IL POST 27 FEBBRAIO 2018 — 2-27- 2018
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- MARTEDÌ 27 FEBBRAIO 2018 QUESTO ARTICOLO HA PIÙ DI QUATTRO ANNI
La rapina di via Osoppo, 60 anni fa
Storia della «più sensazionale rapina che la cronaca milanese abbia mai registrato», senza sparare un colpo, ma facendo a voce “TA TA TA TA”
Sessant’anni fa, la mattina del 27 febbraio 1958, ci fu una rapina nella zona ovest di Milano, in via Osoppo. Senza sparare un colpo, alcuni uomini assaltarono un furgone portavalori che trasportava più di 500 milioni di lire e scapparono. Al tempo lo stipendio mensile di un operaio era di 50mila lire. Un salumiere disse al Corriere della Sera: «La scena si è svolta con una tale rapidità che la gente è rimasta più stupita che terrorizzata: molto, ma molto più in fretta di quelle rapine che si vedono al cinema». Sempre il Corriere scrisse: «La più sensazionale rapina che la cronaca milanese abbia mai registrato è stata compiuta nella nostra città alle 9.23 di ieri. In via Osoppo, a Porta Magenta. Una banda di “gangsters” con un organico complessivo che viene valutato a non meno di una decina di persone, ha assalito l’autofurgone blindato della Banca Popolare di Milano».
In realtà nella banda c’erano sette persone, e non erano “gangsters”. Erano uomini, quasi tutti di trent’anni o poco più, che fino al giorno prima si erano arrangiati tra truffe, furti, rapine e affari loschi di vario tipo. Erano una piccola parte di quella che è ed era nota come ligera: la malavita di Milano degli anni dopo la guerra. Non si sa da dove arrivi la parola: forse è un riferimento alla leggerezza delle tasche (perché quasi vuote) di rapinati e rapinanti, forse alla leggerezza degli atti, che erano quasi sempre fatti senza armi e senza sangue. La ligera aveva anche il suo gergo: polenta, per esempio, voleva dire oro; i dadi, quelli usati nelle bische, erano detti “borlótt”.
I banditi della ligera arrivavano soprattutto dal Giambellino, dall’Isola, da Lambrate e da Ticinese; da luoghi che erano definiti «coacervi di rovine bombardate, bottiglierie frequentate da malfattori e case d’appuntamenti d’infimo livello ove è bene non recarsi dopo il tramonto».
La ligera era fatta di tanti piccoli gruppi separati e non molto organizzati. In molti casi ne facevano parte ex partigiani che, finita la guerra, non avevano potuto o voluto reinserirsi in altro modo nella società.
Spesso i ligerini erano ben visti da almeno una parte degli abitanti di Milano, anche perché capitava che qualche malvivente della ligera aiutasse o proteggesse gli abitanti del suo quartiere. Della ligera parlano anche le canzoni note come le canzoni della mala: Ma mi…, scritta da Giorgio Strehler e cantata da Ornella Vanoni, racconta con evidente empatia la storia di un ligerino che è stato preso e che, pur di non fare i nomi dei complici, preferisce passare quaranta giorni e quaranta notti a farsi picchiare a San Vittore, il carcere di Milano.
Negli anni Cinquanta alcuni banditi della ligera avevano iniziato a prendersi sempre più libertà: uno di loro girava con l’auto targata 777 (il numero della questura), altri comparivano sorridenti e ottimamente vestiti nelle foto dei loro arresti.
Tra i sette della rapina di via Osoppo c’era un po’ di tutto. Quello che aveva fatto in tempo a fare più cose era stato Ugo Ciappina: aveva 30 anni e aveva fatto parte della “Banda Dovunque”, chiamata così perché faceva rapine dappertutto. Era stato un partigiano comunista, nei GAP, e nel 1945 fu preso e portato a San Vittore dalle SS, ma non confessò nulla. A San Vittore ci tornò a fine anni Quaranta, quando furono arrestati i membri della Banda Dovunque, che si erano travestiti da carabinieri ed erano andati in una banca dicendo di dover fare un controllo.
Gli altri della rapina di via Osoppo erano Luciano De Maria, Arnaldo Gesmundo (che alcuni chiamavano anche “Jess il bandito”), Ferdinando Russo (che tutti chiamavano “Nando il terrone”), Arnaldo Bolognini (anche lui ex partigiano), Eros Castiglioni (che aveva fatto il pugile e si dice facesse una vita molto vivace) ed Enzo Cesaroni, che di lavoro faceva il droghiere. Alcuni avevano famiglia e figli e quasi tutti erano già stati in carcere. Russo aveva 45 anni ed era il più vecchio: anche suo figlio maggiore, che aveva 20 anni, aveva già fatto in tempo a finire in carcere.
Pare che l’idea di rapinare un furgone portavalori, cosa che in Italia ancora non aveva fatto nessuno, fosse venuta a Ciappina a fine anni Quaranta, poco prima di finire in carcere. E che in carcere ne parlò con De Maria. Una volta usciti Ciappina e De Maria misero in piedi la banda. Presero anche un po’ di ispirazione dalla Francia, dove la “banda dei marsigliesi” aveva rapinato un furgone portavalori del Crédit Lyonnais, e dal cinema: nel 1955 era uscito La rapina del secolo, sulla vera storia di una rapina di cinque anni prima a Boston.
I sette uomini studiarono orario e percorso di un furgone portavalori della Banca Popolare di Milano che tre volte a settimana partiva dal centro e portava in periferia soldi e assegni. Decisero che l’avrebbero intercettato all’incrocio tra via Osoppo e via Caccialepori perché era spazioso e con diverse vie di fuga. Avrebbero bloccato il furgone usando un’auto e un camion e poi sarebbero scappati con un’altra auto ancora. Il primo tentativo lo fecero il 27 gennaio ma videro due volanti della polizia e, spaventati, cambiarono idea. Un secondo tentativo andò male perché Russo, che doveva avvistare il portavalori e dare il segnale agli altri, confuse un furgone del latte con il portavalori e diede il segnale al momento sbagliato. Il 27 febbraio fu la volta buona. Scelsero il 27 perché era il giorno noto come “san pagaino”, in cui si ritiravano le buste paga e i portavalori avevano quindi molti soldi da portare in giro.
Non che fosse particolarmente necessario, ma prima della rapina i sette decisero di vestirsi con delle tute blu da operai. Il piano era semplice, quasi banale: Russo doveva avvistare il furgone e fare un cenno a Gesmundo che, guidando una Fiat 1400, doveva mettersi davanti al portavalori e farlo rallentare. A quel punto un camion OM Leoncino doveva tamponare il furgone e bloccarlo. Lì dovevano entrare in gioco gli altri, per immobilizzare le tre persone sul portavalori: l’autista, il commesso della banca e l’agente di sicurezza, che era armato. Poco prima della rapina Ciappina era andato con la moglie da un dentista lì vicino, per crearsi un alibi; Bolognini invece era andato a prendere pane e taleggio, perché aveva fame.
Il furgone portavalori arrivò poco dopo le 9. La Fiat 1400 però finì contro un muro. Vedendo un’auto schiantarsi contro un muro, l’autista del portavalori comunque rallentò. A quel punto l’OM Leoncino guidato da Bolognini speronò il furgone, impedendogli di muoversi. I banditi ruppero un vetro del portavalori con un martello e fecero scendere l’autista, il commesso e la guardia: uno di loro li tenne fermi minacciandoli con un’arma. Gli altri banditi – tutti con passamontagna in testa – presero intanto una decina di cassette dal furgone portavalori e le caricarono su un altro loro furgone. Senza che ce ne fosse alcun bisogno, durante la rapina uno dei banditi fece il suono di un fucile che spara: «TA TA TA TA TA TA».
Le persone presenti in via Osoppo non fecero granché, anche perché la rapina durò giusto un paio di minuti. Una signora buttò dei vasi di fiori contro i banditi, mancandoli. Un’altra disse ai banditi “andate a lavorare”, cosa a cui De Maria rispose: «E secondo lei cosa stiamo facendo?».
Un paio di banditi scappò col furgone su cui c’erano i soldi e gli assegni; gli altri su un’Alfa Romeo, una Giulietta Sprint rubata a Bergamo pochi giorni prima. Ciappina tornò dal dentista: se ne era andato dicendo che doveva uscire a prendere il giornale ed era stato via qualche decina di minuti. Uno dei banditi si tolse la tuta blu da operaio e il passamontagna e restò lì ad aspettare la polizia. È stato scritto che al commissario che lo riconobbe, sapendolo un ligerino, disse qualcosa di questo tipo: «Secondo lei, se avessi appena fatto una rapina, sarei così stupido da restare qui?».
I rapinatori buttarono le tute blu nel fiume Olona, abbandonarono la Giulietta e tutti gli assegni inesigibili e portarono il furgone, con dentro solo contanti e titoli al portatore, in un garage che avevano comprato qualche giorno prima. Tolti i circa 500 milioni di titoli e assegni che i banditi non avevano tenuto, restavano circa 115 milioni in banconote da 5 e 10mila lire. Tolte le spese comuni, se li divisero: 15 milioni a testa. I rapinatori dissero quello che probabilmente si dicono tutti i rapinatori dopo una rapina, e che di certo si dicono i rapinatori nei film: di non dare troppo nell’occhio con i soldi. Due di loro, Gesmundo e De Maria, andarono a Cortina a fare la bella vita dicendo di essere ricchi industriali.
Il 28 febbraio il Corriere della Sera uscì con un articolo a sette colonne sulla rapina. Lo scrisse Franco Di Bella, che allora si occupava di cronaca nera e anni dopo ne sarebbe diventato direttore. Di Bella scrisse anche che la mattina del 27 un uomo con tuta blu aveva comprato in via Osoppo del pane e un etto di taleggio. L’articolo finiva così: «Che la sorte dei più geniali e pericolosi gangster del dopoguerra ambrosiano stia per essere decisa da un etto di formaggio?».
fine prima puntata
Sembrano rapine quasi “affettuose”, dove per fortuna nessuno si fa male.