+++ Gianfranco Spadaccia, Il Partito Radicale. Sessanta anni di lotte tra memoria e storia, Sellerio, 2021 + Nicola Mirenzi, Intervista a Gianfranco Spadaccia, L’energia politica inesauribile dei radicali -HUFFINGTON POST, 25 DICEMBRE 2021

 

 

 

Il Partito Radicale. Sessanta anni di lotte tra memoria e storia

 

Gianfranco Spadaccia

Il Partito Radicale. Sessanta anni di lotte tra memoria e storia

La prima storia completa del Partito Radicale. Con enorme ricchezza di documentazione e testimonianze, ricostruisce e interpreta la presenza dell’Alternativa radicale nella vita italiana.

 

La storia del partito dei radicali comincia nella metà degli anni Cinquanta dalla confluenza di tre elementi: la sinistra liberale del «Mondo» – la famosa rivista di Mario Pannunzio –, i liberalsocialisti e azionisti di Ernesto Rossi e, terza componente, i giovani dell’organizzazione, l’UGI, degli universitari laici repubblicani e di sinistra con Marco Pannella come leader più in vista.

In origine, quindi, il partito in-tende porsi come forza progressista, laica nel senso di libera da ideologie: è l’esigenza della «terza forza», sottovalutata e sottorappresentata all’ombra dei mastodontici partiti tradizionali di massa. Ma se ci riferiamo ai radicali come a quel composto inconfondibile di idee, presenza e stile, la svolta, ovvero l’atto di nascita più autentico si ha negli anni Sessanta quando, al posto delle vecchie logiche da cui ci si separa, si afferma l’intuizione di quella che viene presto intesa come l’Alternativa radicale.

È questa, prima di un obiettivo politico da realizzare, un modo d’essere.
È stata probabilmente la vitalità di questa Alternativa radicale a consentire una coesistenza sorprendente: tra un successo elettorale limitato e il grande successo di opinione, tra la poca influenza di potere e alcuni risultati di portata storica.

Il libro di Gianfranco Spadaccia è la prima storia completa del Partito Radicale. Con enorme ricchezza di documentazione e testimonianze, ricostruisce e interpreta la presenza dell’Alternativa radicale nella vita italiana. Descritta appunto quale presenza nello scenario della vita politica e civile, piuttosto che come una formazione di partito, del Paese. È un resoconto in prima persona, faccia a faccia, poiché Spadaccia è stato tra i fondatori, e protagonista di tutte le vicende accadute. Quindi, rappresenta non soltanto quello che succedeva nella lotta politica, ma anche l’intensità delle passioni che l’hanno sempre accompagnata. E ricordando la drammatica e movimentata vicenda radicale, in un tempo in cui il suo soggetto principale Marco Pannella non c’è più, Gianfranco Spadaccia vuole anche preservare un patrimonio che resta prezioso per opporsi a una politica fondata solo sul potere o peggio sull’intolleranza e sull’odio.

 

 

 

Gianfranco Spadaccia insieme ad Emma Bonino — foto Repubblica

Gianfranco Spadaccia (Roma28 febbraio 1935 – Roma25 settembre 2022), giornalista, è nato a Roma nel 1935; ventenne comincia a frequentare l’ambiente del «Mondo» di Pannunzio e contribuisce alla nascita del nuovo Partito Radicale. Con Marco Pannella diventa uno dei principali leader radicali; più volte segretario del partito, deputato e senatore in tre legislature.

 

sopra da :

https://sellerio.it/it/catalogo/Partito-Radicale-Sessanta-Anni-Lotte-Memoria-Storia/Spadaccia/13609

 

 

RECENSIONE / INTERVISTA ALL’AUTORE ::

L’energia politica inesauribile dei radicali

 

 

(Versione integrale dell’intervista realizzata in collaborazione con “Il Venerdì di Repubblica” e pubblicata il 24 dicembre 2021)

 

All’ingresso di casa sua è appeso il volto di un animale oscuro. “È una maschera rituale africana”, dice. “Me l’ha regalata Marco Pannella qualche giorno prima di morire”. Le antiche tribù la usavano per dialogare con gli spiriti. Ora chissà. Insieme a Pannella, Gianfranco Spadaccia era nella lista dei promotori del Partito Radicale quando aveva appena vent’anni. “Il mio nome”, racconta, “compariva accanto a quello di persone che ammiravo talmente tanto che non riuscivo a distinguere se era più la soddisfazione politica di un evento che attendevo da tempo o l’orgoglio di essere in quell’elenco”. C’erano Mario Pannunzio, Ernesto Rossi, Leo Valiani. Oggi, invece, è suo il nome che ha intorno l’aura della storia. Ottantasei anni, ex segretario e parlamentare radicale, Spadaccia ha scritto da testimone e protagonista un libro splendido: Il Partito radicale (Sellerio), il primo sull’intera storia di questo gruppo di instancabili discepoli del diritto, digiunatori, asceti delle istituzioni: “È sorprendente come ancora oggi, nonostante le divisioni in vari gruppi, la cultura radicale continui a produrre politica: dalla legalizzazione della cannabis al fine vita”.

Scrive che Pannella era andato vicino alla morte già molti anni prima che gli regalasse la maschera che tiene nella sua casa di Monteverde. “Nell’estate del 1959, Marco si tagliò le vene in un albergo della riviera adriatica. Seppi il giorno dopo che aveva tentato il suicidio. In seguito ne ha parlato con altri, mai con me”. Tra la morte tentata e la morte vera, c’è stata la gran parte delle battaglie che hanno combattuto insieme, la più lunga delle quali contro la partitocrazia, alla fine vinta.

Ma ora che i partiti sono così fragili l’Italia sta meglio?

No, affatto.

 

E non se ne sente un po’ responsabile?

Perché dovrei? Noi abbiamo combattuto la degenerazione del regime dei partiti, non la funzione che hanno in un sistema democratico. Dannoso è quando i partiti sono tutt’uno con lo Stato, com’era il partito fascista, di cui la partitocrazia è stata una variante pluralistica: è contro questo sistema che ci siamo schierati.

 

Anti sistema erano anche i primi 5 stelle: qualcosa vi accomuna?

Dal punto di vista politico, non c’è niente di più lontano tra i radicali e i 5 stelle. Dal punto di vista sociale, invece, c’è un’affinità tra la base dei 5 stelle e i radicali. In fondo, i primi 5 stelle erano ambientalisti, volevano l’estensione dei diritti civili, erano anti proibizionisti, come il mondo che rappresentavamo noi.

 

Allora perché non vi siete mai incontrati?

Perché c’è sempre stata una differenza incolmabile sulla concezione della giustizia.

Il giustizialismo.

Sì, ma il giustizialismo non è nato dal nulla. La corruzione in Italia esiste davvero. Il modo in cui è stata combattuta, però, ha peggiorato le cose.

 

Perché?

Perché la corruzione non riguarda solo la politica, permea la vita sociale, i rapporti economici. Si è scelto, invece, di colpire soltanto il livello politico del fenomeno, scagliandosi contro il governo della corruzione, mentre essa si è estesa e rafforzata sempre più capillarmente.

 

Vista oggi, però, Tangentopoli sembrava fatta apposta per darvi ragione.

Per più di vent’anni, abbiamo denunciato il sistema delle spartizioni partitocratiche, da cui la corruzione nasceva. In teoria, Mani Pulite era la certificazione del nostro successo. In pratica, avremmo dovuto rinunciare completamente alle nostre idee del diritto per cavalcare l’inchiesta giudiziaria e uscirne vincitori. Non potevamo farlo. L’abuso della carcerazione preventiva e le pressioni per ottenere le confessioni andavano contro tutto quello in cui credevamo.

 

Questa potrebbe sembrare una spiegazione nobilitante.

Quale sarebbe l’altra?

 

Che anche voi facevate parte del sistema.

Si sbaglia. Quando Craxi disse che non c’era nessuno in parlamento che si poteva alzare e dire che non aveva ricorso a forme di finanziamento irregolare o illegale Pannella prese la parola e spiegò perché noi radicali potevamo dirlo eccome. Mai siamo stati smentiti dai fatti.

 

Eravate voi i puri, non i magistrati?

La purezza non è una categoria politica. I radicali sono una forza minoritaria che ha ragionato però con la logica del governo degli avvenimenti, non con quella dell’opposizione.

 

In questo caso qual è la differenza?

Che a noi non interessava punire. Noi ambivamo a una riforma del sistema e l’indebolimento dei partiti ci sembrò finalmente l’occasione per poterla realizzare. Le cose però andarono diversamente. Anche con gli abusi che conosciamo.

Anche lei è andato in carcere.

Ma il mio arresto è avvenuto anni prima, non c’entra con quella stagione. La mia è stata una scelta politica. Un momento della lotta per l’aborto. Quando arrivai davanti al carcere c’era una marea di giornalisti. Tutti volevano sapere il mio punto di vista. Diverso è finirci dentro contro la propria volontà, con tutta l’opinione pubblica contro, privato della libertà prima di potersi difendere nel giudizio, come avvenne in molti casi durante Mani Pulite con la carcerazione preventiva.

 

Ha ancora da dire qualcosa, oggi, quella storia?

Certo che lo ha. Il giustizialismo rimane un alimento fondamentale della politica italiana. Tanto che il Movimento 5 stelle ne è ancora del tutto subordinato ideologicamente.

 

Anche ora che dialoga con il Pd?

Dialogo non significa solo parlarsi, significa anche scontrarsi quando non si è d’accordo. Sarei cieco se non vedessi le aperture sui diritti civili, ma indubbiamente il giustizialismo è un buco nero dei 5 stelle. Questione che Enrico Letta non affronta mai con decisione.

 

Perché c’è una contiguità culturale?

No. Il partito comunista di Togliatti era il partito più garantista d’Italia. La protezione della legge era fondamentale per tutelare le classi che il Pci rappresentava politicamente. È successivamente che la sinistra si è illusa di poter fare la rivoluzione per via giudiziaria. Una scorciatoia che non le è servita a molto.

 

Perché ha pronunciato così la parola “rivoluzione”: ne diffida?

Abbastanza. Perché ogni rivoluzione tende a distruggere, insieme al male, anche il poco di buono che c’è, anziché proporsi di estenderlo e allargarlo.

 

Oggi nessuno vuole fare la rivoluzione.

Infatti la nuova peste è il populismo: un attacco totale e inedito alla democrazia. Sbagliato sarebbe credere che Salvini, Meloni e Grillo siano simili a Bossi e Berlusconi: sono invece l’espressione finale del vuoto su cui poggia la democrazia incompiuta italiana.

 

Populismo non è diventata un’espressione troppo generica?

Dipende come la si usa. Dal mio punto di vista populisti sono coloro che, quando una crisi di sistema si manifesta, anziché offrire un’alternativa offrono una scorciatoia.

 

Potrebbe dialogare con loro?

Da non violento ho imparato che si può dialogare con tutti. Ciò non significa che gli nasconderei ciò che ne penso.

 

Davvero non ha mai dato un pugno?

Forse quando ero a scuola. In politica, mai. Nemmeno negli anni settanta.

 

E ne ha presi?

Una volta si alzarono i toni con un fascista romano che si chiamava Signorelli. Mi sferrò un pugno in faccia. Aveva al dito un anello sporgente per fare ancora più male quando colpiva. Lo incassai rimanendo immobile. Non se l’aspettava. Si fermò anche lui. Disarmato.

 

Cos’ha imparato del potere?

Che ha bisogno della legge, altrimenti ha la propensione ad eccedere e spingersi oltre.

 

Cosa ha spinto Pannella a tentare il suicidio?

Non l’ho mai capito.

 

È un gesto che contraddice totalmente la sua vitalità.

Già.

Avrà cercato di darsi una spiegazione.

Certo che ci ho provato. Ma ho capito solo che per quanto splendente sia nessun uomo può dirsi al riparo dall’ombra della propria oscurità.

 

HUFFINGTON POST, 25 DICEMBRE 2021
https://www.huffingtonpost.it/entry/lenergia-politica-inesauribile-dei-radicali_it_61c57245e4b0bb04a62f1638/

 

 

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  1. DONATELLA scrive:

    Molto bella questa intervista e, direi, umanamente universale per i temi che tocca.

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