GUSTAVO ZAGREBELSKY, LA LEZIONE, EINAUDI, 2022 + ROBERTO ESPOSITO, Silenzio, comincia la lezione -REPUBBLICA 27 novembre 2022

 

Gustavo Zagrebelsky

La lezione

2022
Gli Struzzi – Nuova Serie
pp. 120
€ 13,00

 

«Una lezione non è un tram che vi porta da un posto all’altro, ma è una passeggiata con gli amici».
Pavel Florenskij

 

Quotidianità e culmine di una via alla conoscenza, la lezione, cosí come la pensa e desidera Gustavo Zagrebelsky, è insieme un tempo e un luogo di amicizia – di filía -, creativo tanto per gli studenti quanto per il professore. «La lezione è una sorta di chiamata a raccolta intorno al sapere». La lezione mette insieme persone diverse e parole diverse: è, anzi, una «casa delle parole», parole con le quali professore e studenti creano il mondo nominandolo. «La scuola e la lezione, che si nutrono necessariamente di parole, hanno di conseguenza questo dovere primario: usarle con tutte le cautele del caso, sapendo che il veleno dell’equivoco è sempre in agguato». Lezione si fa insieme, come una passeggiata fra amici. Amici, però, soprattutto della conoscenza. Se il professore inevitabilmente deve sedurre, deve farlo non verso se stesso, bensí verso la materia che tratta. A lezione c’è «fascino» se c’è «voglia» di partecipare… «con allegria, commozione, paura, turbamento: insomma con l’intelletto e l’emozione». A lezione, nessuno può permettersi di «ripetere» e basta, se si fa sul serio. Né gli studenti né il professore. Tutti, ognuno per la parte che gli compete, devono partecipare al processo della ricerca. La lezione pensa se stessa mentre si sviluppa, con pause, digressioni, interventi di qualche studente, per poi riprendere il filo, il cammino. Per tutto il resto basterà il manuale, quello sí, per forza, fisso e ripetitivo, semplice strumento di supporto, sostituto impossibile della creatività e, di piú, della vivacità della lezione. Come voti ed esami del resto, che, con un simile tipo di lezione, diventano quello che sono da sempre: mero controllo degli «strumenti» di base per addentrarsi nella materia. L’organismo vivente della «classe» è una società in miniatura e cosí «la costruzione di una classe può essere vista come una prefigurazione, una promessa, un’immagine della società che vogliamo costruire, competitiva, discriminatoria, violenta oppure cooperativa, ugualitaria, amichevole». Ciò che in fondo la scuola richiede è di pensarsi in modo utopico, come qualcosa cui si lavora incessantemente ben sapendo che la perfezione è irraggiungibile. Solo allora vale la pena di essere severi. E, quando occorre, eretici.

COMMENTO :

REPUBBLICA DEL  27 NOVEMBRE 2022

Lezione di filosofia in una stampa d'epoca del XIV secolo

Lezione di filosofia in una stampa d’epoca del XIV secolo

 

Silenzio, comincia la lezione: il nuovo libro di Gustavo Zagrebelsky

di Roberto Esposito

“La lezione non è un viaggio su un tram, ma una passeggiata a piedi, perché per chi viaggia è importante camminare e non solo arrivare”. A scrivere queste parole è Pavel Florenskij, il “Leonardo russo”, fucilato nel 1937, perché refrattario a irreggimentarsi nel sistema oppressivo sovietico.Secondo l’antica tradizione peripatetica, e la religiosità mistica, quando si passeggia importante non è solo la destinazione ultima, ma anche l’itinerario che si percorre. Con le sue pause, deviazioni, diramazioni. E con lo sguardo del viaggiatore spostato dai dettagli all’orizzonte profondo che li circonda. Anziché procedere per forza in avanti, su binari fissi, chi passeggia, pur senza perdere di vista l’approdo finale, può saggiare strade diverse, inoltrarsi lungo sentieri laterali, arricchire l’itinerario con incontri imprevedibili.

A riprendere queste considerazioni, articolandole in un quadro di rara suggestione, è Gustavo Zagrebelsky, in un libro agile, appena edito da Einaudi, col titolo La lezione. La lezione non si limita a riempire il tempo che scorre tra i due campanelli dell’inizio e della fine. È un’esperienza di vita, quasi un organismo vivente che, secondo il significato latino di legere e greco di légein, riunisce un gruppo di persone intorno a qualcuno che, parlando, getta luce su qualcosa di opaco. La lezione non è un dialogo o una confessione, né semplicemente una discussione. Non si rivolge a un unico interlocutore, e neanche a tutti, bensì a un gruppo raccolto in quel luogo pubblico, ma circoscritto, che è l’aula.

Anche il termine “aula”, interrogato nella sua provenienza etimologica (aulòs), è qualcosa che eccede lo spazio delimitato da quattro pareti. È – o dovrebbe essere – un luogo in cui le parole risuonano, vibrano, trasmettendo un sapere che non è somma inerte di conoscenze passate, ma apertura di senso sulla contemporaneità. L’insegnamento, quando è tale, oltre ad istruire, istituisce, nel senso che dà vita a qualcosa di nuovo, destinato a sedimentarsi e farsi esperienza vissuta. Ma la lezione, che istituisce, è a sua volta consentita dalla prima tre le istituzioni umane, è cioè dal linguaggio. Zagrebelsky dedica pagine intense alla funzione umanizzante della parola. Oggi nelle aule scorrono immagini sugli schermi o si ascoltano suoni. Ma né le immagini né i suoni possono sostituire le parole. Così come, per esprimersi, anche le sensazioni o le emozioni, devono tradursi in parole. Sono queste che profilano i contorni delle cose, legandole a noi in una rete di significati condivisi.

 

Gustavo Zagrebelsky

Gustavo Zagrebelsky  (San Germano Chisone1º giugno 1943) è un giurista italianogiudice costituzionale dal 1995 al 2004 e presidente della Corte costituzionale nel 2004.

 

Le parole ci aprono un mondo, che altrimenti ci resterebbe ignoto e ostile. In un certo senso siamo noi stessi a crearlo, nominandolo – non, come il Dio cristiano, ritirandosi da esso, ma abitandolo. Certo le parole possono travisare, ingannare, mentire – come spesso hanno fatto e continuano a fare. Basti pensare come i vocaboli “libertà” e “democrazia” vengono inghiottiti da realtà che ne rovesciano il significato. Ma possono anche fissare qualcosa che fino a un certo momento non aveva nome e che tuttavia irrompe nella storia con una potenza distruttiva che va colta nella sua assoluta specificità. Come è accaduto con i termini “genocidio” o, oggi, “femminicidio”.

Insomma la parola può essere una trappola, ma anche una risorsa, senza la quale la nostra vita, da semplice materia vivente, non potrebbe superare la soglia del bíos, farsi forma di vita. La lezione – la scuola – è il luogo di trasmissione, attraverso la parola, di contenuti che non devono limitarsi a riempire un’ignoranza, ma attivare una tensione, stimolare un interesse, fecondare un’esperienza. Attenzione, in nessun modo Zagrebelsky indulge a concezioni “democraticistiche” della scuola. È consapevole dei danni irreparabili provocati, in anni non lontani, dai “voti politici”, dai cedimenti diffusi nei confronti di richieste insensate, dal rovesciamento dei rapporti tra studenti e professori, con i primi che giudicano e valutano i secondi.

Certo, trasformare la scuola e l’università in una sorta di esamificio e gli esami in interrogatori, incapaci di andare aldilà dalla pura quantificazione delle nozioni apprese, stravolge il senso stesso della lezione. Ciò non toglie che, almeno fin quando varranno i titoli di studio, non si può rinunciare a verifiche, prove, controlli. Del resto, senza ostacoli da superare, non è possibile crescere. Ma questo non può significare cedere al linguaggio afono delle circolari ministeriali, alla insensatezza sgrammaticata delle “linee guida”, all’ottusità della macchina burocratica che tratta la scuola come un’azienda. La scuola non può vivere fuori dalla freschezza dei rapporti concreti tra studenti e docenti, senza gli stimoli, i confronti, le sane competizioni che in questi anni di didattica a distanza sono inevitabilmente venuti meno.

Solo questa concretezza, nata dalla condivisione tra i ruoli, che pure devono restare distinti, dei maestri e degli allievi può restituire alla discussione, piuttosto bislacca, che sta nascendo intorno alla nozione di merito, un senso meno legato alle ideologie del momento. Il problema, come emerge da questo libro, è che una scuola che è meglio non definire “di massa”, ma semmai “di tutti”, non deve legittimare stratificazioni sociali, cristallizzare diseguaglianze o addirittura autorizzare esclusioni. Solo a partire da questo presupposto il principio del merito può ritrovare la sua funzione culturale e sociale.

 

 

 

UNA NOTA SU ::

Pavel Aleksandrovič Florenskij

 

Pavel Florenskij e l'amicizia come essenza dell'io - Tempi

 

Pavel Aleksandrovič Florenskij (in russoПа́вел Алекса́ндрович Флоре́нский?Evlach9 gennaio 1882 – Leningrado8 dicembre 1937) è stato un filosofomatematico e presbitero russo.

A partire dal 1991, in seguito all’apertura degli archivi del KGB, l’editoria, la critica e la ricerca hanno riscoperto il suo contributo alla letteratura e alla filosofia contemporanea, evidenziandone la vasta gamma di implicazioni, che si muovono dal campo strettamente teologico alla filosofia della scienza. Irriducibile, difficilmente etichettabile sotto una disciplina e un pensiero sistematico e preconcetto, si deve all’editoria italiana[1] la sua prima traduzione mondiale (La colonna e il fondamento della Verità1974) grazie a Elémire Zolla e Pietro Modesto. Padre del geologo e astronomo Kirill Pavlovič Florenskij, morì fucilato per ordine del regime sovietico l’8 dicembre 1937.

 

La teologia geometrica (ma non euclidea) di Pavel Florenskij

Florenskij nasce presso Yevlax, località nel governatorato di Elizavetpol’ del distretto di Dževanšar, entro i confini dell’attuale Azerbaigian, il 9 (21) gennaio 1882. Nel 1983 la famiglia si trasferisce a Tblisi.
La famiglia Florenskij abiterà a lungo in Georgia, dalla quale il giovane Pavel si allontanerà solo al compimento dei 18 anni, per poi raggiungere l’Università di Mosca, dove frequenterà  l’Università di matematica, seguendo inoltre i seminari di filosofia antica di N.S. Trubeckoj e L.M. Lopatin. Nel 1903 Florenskij stringe una rilevante amicizia con il poeta Andrej Belyj.
Nel 1904 il filosofo russo matura la scelta di iscriversi alla Facoltà Teologica, nei pressi del monastero della Trinità di San Sergio a Sergiev Posad. Nel 1906, contro una condanna a morte, pronuncia in Accademia il sermone Il grido del sangue: gli costerà già tre primi mesi di reclusione, poi commutati in grazia.
Il 25 agosto 1910 sposa Anna Michaijlovna Giacintova, dalla quale nel 1911 avrà il primo figlio. Il 24 aprile 1911 viene solennemente ordinato sacerdote della Chiesa ortodossa.

 

Il filosofo Pavel Florenskij arrestato dalla GPU- foto di anonimo

 

Il 26 febbraio 1933 Florenskij viene condotto agli arresti, condannato a dieci anni di gulag e più tardi trasferito in un campo di prigionia presso le isole Solovki, nel Mar Bianco. Qui, al posto di un antico monastero, era stato eretto il primo campo di detenzione e “rieducazione” comunista.
Il filosofo del simbolo e dello sguardo, della discontinuità e del ritmo, viene inghiottito dal totalitarismo: le autorità comunicano la data ufficiale della sua morte, il 15 dicembre 1943, poi rettificata alla stessa famiglia solo agli albori dei primi anni novanta.
Passando per la caduta definitiva dell’Unione Sovietica, il fascicolo del KGB relativo al suo caso mostrò lo svolgimento della vicenda: Pavel Alksandrovič Florenskij venne fucilato l’8 dicembre 1937, nei pressi di Leningrado, nello stesso anno in cui il fratello Aleksandr veniva arrestato, condannato a cinque anni di lavori forzati per andare a morire nell’ospedale del lager di Berelech l’anno successivo. V
enne fucilato dopo anni di detenzione nel campo delle Solovki, in tempi in cui il numero degli individui sottoposti dal regime a una condizione simile, in luoghi e in modi diversi, raggiungeva la soglia dei due milioni nell’intero territorio dell’Unione Sovietica.  Il rinvenimento nel cuore del bosco di Sandormoch, sessant’anni più tardi, di alcune fosse comuni, potrebbe nascondere e celare per sempre le stesse spoglie di Pavel Florenskij.

«Da quel dicembre del 1937 alla metà degli anni ottanta il nome di Florenskij era stato completamente cancellato, rimosso dalla coscienza pubblica del paese, sebbene sempre gelosamente custodito nella memoria viva di pochi discepoli, amici e familiari. […] Figura davvero geniale della storia del pensiero umano, dietro la sua apparenza sobria e dimessa, sotto le sue tonache ruvide e lise, custodiva una grandezza della quale ancora soltanto in parte possiamo intuire la portata.»
(Natalino Valentini, Sull’orlo del visibile pensare, in P.A. Florenskij, La mistica e l’anima russa, 2006)

 

da:

https://it.wikipedia.org/wiki/Pavel_Aleksandrovi%C4%8D_Florenskij

dove c’è un elenco dei moltissimi testi di questo autore tradotti in italiano 

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