+++ FRANCESCA MARINO, LIMES ONLINE DEL 6 LUGLIO 2021 :: Il Pakistan vuole scrivere il copione per l’Afghanistan del futuro. A quattro mani con la Cina –leggere fa fare delle scoperte—

 

 

LIMES ONLINE DEL 6 LUGLIO 2021

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Il Pakistan vuole scrivere il copione per l’Afghanistan del futuro. A quattro mani con la Cina

Carta di Laura Canali, 2009.

Carta di Laura Canali – 2009

 

 6/07/2021

 

RUBRICA DESH Per motivi diversi, Islamabad e Pechino hanno bisogno di controllare Kabul. Ben vengano dunque taliban e altri gruppi jihadisti addestrati dall’Isi, purché siano pronti all’occorrenza a scontrarsi tra loro.

 

di Francesca Marino

AFGHANISTAN, PAKISTAN, TALIBAN

La fine è nota. E affonda le sue radici nella famosa (o famigerata) ‘ricetta Musharraf’, che per anni ha elevato all’ennesima potenza l’intramontabile strategia del cerchio e della botte.

 

La ricetta parte da un paio di insostituibili ingredienti baseil Pakistan ha sofferto più di chiunque immolandosi in nome della lotta al terrorismo, dunque ha più di chiunque interesse a vedere un governo stabile a Kabul; il Pakistan ha scontato il sostegno dato alla coalizione Nato ritrovandosi poi in casa i terroristi.

 

Negli anni ci sono stati un paio di aggiustamenti: il Pakistan supporta un processo di pace di marchio afghano.

«In passato abbiamo fatto lo sbaglio di scegliere tra fazioni, ma adesso siamo pronti a lavorare con qualunque governo legittimamente eletto dal popolo afghano», afferma il primo ministro Imran Khan, il cui Verbo è stato affidato sotto forma di editoriale nientepopodimeno che al Washington Post.

 

Al netto dei pettegolezzi di corridoio secondo cui Khan distingue a stento la mazza da cricket da una penna (in passato ha dichiarato che “l’Africa è una nazione” e che “Germania e Giappone sono confinanti”), l’editoriale parrebbe opera dello spregiudicato Moeed Yusuf – detentore di passaporto statunitense e direttore dei South Asia programs dello US Institute of Peace – che ricopre al momento la carica di consigliere per la sicurezza nazionale di Islamabad.

 

Stupisce l’assoluta ingenuità (o assoluta malafede) degli attori occidentali coinvolti nel ‘processo di pace’. Mentre a Doha e in altre sedi si discuteva di ‘pace’, in Pakistan i taliban afghani – ospitati e facilitati dall’esercito di Islamabad – raccoglievano donazioni ‘volontarie’ sia nel Khyber Pakhtunkhwa (Kpk, provincia a nord-ovest) sia in Balochistan. Chi si rifiutava di ‘donare’ veniva ammazzato senza pietà. Secondo testimonianze di gente del posto, membri della Jaish-e-Mohammed (JeM) sponsorizzati dall’esercito raccoglievano donazioni e reclute per la guerra di liberazione in Afghanistan.

 

A quanto pare, il famoso campo di Balakot – così come altri campi di addestramento della JeM in Pakistan – aveva il compito di fornire reclute ai taliban afghani. Così come di provvedere attentatori suicidi sia alla rete Haqqani che ad altri gruppi. Secondo alcune fonti i taliban raccolgono fondi in maniera organizzata anche nelle province del Punjab e del Sindh. Pare inoltre che la JeM abbia una base a Quetta come base per le operazioni afghane, svolte in gran parte a Ghazi via Chaman. In Afghanistan ha stabilito basi a Kandahar e nel nord della provincia di Helmand. E i quadri della JeM sono attualmente attivi nelle aree di Ghazni (Logar, Nawa), Geelan, Helmand (Sangin, Marja) e Nangarhar (Kot, Momandara) dell’Afghanistan.

Carta di Laura Canali - 2007Carta di Laura Canali – 2007

 

In Kpk (una delle quattro province del Pakistan ) , sotto l’egida dell’Isi (intelligence militare pachistana) è nato un nuovo gruppo: i Taliban-Khattak.

Esso è addestrato da membri della JeM, dagli Haqqani e dagli stessi taliban per essere inviato in Afghanistan contro le truppe governative. Queste frange sono destinate non solo a combattere le truppe regolari, ma in caso di necessità anche altri gruppi jihadisti, come i taliban ‘regolari’ che trattavano in Qatar. Quelli che, secondo l’inviato speciale Zalmay Khalilzad che ha diretto i colloqui, «sostengono il processo di pace» a differenza dell’Isis-K che lo osteggia.

 

Secondo Antonio Giustozzi, nel 2017 Isis Levante (Isis-K) si è diviso in due fazioni: una guidata da Ustad Moawya e un’altra guidata da Aslam Faroqqi. Secondo lo stesso Giustozzi, uno dei motivi della scissione era la convinzione che Faroqqi e i suoi uomini fossero principalmente pakistani e gestiti direttamente dall’Isi mediante sostegno finanziario e rifugio nelle aree tribali del Pakistan.

 

Faroqqi è piuttosto noto alle agenzie di intelligence. Il Dipartimento per la sicurezza nazionale (Nds) dell’Afghanistan sostiene che abbia legami con Lashkar-e-Toiba, Tehrik-e-Taliban Pakistan, i taliban e la rete Haqqani. Quando Faroqqi è stato arrestato dagli afghani dopo un attacco mortale a un gurdwara sikh (luogo di culto e consiglio del sikhismo), Islamabad si è precipitata a chiedere la sua estradizione, accusandolo di presunti complotti contro obiettivi pakistani. Ma il vero scopo era di portarlo al sicuro in Pakistan. Secondo il Nds, l’Isis-K è un marchio creato dai servizi di Islamabad. Svolge tutti quei compiti che i taliban non possono più svolgere apertamente a causa dei colloqui di pace, ma che sono essenziali perché Islamabad mantenga il controllo della regione. Oltre che per delegittimare il governo afghano, con l’obiettivo di installare un esecutivo gradito a Islamabad: né filoindiano né filoamericano.

 

Un governo – secondo Imran Khan ( primo ministro del Pakistan ) – «legittimamente eletto» dal popolo afghano, ma controllato con i mitra dai taliban vincitori.

D’altra parte, le immagini di quelle che l’analista Bill Roggio ha definito ironicamente “campi di addestramento alla pace” fanno da mesi il giro del web. Così come le dichiarazioni del portavoce dei taliban Zabiullah Mujahid, che ha definito i soldati e la polizia del governo di Kabul «un branco di criminali e mercenari» che verranno giustiziati finché «non si pentiranno e accetteranno l’Emirato Islamico».

 

La condizione principale (praticamente l’unica) richiesta per il ritiro delle truppe statunitensi dall’Afghanistan era che i talebani tagliassero i legami con al-Qa’ida e assicurassero che l’altopiano non fosse più usato per tramare attacchi internazionali. Tutti i rapporti internazionali, tutti gli analisti, la gente comune e gli inviati dell’Onu concordano su un punto: i taliban non hanno intenzione di porre fine alla loro alleanza con al-Qa’ida o con qualsiasi altro gruppo jihadista. Parola di Edmund Fitton-Brown, coordinatore della squadra di monitoraggio delle Nazioni Unite, che ha dichiarato in un’intervista alla BBC: «I taliban parlano regolarmente e ad alto livello con al-Qa’ida e dichiarano che onoreranno sempre i loro legami storici».

 

Islamabad non ha intenzione di cambiare la propria strategia imperniatasull’organizzazione di gruppi jihadisti addestrati dai medesimi maestri, ma pronti all’occorrenza a scontrarsi tra loro. Terroristi “buoni” pronti a diventare “cattivi” e a essere ufficialmente abbandonati quando la pressione è troppo alta; gente mandata a morire in nome del denaro o della religione. Dei dotti distinguo fatti in occidente su religione, fratellanza o ideologia, ai burattinai pachistani importa veramente poco. È solo oppio per disperati.

 

A scrivere a quattro mani il copione per jihadi assortiti è, assieme al Pachistan, la Cina.

Che ha praticamente colonizzato il Pakistan, per due motivi principali: i generali sognano la profondità strategica e Pechino ha in mente le nuove vie della seta. In entrambi i casi l’Afghanistan è di vitale importanza. Soprattutto è fondamentale che né gli indiani né gli americani guadagnino un controllo, sia pur remoto, su Kabul.

 

Non è un segreto per nessuno che da anni la Cina parli direttamente con i taliban, facendo accordi per il prossimo futuro.

Pechino – uno dei maggiori investitori stranieri in Afghanistan– cerca di controllare il governo di Kabul per due ragioni principali: primo, il paese è strategicamente significativo per la rotta di trasporto e per le potenziali fonti di energia; secondo, teme che l’instabilità politica possa rafforzare le istanze del Turkestan orientale rappresentate dal separatismo musulmano uiguro nello Xinjiang.

 

Carta di Laura Canali, 2017.Carta di Laura Canali, 2017.

 

Pechino fa da tempo accordi con Islamabad, affinché i vari gruppi creati e gestiti dall’Isi non forniscano aiuto, addestramento o sostegno (nemmeno morale) ai fratelli che lottano contro la pulizia etnica e religiosa degli uiguri. Non solo: è in corso da un po’ di tempo in Pakistan una profilazione etnica e un controllo capillare degli uiguri residenti nella patria creata da Jinnah per tutti i musulmani del mondo. Gli sgherri di Pechino interrogano, assieme ai servizi segreti locali, i dissidenti di qualunque etnia prelevati dalla polizia e fatti scomparire.

 

Se le promesse fatte dai taliban agli americani riguardo al-Qa’ida sono prive di significato, le promesse fatte ai cinesi vengono scrupolosamente mantenute. Tra gli americani che mendicano una base militare e i cinesi che fanno piovere denaro nelle tasche di generali e politici, il Pakistan si conferma pedina chiave della scacchiera centrasiatica, dove Islamabad dispone di un’unica arma davvero efficace: i terroristi.

 

Gestire l’internazionale del terrore ha assicurato dividendi negli ultimi vent’anni e continuerà a farlo in futuro. Il resto sono soltanto parole, una cortina fumogena per dare una parvenza di dignità al ritiro delle truppe Nato. Ripiegamento per il quale gli unici afgani consultati sono i membri di organizzazioni terroristiche, visto che al governo di Kabul non è stato concesso di proferire parola.

 

Dopo vent’anni di guerra, l’accordo trovato trasformerà l’Afghanistan (ancora una volta) in un paradiso jihadista controllato dalla lunga mano del Pakistan. La fine è nota ed è esattamente uguale al principio.

 

Carta di Laura Canali, 2017Carta di Laura Canali – 2017

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