GIACOMO MARIOTTO, Senza un piano per il dopo-Gaza, Israele perde a prescindere — LIMES– 30 OTTOBRE 2023 —

 

 

LIMESONLINE — 30 OTTOBRE 2023 —
https://www.limesonline.com/senza-un-piano-per-il-dopo-gaza-israele-perde-a-prescindere/134058

 

 

Senza un piano per il dopo-Gaza, Israele perde a prescindere

 

 

TOPSHOT - This picture taken from a position along the border with the Gaza Strip near Israel's southern city of Sderot on October 27, 2023 shows a smoke plume ascending following Israeli bombardment over the northern Gaza Strip amid the ongoing battles between Israel and the Palestinian group Hamas. (Photo by Menahem KAHANA / AFP) (Photo by MENAHEM KAHANA/AFP via Getty Images)

Bombardamento israeliano sull’area settentrionale della Striscia di Gaza. Foto di Menahem Kahana/Afp via Getty Images.

 

L’esercito israeliano ha avviato l’attesa offensiva di terra nella Striscia di Gaza, fase considerata imprescindibile per vendicare il tracollo del 7 ottobre. Ma per vincere Gerusalemme dovrà elaborare un piano realistico per la fine del conflitto. 

 

 

di Giacomo Mariotto

 

 

 

La guerra di Israele contro Ḥamās (Hamas) è entrata in una nuova fase.

 

 

 


Venerdì sera l’esercito israeliano (= Idf, Tsahal) ha avviato l’attesa incursione di terra a Gaza, dopo un intenso lancio di missili sul quadrante settentrionale della Striscia ( vedi cartina sotto). Gerusalemme ha annunciato che l’attacco si realizzerà per vie terrestri, aeree e marittime. Il primo ministro Binyamin Netanyahu, per il quale la guerra contro Hamas costituisce “una lotta per l’esistenza” dello Stato ebraico, ha dichiarato: “Questa è la nostra seconda guerra d’indipendenza. E siamo solo all’inizio”.

 


Per Gerusalemme la capacità di Tsahal di vendicare con la forza il tracollo del 7 ottobre ha inestimabile valore dimostrativo. Una soluzione moderata o intermedia, per non parlare di un cessate-il-fuoco prematuro, potrebbe definitivamente minare la percezione dello Stato ebraico in Medio Oriente. L’impressione è che tra le rovine di Gaza si deciderà il rango (reale o percepito) di Israele in una regione dove attori ostili premono contro i suoi confini.

 


Calcolo esemplificato nelle dichiarazioni di un funzionario del gabinetto di guerra israeliano: “Negli ultimi dieci anni il Medio Oriente ci ha guardato con ammirazione. Siamo stati gli unici a sfidare l’Iran con cadenza quasi quotidiana. Abbiamo contribuito in modo determinante alla sconfitta dell’Isis. Le Idf hanno operato pressoché in ogni angolo del Medio Oriente e oltre, producendo successi formidabili. Poi, improvvisamente, arriva una piccola organizzazione terroristica. E tutti, dal Cairo ad Amman, da Abu Dhabi a Riyad, da Beirut a Teheran, stanno drizzando le antenne. Dobbiamo dimostrare loro che siamo ancora una superpotenza regionale”.

 


Le conseguenze sono molto concrete. Nella scala delle priorità di Israele, la distruzione di Hamas precede l’elaborazione di un progetto realistico per il dopo-offensiva. Echeggiando un motivo diffuso da prima dell’inizio del conflitto, il ministro della Difesa Joav Gallant ha dichiarato che lo scopo della guerra consiste nel “mutare la realtà sul terreno di Gaza per i prossimi 50 anni”.

 


Per gli Stati Uniti vale l’esatto opposto. Washington condivide l’ambizione israeliana di ristabilire la dissuasione perduta. Ma teme che il prezzo possa rivelarsi troppo elevato. Per diversi giorni, i pianificatori americani hanno domandato alle controparti israeliane di abbandonare l’idea di un assedio totale della Striscia in favore di un’incursione limitata, sulla falsariga di quella condotta nel 2014, utilizzando un numero ridotto di truppe d’élite.

 


Questo perché la dimensione del conflitto israelo-palestinese non è esclusivamente locale. Le scintille di Gaza, se non scrupolosamente sorvegliate, potrebbero allargare l’incendio a tutto il Medio Oriente. A partire dagli attori filo-iraniani in Libano, Yemen, Cisgiordania, Siria e Iraq.Fino a coinvolgere, nello scenario peggiore, gli altri paesi arabi, nelle cui strade si sono tenute ampie proteste popolari pro-palestinesi.

 


Fattori impossibili da ignorare nell’elaborazione dell’offensiva. Per tale ragione i pianificatori del Pentagono hanno fatto sapere alle controparti israeliane, con una certa franchezza, che dichiarare guerra richiede ben più che un semplice “C’mon, let’s attack them” (Coraggio, attacchiamoli).

 


Carta di Laura Canali - 2023

Carta di Laura Canali – 2023


al fondo carta della regione-

 

Non è ancora chiaro il numero di soldati israeliani entrati a Gaza. Ma l’incursione sembra avere assunto un carattere più ridotto e mirato rispetto a quanto progettato inizialmente dai funzionari dello Stato ebraico. Dal punto di vista del gabinetto di guerra e dello Stato maggiore l’offensiva di terra rappresentava una mossa necessaria, perché gli attacchi aerei, da soli, non avrebbero potuto raggiungere l’obiettivo militare prefissato. Infatti, la maggior parte dei combattenti e dei sistemi bellici di Hamas si trovano sottoterra, in una “metropolitana” di tunnel estesa per più di 500 chilometri.

 


All’interno di Gaza, Tsahal si troverà ad affrontare condizioni tattiche terribilmente complesse. I combattimenti saranno lenti e massacranti. E andranno sostenuti strada per strada, tunnel per tunnel. Significa che le perdite tra i civili palestinesi potrebbero rivelarsi elevate.

 


Ciò potrebbe danneggiare la (già parzialmente erosa) legittimità morale dell’operazione, fino a rendere inevitabile un cessate-il-fuoco indipendentemente dai risultati sul terreno. È una possibilità tutt’altro che irrealistica: il presidente americano Joe Biden ha già chiesto pubblicamente a Gerusalemme di non “gettare benzina sul fuoco” e di seguire le “leggi della guerra” – compito difficile quando il tuo nemico non è un esercito convenzionale e si nasconde in mezzo alla popolazione.

 


Tuttavia, proprio nella fase di massimo sforzo, Gerusalemme sta prendendo atto che la vittoria non si deciderà soltanto sul campo di battaglia. Almeno altrettanto determinante sarà la capacità israeliana di elaborare un piano realistico per la fine del conflitto. Così, gli apparati militari dello Stato ebraico sono impegnati a immaginare il “giorno dopo”, lo scenario finale ottimale non solo per Gaza, ma per l’intera regione. La sensazione diffusa è però che tutti i compromessi siano inaccettabili.

 


Rioccupare la Striscia, come richiesto da alcuni esponenti del Partito sionista religioso, sarebbe disastroso. Implicherebbe assumere il controllo di uno dei territori più densamente popolati al mondo, con una popolazione giovane (quasi la metà ha meno di 18 anni) ed educata all’odio di Israele.

Ugualmente impensabile sarebbe però un ritiro immediato dopo la fine delle ostilità, anche in caso di eliminazione di Hamas: il vuoto verrebbe presto colmato da altri estremisti locali.

 


Tutte le altre opzioni, come quella di un’amministrazione civile con il coinvolgimento di alcuni attori arabi, sembrano collidere con l’intento di vendicare militarmente l’umiliazione del 7 ottobre.Quindi con la possibilità di ristabilire la dissuasione perduta. Di certo, senza un piano per il dopo-Gaza Israele perde a prescindere.

 


Carta di Laura Canali - 2018

Carta di Laura Canali – 2018

in verde la striscia di Gaza  — COME SCRITTO NELLA LEGENDA DELLA CARTINA

Condividi
Questa voce è stata pubblicata in GENERALE. Contrassegna il permalink.

1 risposta a GIACOMO MARIOTTO, Senza un piano per il dopo-Gaza, Israele perde a prescindere — LIMES– 30 OTTOBRE 2023 —

  1. DONATELLA scrive:

    Penso che, comunque vada, la rappresentazione nel mondo di Israele come Stato erede dei sopravvissuti all’Olocausto, sia definitivamente compromessa.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *