compagno di vita da moltissimi anni.

 

continua nel link:

https://it.wikipedia.org/wiki/Fleur_Jaeggy

 

Anna Katharina Fröhlich – La bibliotecaria de Miskatonic

Frankfurt am Main, DEU, 11.10.2018: Ritratto Anna Katharina Froehlich (Germania), nata nel 1971, è una scrittrice e un . Vive al Lago di Garda, Italia Foto stock - Alamy

Anna Katharina Fröhlich (12 novembre 1971 (età 49 anni), Bad Hersfeld, Germania, è una scrittrice

 

Sposato con la scrittrice svizzera Fleur Jaeggy, dall’amore con la scrittrice tedesca Anna Katharina Fröhlich la nascita dei due figli Josephine e Tancredi. La storia di successo nell’editoria, un nome che lascia una fondamentale impronta sulla cultura italiana. Con Roberto Balzen, detto Bobi, e Luciano Foà nel 1962 elabora l’idea di una nuova casa editrice, l’anno dopo nasce Adelphi di cui diventa direttore editoriale nel 1971 e consigliere delegato nel 1990, nove anni dopo riveste anche la carica di presidente.

Traduce diverse opere: da “Ecce homo” di Nietzsche (1969) a “Aforismi di Zürau” di Franz Kafka (2004). Dagli anni ottanta si dedica alla stesura di un’Opera non organica in più volumi in cui affiorano miti e filosofia, ecco allora “La rovina di Kasch” (1983), “Le nozze di Cadmo e Armonia” (1988), “Ka” (1996), “K.” (2002), “Il rosa Tiepolo” (2006). “La Folie Baudelaire” (2008), “L’ardore” (2010), “Il Cacciatore Celeste” (2016), “L’innominabile attuale” (2017).

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