ANTEPRIMA
28 luglio 2023
L’Associazione per la Verità su Ustica diffida La7 per il film “Il Muro di Gomma”
IN RICORDO DI ANDREA PURGATORI
- L’opera è ispirata all’esperienza di Andrea Purgatori, che ha dedicato diverse opere al caso del disastro aereo, e vede tra gli sceneggiatori lo stesso giornalista che, nel film, compare anche in diversi cameo.
Il muro di gomma è un film italiano del 1991 diretto da Marco Risi. Il film racconta la storia di Rocco Ferrante, giornalista di fantasia del Corriere della Sera, che per dieci anni seguì le indagini sull’incidente aereo di Ustica del 1980 in cui morirono 81 persone. Fu presentato in concorso alla 48ª Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia. La colonna sonora venne composta da Francesco De Gregori.
Trama
27 giugno 1980: la torre di controllo dell’aeroporto di Roma-Ciampino perde il contatto con il volo di linea Itavia IH870 in volo da Bologna a Palermo.
A Roma il giornalista Rocco Ferrante, mentre è nell’appartamento nel quale convive con Anna, riceve una telefonata da un conoscente operatore radar di Ciampino, che gli comunica dell’incidente aereo a Ustica, facendo vago riferimento a un abbattimento.
Alla redazione del Corriere della Sera, tra le direttive impartite ai giornalisti per occuparsi del caso, Rocco viene mandato a Palermo, per incontrare i parenti delle vittime. Qui Rocco fa la conoscenza, all’uscita dell’obitorio dove le salme finora recuperate sono portate per il riconoscimento, di Giannina, rimasta sola con la figlia di otto anni, Silvia, dopo la perdita del marito. Rocco cerca poi, invano, di strappare qualche informazione all’amico che gli aveva parlato per telefono dell’abbattimento dell’aereo e quindi torna a Roma. La redazione prende istruzioni dal direttore, e poi tutti tornano al lavoro sul caso: Rocco assiste attonito alla seduta del parlamento, con solo sedici politici presenti, in cui il Ministro della Difesa promette che sarà fatta luce sulla faccenda. Successivamente Rocco si reca al Palazzo dell’Aeronautica, dove il Generale portavoce sostiene come la probabile causa del disastro sia un cedimento strutturale dell’aereo; questa ipotesi è però seccamente smentita da un portavoce dell’azienda statunitense che vende quei velivoli.
Nella mente di Rocco prende allora corpo un’altra ipotesi: essendo l’aereo esploso in volo, qualcosa deve averlo fatto saltare in aria: una bomba o un missile. L’ipotesi di un ordigno a tempo è scartata perché, essendo il volo partito con due ore di ritardo da Bologna, il timer lo avrebbe fatto esplodere quando era ancora a terra, ma il missile non è da escludere. E poiché il traffico aereo militare nella zona incriminata è perlopiù dell’aviazione statunitense, Rocco si reca all’ambasciata statunitense, che nega un qualsiasi coinvolgimento.
Rocco incontra un giudice che si occupa dell’inchiesta, che segue in Inghilterra per ottenere maggiori informazioni sulle perizie che verranno effettuate. Al suo ritorno in Italia Rocco si accorge di come la sua indagine stia facendo luce in una faccenda che molti, come aveva già capito da alcune confidenze fattegli, volevano tenere riservata e gestita con calma dagli addetti ai lavori: è vittima di telefonate anonime.
Negli studi della compagnia assicurativa che si occupa del risarcimento dei familiari delle vittime dell’incidente c’è anche Giannina, che nell’occasione incontra nuovamente Rocco, con cui parla a lungo, confidandogli la sua situazione di disagio economico a seguito della morte del marito.
Nel 1981 Rocco riceve una lettera contenente un disegno: incontra allora in segreto un esperto che gli dice che quello è il tracciato radar del DC-9 precipitato e che il DC-9 è stato abbattuto perché si è trovato nel posto giusto al momento sbagliato; inoltre lo avverte che il lavoro giornalistico che sta portando avanti sta dando molto fastidio. Rocco decide di approfondire ulteriormente il caso partendo dall’ipotesi che l’aereo sia stato abbattuto per errore, mentre il bersaglio era un altro.
Il giovane giornalista si dedica anima e corpo al caso, trascurando anche la relazione con Anna, che qualche tempo dopo lo lascia per un altro. Poco tempo dopo arriva in redazione l’avvocato Bruno Giordani, incaricato di rappresentare la parte civile nel processo sulla strage di Ustica: Giordani è un uomo onesto in cerca di giustizia e chiede, trovandolo, aiuto a Rocco per approfondire la sua conoscenza della vicenda.
1982: Rocco, che teme di avere il telefono sotto controllo, si reca alla BBC per cercare ulteriore materiale su un’eventuale presenza di aerei vicini al DC-9 il giorno dell’incidente. Grazie a un’amica giornalista ottiene il permesso di visionare e pubblicare in Italia una ricostruzione dell’evento di un esperto americano che aveva lavorato sullo stesso tracciato che fu spedito a Rocco.
1985: un giorno, mentre butta via alcuni vecchi documenti, Rocco scopre da un fascicolo militare che il 18 luglio 1980, data in cui era stato accertato fosse caduto sulla Sila il MiG-23MS con i colori dell’Aeronautica Militare libica, nel Canale di Sicilia era in atto una simulazione aeronavale interalleata di notevoli dimensioni. Con il grande spiegamento di forze militari nella zona è impossibile che il MiG fosse riuscito ad arrivare fino alla Sila senza essere visto. Rocco va allora in Calabria, per raccogliere informazioni: parlando con il medico che aveva effettuato l’autopsia sul cadavere del pilota del Mig scopre che questo aveva ricevuto pressioni per dichiarare che la morte fosse avvenuta a metà luglio, mentre dallo stato di decomposizione essa era individuabile nel periodo dell’incidente di Ustica.
Molte autorità del posto negano versioni diverse da quelle accertate ufficialmente, anche se intervistando abitanti del luogo Rocco trova conferme del fatto che il Mig si fosse schiantato proprio il 27 giugno. Nel 1988 Rocco riceve, prima che sia messa a disposizione delle autorità italiane, la perizia sulla carcassa del DC-9: l’aereo dell’Itavia è stato con ogni probabilità abbattuto da un missile. La notizia viene immediatamente pubblicata.
Estate 1989: interrogato al processo, il maresciallo Luciano Caroli racconta le ultime azioni del DC-9 che aveva seguito grazie alla traccia del radar. Egli afferma di aver visto chiaramente l’aereo cadere, di aver visto ad un certo punto la traccia che cominciava a scadere di qualità, cioè ad essere debole. Immediatamente segnalava lo strano evento al tenente che gli sedeva a fianco[1]. In quel momento il DC9 doveva essere sul mare, e contemporaneamente si metteva in contatto con Punta Raisi e con Fiumicino per avere notizie sull’ora del decollo, per verificare un possibile ritardo. Il maresciallo dichiara inoltre che Punta Raisi rispose che stavano aspettando il DC9 a momenti, e che nel frattempo il tenente cercava di chiamare l’aereo per radio, senza avere risposta.
Nel 1990 vengono interrogati i militari dell’Aeronautica incriminati per aver inquinato e depistato le indagini sulla strage di Ustica. All’uscita dall’aula Rocco segue fino alla macchina l’ammiraglio che lo aveva aggredito verbalmente anni addietro, rinfacciandogli le accuse di essere pagato da qualcuno per alimentare quello scandalo.
- Per evitare problemi legali con il ministero della difesa le uniformi figuravano con stellette a sei punte invece di cinque, come già accaduto per Soldati – 365 all’alba, dello stesso Risi, il cui contenuto era ritenuto poco edificante per le forze armate italiane.
REPUBBLICA 13 SETTEMBRE 1991
UN MISSILE PUNTATO SULL’ AERONAUTICA
GIOVANNI MARIA BELLU ( inviato )
VENEZIA – Un capo di Stato maggiore ambiguo, isterico, cinico e gaudente. Il suo addetto ai rapporti con la stampa che apostrofa un giornalista dicendogli: “Il missile se lo può ficcare nel culo” (e che si sente rispondere: “Per il momento ce l’ ha in culo lei, tutto quanto”).E poi sottufficiali impauriti, obbligati a sostenere una versione inverosimile, qua e là strani personaggi dei servizi segreti. L’ Aeronautica militare esce a pezzi dal film di Marco Risi sul caso Ustica. Molto peggio dei politici e dei magistrati, che pure non vengono trattati con i guanti. E così ieri, poche ore prima della proiezione alla Mostra di Venezia, l’ Arma azzurra ha diffuso un comunicato insolito per le abitudini delle Forze armate, una sorta di “comunicato cautelativo” in cui si dice che, in nessun caso, “confuterà tesi o attacchi che dovessero emergere nel film Il muro di gomma a meno che queste non siano penalmente perseguibili”. Nei prossimi giorni si saprà se la cronaca del film di Risi è anche la cronaca di una querela annunciata.Per il momento si sa che, nella vicenda Ustica, la magistratura ha ritenuto “penalmente perseguibili” una trentina di ufficiali e sottufficiali dell’ Arma azzurra (gli ultimi sei l’ altro giorno) e qualche agente del Sismi. Nessun giornalista, nessun regista è stato incriminato per distruzione di documenti o falsa testimonianza. Ed è probabilmente a partire da questi dati di fatto che Marco Risi ha potuto fare un film-denuncia nel quale ogni riferimento a persone realmente esistenti o a fatti realmente accaduti è assolutamente volontario. E puntualmente descritto, in modo quasi documentaristico. Forse troppo, dirà qualcuno dei critici.Ma il cronista che ha seguito il “caso Ustica” ha un altro compito. Quello di dire a chi vedrà Il muro di gomma – e probabilmente resterà sconcertato per la miseranda figura delle istituzioni dello Stato – che la drammatizzazione cinematografica non ha forzato la realtà dei fatti. Il caso Ustica è stato, ed è ancora, almeno quello che viene raccontato nei 120 minuti del film. Almeno quello, ma in realtà molto di più. I protagonisti della vicenda reale sono riconoscibilissimi. In alcuni casi c’ è somiglianza fisica tra il personaggio drammatico e il personaggio reale, in altri l’ identificazione è agevolata dalla scelta del nome. Il maresciallo radarista che, dieci anni dopo, decide di vuotare il sacco si chiama Luciano Caroli nel film, Luciano Carico nella realtà. Ed è proprio all’ interno di un centro radar militare che comincia la storia: il sottufficiale che osserva il monitor vede scomparire la traccia del Dc9, tenta disperatamente di riallacciare il contatto, non ci riesce. E’ una circostanza decisiva nella vicenda reale: se i militari ebbero una immediata percezione della tragedia, non possono più giustificare il buco nelle registrazioni radar sostenendo che proprio in quei momenti del 27 giugno 1980 fu avviata una esercitazione.
Con questo incipit il film esplicita subito da che parte sta: quella di chi ritiene che la versione ufficiale sul caso Ustica sia irrimediabilmente e definitivamente crollata. E contemporaneamente chiarisce le motivazioni civili che hanno consentito a un gruppo inizialmente sparuto di persone disarmate di andare avanti con ostinazione nella ricerca della verità: mentre vanno i titoli di testa, un funzionario dell’ aeroporto di Palermo legge i nomi delle vittime. Li leggerà tutti: ottantuno persone.
Ecco, è successo questo: che qualcuno ha trovato inaccettabile che la ragion di Stato potesse far dimenticare una strage. La storia del caso Ustica è raccontata attraverso la figura d’ uno di quelli che non si sono mai rassegnati: il giornalista Rocco F. Rocco è nella realtà l’ inviato del Corriere della Sera Andrea Purgatori (che, con Sandro Petraglia e Stefano Rulli, ha realizzato la sceneggiatura del film).
Anche Rocco-Purgatori ha una percezione immediata del fatto che dietro l’ incidente del Dc-9 c’ è qualcosa di più. Ha appena sentito la notizia al telegiornale quando il telefono di casa sua squilla: è un suo vecchio conoscente che lavora in un centro radar. Gli dice che l’ aereo è stato abbattutto da un missile. Qualche giorno dopo si rimangerà tutto, ma Rocco è ormai convinto di aver trovato la pista giusta. Cominciano così gli undici anni di Ustica, con un gruppo di giornalisti che tassello dopo tassello – tra intimidazioni di ogni genere, trappole, depistaggi – tentano di ricostruire la verità.
Dall’ altra parte generali che accreditano, fin dal primo momento, la tesi falsa del “cedimento strutturale”, politici che proclamano ufficialmente che faranno di tutto perché i fatti vengano accertati ma che appaiono quasi intimiditi dai militari, magistrati (riconoscibilissimo il giudice istruttore Bucarelli) che vanno avanti lentamente, troppo lentamente. I politici e i generali sono rappresentati in tutto l’ arco della vicenda dagli stessi protagonisti. C’ è dunque un politico, un ministro della Difesa, che sintetizza i ministri che si sono succeduti negli anni: Lagorio, Spadolini e Zanone.
E c’ è un generale che rappresenta tutti i vertici dell’ Aeronautica, fino al penultimo capo di Stato maggiore, Franco Pisano, che alla fine del film compare – balbettante, spaventato – davanti alla commissione stragi.
E’ invece rappresentato individualmente, ed è riconoscibilissimo, un altro alto ufficiale, l’ ex capo di Stato maggiore della Difesa Mario Porta. Quello che, a proposito del caso Ustica, proclamò davanti al paese il “furore” di tutte le forze armate. Nel film l’ ammiraglio, furente e furioso, riappare dinanzi ai parlamentari della commissione stragi che lo ammoniscono a non scordare la virtù laica del dubbio. Il suggerimento non serve: l’ ammiraglio appare incapace di ammettere la possibilità d’ un sentimento di indignazione civile e insinua che qualche giornalista sia stato corrotto. “Chi ci paga, ammiraglio?”, gli chiedono i cronisti all’ uscita di palazzo San Macuto. L’ alto ufficiale risponde confusamente, tira dritto, esce dalla sede della commissione stragi.
Il giornalista Rocco lo insegue: “Chi ci paga? Chi ci paga?” grida. L’ ammiraglio non risponde, sale sull’ auto blu. Se ne va. O forse fugge. Anche questa scena – che più di tutte potrebbe apparire una forzatura, una drammatizzazione – è accaduta. Il film è certo “di parte”, ma è di quella parte che ha fondato ogni ragionamento sui fatti.
Ed è probabilmente per questo motivo che non propone una sua verità sulla dinamica della tragedia. Si ferma alle certezze acquisite: il Dc-9 fu abbattuto da un missile e si è fatto di tutto per nasconderlo. Quanto alle responsabilità, allo scenario in cui si verificò la tragedia, non dà una risposta. Si limita a dare maggior credito alla cosiddetta “pista libica” secondo la quale il Dc-9 fu abbattuto per errore da un caccia alleato che aveva come obiettivo un aereo che trasportava un’ alta personalità del governo di Tripoli.
Ma, nella pur puntuale ricostruzione del film di Risi, manca un aspetto importante anche se, probabilmente, inconciliabile con i ritmi e i tempi della narrazione cinematografica. Manca il senso della lentezza, estenuante, del trascorrere del tempo. Manca il senso d’ impotenza che spesso ha colto (e coglie) chi – familiari delle vittime, avvocati, giornalisti – si è imbattuto nel muro di gomma. Un muro molto più esteso e nello stesso tempo meno evidente della tronfia sicumera dei generali felloni o della melliflua ambiguità dei politici. Un muro fatto d’ una particolare qualità di gomma: durissima ma anche elastica e invisibile.
Questo muro è stato eretto tutte le volte (e sono state molte) che un cittadino ha detto: “Non se ne verrà mai a capo”, che un capocronista ha sentenziato: “Basta con Ustica, la gente si è rotta le scatole”, che un politico, anche dell’ opposizione, ha affermato: “Guardiamo oltre l’ Italia dei misteri”. Tutte le volte che, insomma, si è trovato un modo di dire: “Basta con Ustica, con le stragi, con Gladio, con la mafia. E’ crollato il comunismo, sta cambiando il mondo. La gente ha altro per la testa”
E’ questo il molto di più che lo spettatore dovrebbe sforzarsi di aggiungere alla storia raccontata nel film di Risi. Il protagonista lo esprime in una frase: “Viviamo in un paese libero, dove tutti possono dire quello che vogliono. Il problema è che nessuno ti sta a sentire”.
AUTORE :: MARCO RISI (Milano, 4 giugno 1951)
FOTO DI MARCO RISI DA REPUBBLICA
NOTIZIE SUL REGISTA ATTORE ECC. NEL LINK:
https://www.mymovies.it/persone/marco-risi/52459/
Tutta la storia della Repubblica italiana è caratterizzata da questi “misteri”, che misteri in parte non sono più per la tenacia e il coraggio di giornalisti che non hanno avuto paura di intimidazioni e minacce da parte dei poteri forti.