LILI BRICK — ( 1891-1978 )
Intervista a Lili Brick di Carlo Debenetti- Ed. Riuniti
LILI BRICK NEL 1914
” un affresco del vivacissimo mondo dell’intellighenzia sovietica di quegli anni, nel quale compaiono con le tinte del ricordo e dell’aneddoto personaggi come Pasternak, Ejzenštejn, Jakobson, Rodčenko e tanti altri. ”
EDIZIONI BORDEAUX, 2017
Vladimir Majakovskij–
BLOG DI PAOLO STATUTO:
https://musashop.wordpress.com/?s=majakovski&submit=Cerca
IL MANIFESTO DEL 15 NOVEMBRE 2017
https://ilmanifesto.it/lili-brik-tra-majakovskij-poesia-e-rivoluzione/
Lili Brik, tra Majakovskij poesia e rivoluzione
SCAFFALE. In occasione del centenario della Rivoluzione d’ottobre Bordeaux riedita l’incontro di Benedetti con la «musa». Lucetta Negarville scrive un’accurata prefazione a questa intervista datata 1977
«Intronando l’universo con la possanza della mia voce / cammino – bello, / ventiduenne». Così scriveva Vladimir Majakovskij nel 1915, l’anno dell’incontro con Lilja Brik, il grande amore della sua vita. La conosce nel mese di luglio, insieme al marito Osip Brik, «una data felicissima», annota nella sua autobiografia e a lei dedicherà poemi (La nuvola in calzoni, Di questo, Il flauto di vertebre), poesie (Lilicka, Di tutto), lettere d’amore, disegni.
«La musa dell’avanguardia russa» concesse nel 1977 una lunga intervista al giornalista Carlo Benedetti, per molti anni corrispondente dell’Unità da Mosca. Pubblicata l’anno successivo, quasi in concomitanza con il suicidio di Lili Brik, nella collana «Interventi» degli Editori Riuniti, l’intervista viene ora ripubblicata in occasione del centenario della Rivoluzione di Ottobre (Lili Brik. Con Majakovskij. Intervista di Carlo Benedetti, prefazione di Lucetta Negarville, edizioni Bordeaux). Un’operazione meritevole perché ripropone in tutta la sua concretezza il non facile rapporto fra poesia e rivoluzione, fra quest’ultima e gli intellettuali.
UN TRAVAGLIATO rapporto che sul piano personale culminò in una serie di suicidi, fra cui anche quello di Majakovskij stesso, nel 1930. Il pregio del libro consiste non solo nel ricreare con notevole precisione l’ambiente storico letterario in cui si dispiegò la vulcanica attività del poeta rivoluzionario ma soprattutto nel seguirne l’intensa attività di «ricerche formali»da La nuvola in calzoni a Flauto di vertebre a Di questo nella poesia, a Incatenata dal film e La signorina e il teppista (tratto dal racconto di Edmondo De Amicis La maestrina degli operai) nella cinematografia, fino a La cimice e Mistero buffo nel teatro.
Elsa Triolet nel 1925 – ( Mosca, 11 settembre1896 – Saint-Arnoult-en-Yvelines, 16 giugno1970 )
Sconosciuto
—-
Louis Aragon (Parigi, 3 ottobre1897 – Parigi, 24 dicembre1982) è stato un poeta e scrittorefrancese, tra i fondatori del movimento surrealista e membro dell’Académie Goncourt. Fu inoltre impegnato politicamente, aderendo al Partito Comunista Francese.
Sorella di Elsa Triolet che, emigrata in Francia, divenne scrittrice, vinse un premio Goncourt e sposò Louis Aragon, l’affascinante Lili Brik intrecciò il suo destino con quello di molti rappresentanti dell’arte e della letteratura del 900, i poeti Majakovskij e Chlebnikov, i critici letterari Viktor Šklovskij e Roman Jakobson, la ballerína Maja Pliseckaja, il pittore Fernand Léger, tutti assidui frequentatori della sua casa moscovita.
ALTRETTANTO INTENSA fu la vita sentimentale di questa «femme fatale» che, al primo marito, il critico formalista Osip Brik, cui fu sempre legatissima e con cui condusse insieme a Majakovskij un curioso «ménage à trois», aggiunse l’ufficiale Vitalij Primakov e il biografo di Majakovskij, Vasilij Katanjan, suo compagno fino alla fine dei suoi giorni.
Nell’intervista concessa a Benedetti, Lili Brik riconferma certe simpatie già note di Majakovskij per poeti come Nekrasov e Blok e segnala «una comunanza di sentimenti« che può sembrare stupefacente fra il poeta della rivoluzione e Dostoevskij, bollato dalla critica sovietica come «arcaico e reazionario».
LILI BRICK – https://www.teatrodue.org/i-poeti-sulle-mine/majakosvkij/
Nella conversazione con il giornalista vengono evocati molti momenti drammatici e umani che toccano relazioni pubbliche e private, anzi spesso il pubblico diventa privato e viceversa. Mentre risulta particolarmente illuminante per quel che riguarda i rapporti di Majakovskij con gli esponenti dell’avanguardia russa, l’intervista appare assai contraddittoria nell’ultima parte, quando tratta i motivi del suicidio del poeta che, secondo Brik, sarebbero quasi esclusivamente di natura personale e privata: «Volodja (V. M.) non faceva che parlare di suicidio. Era un’ossessione (…). Lui ripeteva, testardo di non voler conoscere la sua e la mia vecchiaia».
Una versione questa che non tiene conto dei numerosi interventi censori di cui fu oggetto il poeta negli ultimi anni della sua vita con un crescendo spaventoso da parte di burocrati ottusi, come peraltro viene raccontato.
LILI BRIK ha attraversato il Novecento portando con sé le sue contraddizioni. Nel periodo della perestrojka, all’apertura degli archivi in Russia, si avrà infatti la conferma delle voci che giravano già negli anni 20 di una possibile vicinanza dei coniugi Brik alla polizia politica e ci si renderà conto che, come scrisse Majakovskij a proposito del suicidio del poeta Sergej Esenin nel 1925, «in questa vita non è difficile morire. / Vivere è di gran lunga più difficile».
DUE POESIE DI MAJAKOVSKI —
DAL BLOG–
https://www.neldeliriononeromaisola.it/2017/08
Tu
Sei giunta –
risoluta,
al mio ruggito
per la mia statura,
e gettato uno sguardo
hai visto solo un ragazzo.
Hai afferrato,
hai rapito il mio cuore
e semplicemente
hai preso a giocare con esso –
come una bambina con la palla.
E ciascuna –
come vedendo un prodigio –
la dama che restò di stucco
e la vergine fanciulla.
“Amare uno come quello?
Uno così si avventerà!
Deve essere una domatrice.
Deve venire dal serraglio!”
Ma io esulto.
Il giogo –
non c’è!
Stordito dalla gioia,
saltavo,
ballavo come un pellirossa alle nozze,
tanto ero allegro,
tanto ero leggero.
1919
La blusa del bellimbusto
Io mi cucirò neri calzoni
di velluto della mia voce.
Una blusa gialla di due metri di tramonto.
Lungo il Nevskij del mondo e le sue lucide parti,
andrò col passo di un Don Giovanni e di un bellimbusto.
Che la terra gridi, effeminata e tranquilla:
“Tu vai a violentare le verdi primavere!”
Io urlerò al sole, con un ghigno insolente:
“Sul liscio asfalto mi piace grandeggiare!”
Non perché il cielo è blu,
e la terra mi è amante in questo lindore festivo,
io vi dono versi, allegri, come burattini
e pungenti e necessari, come stuzzicadenti!”
Donne che amate la mia carne, e la ragazza
che mi rivolge lo sguardo come a un fratello,
lanciate i vostri sorrisi a me, il poeta, –
io li cucirò come fiori sulla mia blusa di bellimbusto!
1914
SERENA VITALI, IL DEFUNTO ODIAVA I PETTEGOLEZZI, ADELPHI
Il defunto odiava i pettegolezzi
di Serena Vitale (Autore)– allieva di Angelo Maria Ripellino
Adelphi, 2015
Mosca, 14 aprile 1930. Intorno alle undici del mattino i telefoni si mettono a suonare tutti insieme, come indemoniati, diffondendo “l’oceanica notizia” del suicidio di Vladimir Majakovskij: uno sparo al cuore, che immediatamente trasporta il poeta nella costellazione delle giovani leggende. Per alcuni quella fine appare come un segno: è morta l’utopia rivoluzionaria. Ma c’è anche il coro dei filistei: si è ucciso perché aveva la sifilide; perché era oppresso dalle tasse; perché in questo modo i suoi libri andranno a ruba. E ci sono l’imbarazzo e l’irritazione della nomenklatura di fronte a quella “stupida, pusillanime morte”, inconciliabile con la gioia di Stato. Ma che cosa succede davvero quella mattina nella minuscola stanza di una ‘kommunalka’ dove Majakovskij è da poco arrivato in compagnia di una giovane e bellissima attrice, sua amante? Studiando con acribia e passione le testimonianze dei contemporanei, i giornali dell’epoca, i documenti riemersi dagli archivi dopo il 1991 (dai verbali degli interrogatori ai “pettegolezzi” raccolti da informatori della polizia politica), sfatando le varie, pittoresche congetture formulate nel tempo, Serena Vitale ha ricostruito quello che ancora oggi è considerato, in Russia, uno dei grandi misteri – fu davvero suicidio? dell’epoca sovietica. E regala al lettore un romanzo-indagine che è anche un fervido omaggio a Majakovskij, realizzazione del suo estremo desiderio: parlare ai posteri – e “ai secoli, alla storia, al creato” -in versi.
UN’INCHIESTA FILOLOGICA E LETTERARIA DI SERENA VITALE SUL SUICIDIO TEATRALE DEL POETA RUSSO
«Il cadavere» di Majakovskij, riportano i verbali, «indossa una camicia di colore giallastro con una cravatta nera (a farfalla)… Sulla parte sinistra del torace c’è un foro di forma irregolare… La circonferenza del foro presenta segni di bruciatura». Da anni ha dismesso il giallo esuberante cantato nella Blusa del bellimbusto: «Io mi cucirò neri calzoni / del velluto della mia voce. / E una gialla blusa di tre tese di tramonto».
Nei ricordi della sorella Ljudmila, i ragazzi Majakovskij avevano amato il giallo fin dall’infanzia perché simboleggiava l’originaria «Georgia assolata». Non era solo predilezione cromatica, era anche astuzia, accorto scambio di ruolo tra accessori, come rivela un passo autobiografico citato da Angelo Maria Ripellino: «la cosa più cospicua e più bella nell’uomo è la cravatta. Se aumenti la cravatta aumenta anche il furore(…): feci della cravatta una camicia e della camicia una cravatta. Effetto irresistibile».
La chiassosa mise del cubofuturista, magnifico declamatore, cedette il passo col tempo – e con gli incontri – a un giallo meno vibrante, rosato. A indurre il cambiamento fu Lili Brik, conosciuta nel 1915 e subito eletta dedicataria delle sue opere, subito amata, amante. Con il suo arrivo nella vita di Vladimir, «via gli abiti da giullare, solo cravatte e non fusciacche o nastri, tagliare i capelli, curare quegli orribili denti marci… Il guardaroba del poeta si è arricchito di un paltò inglese», così scrive Serena Vitale nel suo recentissimo Il defunto odiava i pettegolezzi (Adelphi «Fabula», pp. 284, euro 19,00), minuziosa indagine documentaria, ricostruzione e racconto – la forza narrativa è tanta, e avvincente – del suicidio di Majakovskij.
I coniugi Brik, Lili e Osip, ebbero ruolo non piccolo nel destino del poeta: a loro deve la pubblicazione dello straordinario, inventivo, freschissimo tetrattico La nuvola in calzoni; da loro riceve e a loro ricambia amore e amicizia in un vincolo singolare quanto saldo, culminato in convivenza nel 1919. A loro deve l’incontro con Veronika Polonskaja organizzato ad arte nel 1929 per guarirlo, «malato d’amore» com’era per Tat’jana Jakoleva. Ma la bellissima Veronika, Nora, sua ultima amante, non seppe avere la pietà o la prontezza per scongiurare il suicidio più volte minacciato e infine compiuto mentre lei stava per lasciare lo studio. La mattina del 14 aprile 1930 Nora per la prima volta aveva prove di scena importanti, voleva arrivare in orario, soprattutto resisteva all’insistenza del poeta che le chiedeva di divorziare per diventare sua moglie. Dopo giorni d’angoscia e di solitudine – i Brik erano in viaggio in Europa – Majakovskij non poté sopportare un rifiuto, e neppure una dilazione di poche ore come Nora proponeva. Il suicidio avvenne nella «stanza-barchetta», come la chiamava il poeta, forse davanti a Nora, forse alle sue spalle. Se l’atto è stato repentino, il celebre commiato, lettera A tutti, era pronto già da due giorni, e non aveva avuto su Nora (troppo calata in Casa di bambola? – finissima Vitale) gli effetti sperati. Testimonianze, congetture e ricostruzioni che hanno impegnato e appassionato gli studiosi di Majakovskij sono ripercorse dalla slavista con la meticolosità che le è propria, e che già le ha permesso, vent’anni fa, il solidissimo e fascinoso Bottone di Puškin (Adelphi).
Il metodo è sempre quello del montaggio: lettere, memorie e resoconti fatti confliggere tra loro, a mostrarne incongruenze, a cercarvi verità. Metodo efficacissimo, sovrano nella più interessante narrazione novecentesca, dal cinema alla letteratura. Incomparabile per esibire evidenze. Nel Defunto odiava i pettegolezzi, agli stralci di corrispondenza, alle deposizioni, alla descrizione degli oggetti conservati nell’Archivio del Politbjuro, Serena Vitale aggiunge altri documenti di prima mano, e fotografie inframezzate ai testi, ritratti del protagonista e dei comprimari, disegni – la piantina della kommunalka, i cuccioli di cane con cui spesso il poeta firmava le lettere, il disegnino di un’automobile (a Parigi comprò un’economica piccola Renault invece della Ford o della Buick desiderata da Lili) –, le istantanee dei funerali gremiti, la locandina di una «cinenovella» russa, il foglio spiegazzato con l’ultimo scritto, lo «schema della conversazione» da tenere con Nora, alcune immagini di pistole (accurata l’indagine sull’arma, sulla confusione tra modelli e matricole, sulla comparsa in dono e sulla rapida scomparsa della Mauser da cui partì il colpo).
E ancora, a conclusione del capitolo «L’eternità di scorta», «dialogo» tra poeti, compaiono le fotografie di due statue, di Puškin e di Majakovskij, che i monumenti detestava – «Me ne frego / dei quintali di bronzo, / me ne frego / del marmoreo muco» –, e che dal 1935, dopo una lettera di Lili a Stalin, finì ingabbiato nella retorica di regime, la sua opera obbligatoria nelle scuole, «vigorosamente sforbiciata, presentata in tendenziose crestomazie». Salvo la piantina dello studio nessuna immagine reca didascalia: l’impaginazione basta a darne il soggetto, sì da rendere il documento visivo filo del tessuto narrativo, non semplice illustrazione esornativa.
Oltre a esprimere la grandezza di Majakovskij – i versi inclusi nel montaggio già da soli sarebbero sufficienti –, il libro di Serena Vitale, ricostruisce epoca e atmosfera, facendo propria la raccomandazione di Marina Cvetaeva citata in epigrafe: «In primo luogo: quando parliamo di un poeta, voglia Dio che ricordiamo sempre il secolo in cui visse. In secondo e opposto luogo: parlando di Majakovskij, dovremo ricordare sempre non soltanto il secolo – ci toccherà sempre ricordare un secolo avanti…».
Del tempo Serena Vitale inquadra le livide ombre dell’OGPU, la perfidia di Gor’kij che lo diceva affetto dalla sifilide, «malattia del capitalismo», il LEF e il REF, la RAPP, Associazione russa degli scrittori proletari, il demoniaco Arbuzov, il doppio Agranov, il controllo della stampa, l’intellettualità moscovita, le ipocrisie, le delazioni incrociate, il «nano sanguinario», le esecuzioni. Del poeta mostra a più riprese l’intelligenza affilata, brillante (arguta finanche nelle agitki, slogan di propaganda politica), e la lungimiranza, le virtù precorritrici, rese ancor più nitide dalla miopia della critica, dalle polemiche e dai lazzi offensivi di chi lo considerava «finito» cui, a meno di una settimana dalla morte, replicava con ferita consapevolezza: «tra quindici, vent’anni, il livello culturale dei lavoratori sarà più alto, e allora le mie opere saranno comprensibili a tutti».
La ricostruzione muove dalla morte, dalla sensibilità privata e dalla figura pubblica di Majakovskij che del suicidio portano il peso, dalla dinamica dei fatti, perché, si legge nel Bottone di Puškin, «la morte dei grandi è valle di echi, magica lente di ingrandimento».
Alla vividezza della narrazione contribuiscono, accanto all’aura e alla problematicità del soggetto, alcune soluzioni stilistiche: d’un espressionismo lucente e crudo è il rapido prelievo del cervello di Majakovskij perché gli scienziati possano studiarlo (chissà in quali circonvoluzioni alberga la Musa…); senza vie di fuga, per le contraddizioni che espone, il montaggio a incastro serrato della deposizione che Nora diede nell’imminenza del suicidio e delle memorie che stese otto anni dopo.
Alla propria voce Serena Vitale riserva spesso commenti tra parentesi, non privi d’ironia screziata d’amaro, e di frequente chiusi da punto esclamativo, che marca paradossi o enormità ed è spia di un approccio diretto, di un pensiero sfuggito ad alta voce, fuori dell’ortodossia accademica. L’operazione alla base del libro è storico-letteraria e nel contempo affabile. L’adesione è a volte schermata da parole altrui – acuta, e tragica, per noi molto persuasiva, la nota di Eizenštejn sul ritmo e sulla sintassi della lettera di commiato, vicini a una canzonetta popolare, una «poesia della malavita odessita» di cui era protagonista un caduto «sul campo di battaglia». Era diventato politicamente ingombrante, Majakovskij, il poeta della rivoluzione, e vulnerabile. Alla vigilia della morte era pieno di furore e di rabbia, e di amore – Serena Vitale insiste su questi nodi –, eppure non lo abbandonava l’autocoscienza: «Conosco la forza delle parole lo scampanare a stormo / un niente sembra / petalo schiacciato dai tacchi delle danze / ma in anima e labbra e scheletro l’uomo».