DALLO SPETTACOLO— ” MORTE E VITA DI SEVERINO “—VI PRESENTO DUE BRANI DI CUI UNO ( O FUNERAL DO LAVRADOR ) CON IL TESTO E TRADUZIONE DI BARDOTTI

 

 

Morte e vita severina

altro  sulla traduzione in fondo

 

 

Morte e Vida severina é um livro do escritor brasileiro João Cabral de Melo Neto, escrito entre 1954 e 1955 e publicado em 1955.

Em 1965, Roberto Freire, diretor do teatro TUCA da PUC de São Paulo pediu ao então muito jovem Chico Buarque que musicasse a obra.

 

Si tratta di un libro del famoso poeta Joao Cabral de Melo Neto (1955), che nel 1965  Roberto Freire, direttore  del Teatro TUCA da PUC ( Pontificia Università ) di San Paulo chiese al giovanissimo Chico Buarque di musicare—

Da questo spettacolo è tratto il canto (non mi riesce di chiamarlo “canzone”) che vi faccio sentire: “o funeral do lavrador”

 

questa è la copertina del disco da me portato dal Brasile nel 1964;   questo è, invece,  il testo dello spettacolo

 

NOTA: se mai ne avessi il coraggio, preferirei una traduzione letterale, anche se so che l’ha tradotta il grande Sergio Bardotti, sotto gli occhi, molto probabilmente, del Chico–Questa versione che vi offro è per me la migliore, poi, come sapete…

 

DAL  BLOG “CANZONI CONTRO LA GUERRA”:

http://www.antiwarsongs.org/index.php?lang=it

 

 

questa canzone, la prima qui sotto, è dallo stesso spettacolo, la lascio perché mi sembra bella, anche se adesso non riesco a trovare il testo. Se potete godetevela così—la cantante la trovo eccezionale, e voi?
Si chiama ZELIA BARBOSA — è la stessa che canta anche il secondo brano

 

 

http://www.youtube.com/watch?v=8JtsBRtIjXE

 

 

questa è il canto del testo che vi presento sotto: prima il portoghese, poi l’italiano

 

 

 

Esta cova em que estás
Com palmos medida
É a conta menor que tiraste em vida
É de bom tamanho
Nem largo nem fundo
É a parte que te cabe
Deste latifúndio
Não é cova grande
É cova medida
É a terra que querias
Ver dividida
É uma cova grande
Para teu pouco defunto
Mas estarás mais ancho

Que estava no mundo
É a conta menor que tiraste em vida
É a parte que te cabe
Deste latifúndio
É a terra que querias ver dividida
Estarás mais ancho que estava no mundo
Mas a terra dada
Não se abre a boca
É uma cova grande
Pra teu defunto parco
Porém mais que no mundo
Te sentirás largo
É uma cova grande pra tua carne pouca
Mas terra dada não se abre a boca.

 

 

Versione italiana del 1970 dall’album “Per un pugno di samba”, interpretata dallo stesso Chico Buarque e con le sorelle Mia Martini e Loredana Bertè come splendide e inquietanti coriste.
Testi e musiche sono di Sergio Bardotti e Chico Buarque.
Gli arrangiamenti di Ennio Morricone

FUNERALE DI UN CONTADINO

Questa fossa dove stai
larga poche dita
è il più piccolo conto
che hai pagato in vita
ha volume giusto
né largo né fondo
è la parte che ti tocca
del latifondo
non e una fossa grande
è giusta, precisa
è la terra che volevi
veder divisa
è una fossa grande
per un piccolo morto
ci starai più largo
di quand’eri al mondo
è una fossa grande
per un morto da niente
ma qui più che nel mondo
stai comodamente
è una fossa grande
la tua carne è poca
ma alla terra donata
non si guarda in bocca

inviata da Alessandro – 8/2/2010 – 21:46

 


 

 

 

Apprendo da Musica & Memoria che pure Anna Identici offrì una cover di questo brano di Chico Buarque…

“Altra cover da Chico Buarque. Incisa anche da Maria Carta e dal duo spagnolo Barbara & Dick (1967) che l’avevano anche proposta in spagnolo in precedenza, con un arrangiamento “folk-internazionale” più ritmato e accattivante dell’originale brasiliano. La versione della Identici, pubblicata sull’album “Il meglio”, del 1971, fa riferimento a questa di Barbara & Dick piuttosto che all’originale di Chico Buarque.”

 

 

DALLA NOTA DEL TRADUTTORE :

https://lanotadeltraduttore.it/it/libri/morte-e-vita-severina

 

Morte e vita severina

Traduzione da: João Cabral de Melo Neto / editore: Robin, 2005 – traduttori: Cristiana Bambini, Delia Occelli, Laura Rocchi, Riccardo Greco – Traduzione dal portoghese a cura di Antonio Tabucchi

João Cabral de Melo Neto pubblica giovanissimo la sua prima raccolta poetica, Pedra do sono (1942) dove già si intuiscono, sebbene oggetto di una progressiva scrematura operata nei lavori seguenti, quei motivi che caratterizzeranno i fondamenti della sua poetica. L’abolizione del cosiddetto poema-piada (poema-scherzo) allontana Melo Neto dal Modernismo, mentre la ricerca di equilibrio e la costruzione economica della frase prevalgono su un’ormai decaduta preoccupazione stilistica. Un deciso ribaltamento si afferma già a partire dal secondo volume, O engenheiro (1945): la sostanza poetica si muove dal surrealismo in direzione di un cubismo oggettuale simbolizzato dalla solidità della pietra, topos ricorrente.

Poesia strutturata da un rigore quasi matematico, da un’articolazione di termini concreti come barriera eretta contro ogni vaghezza e ambiguità; da un lavoro “artigianale” in cui raffinatezza ed audacia formale si compenetrano senza evadere dalla preoccupazione etica.

Poesia “sociale”, dunque e perfetto legame fra contenuto e forma, di vita e di arte.

Agli inizi degli anni ’50 Melo Neto matura l’idea di dare voce alla sua terra, il Penambuco, iniziando un percorso che si concluderà con Morte e vita Severina, terza e ultima opera della cosiddetta “trilogia del fiume”.

Anche i due poemetti O Rio e O Cão sem plumas, che la precedono, parlano del Nordeste, dei suoi fiumi e dei retirantes, i miseri contadini del Nordeste brasiliano che per colpa della siccità abbandonano la propria terra per cercare la sopravvivenza verso il litorale.

È precisamente questo il tema del terzo libro della trilogia, in cui il protagonista, Severino, segue il corso del fiume Capibaribe dal Sertão alla città di Recife. Durante il viaggio, si imbatte in diversi personaggi con i quali discorre della difficile vita nordestina e sembra concludere che ad essa è preferibile la morte. Il miracolo della nascita di un bambino figlio di un povero falegname ribalta, con un’inaspettata metafora della speranza, il pessimismo che segna l’opera e il percorso esistenziale del protagonista eponimo. Commissionato nel 1952 come opera teatrale natalizia dal teatro “O Tablado”, Morte e vita severina, auto de Natal pernambucano, trae ispirazione dalla notizia, letta dal poeta quando era console a Barcellona, secondo la quale l’aspettativa di vita in Pernambuco, terra di grande bellezza ma di grandi contrasti sociali, era di appena 28 anni, addirittura un anno in meno rispetto all’India.

Per questo la prima descrizione della vita nordestina in Morte e vita severina corrisponde a 28 versi.

La prima traduzione italiana di Morte e vida Severina, che risale all’edizione einaudiana del 1973, a cura di Tilde Barini e Daniela Ferioli, ci pareva non restituire del tutto la ricerca linguistica del poeta. Da qui la scelta di riproporre il testo in una versione rinnovata che si soffermasse in particolare sulla scelta dei termini lessicali, evitando le forme obsolete, e si indirizzasse verso un registro il più vicino possibile alla lingua parlata dalle classi sociali di estrazione contadina. Attraverso espedienti stilistico-formali come la ripetizione, che scandisce il ritmo del poema (caratteristica della filastrocca), la figura di Severino rimanda alla tipologia del cantastorie, invitandoci in un registro all’apparenza fuori dal tempo e che invece ci racconta la quotidianità dell’intera popolazione agraria del Nordeste del Brasile.

In quest’ottica, nei monologhi del protagonista Severino, costruiti secondo le strutture della literatura de cordel, ovvero quel corpus di narrazioni popolari originariamente recitate nelle piazze e contraddistinte da disavventure picare e cavalleresche, abbiamo ad esempio tradotto la forma allocutiva portoghese “Vossas senhorias” con l’italiano “Lorsignori”, che rimanda ad una tradizione culturale affine. In Morte e vida Severina, sorta di omaggio alla terra del Sertão, il poeta fa parlare il retirante con il linguaggio che gli è proprio. Parole asciutte, pronunciate da una bocca arida, scandite dal passo pesante sul pietrisco o da quello affaticato nel fango melmoso del litorale. L’evidente complessità del testo poetico e la necessità di evitare le forme ricercate o auliche, ci ha portato a tralasciare il rispetto meticoloso della rima per privilegiare il ritmo del verso e la musicalità della frase, soprattutto nei dialoghi, in cui la cadenza riveste un’importanza fondamentale. Numerose sono state le sfide poste dal testo, e altrettante le scelte, sempre frutto di vibranti dibattiti scaturiti all’interno di un gruppo di lavoro. Tra di esse, ad esempio, la possibilità di trasformare il personaggio di José in Giuseppe, affinché in italiano non si perdesse l’evidente riferimento evangelico, richiamato dall’autore in tutta l’ultima parte del poema. Il nostro gruppo di lavoro si è inoltre occupato della stesura di un glossario: in esso sono stati analizzati alcuni termini che, pur tradotti in italiano, meritavano una particolare attenzione e un diverso livello di approfondimento, anche in relazione al ruolo che ricoprono all’interno del contesto di riferimento. Una nota introduttiva di Antonio Tabucchi, infine, arricchisce l’edizione di alcune riflessioni essenziali alla comprensione della realtà sociale del nordeste del Brasile, allargando così la rosa dei lettori anche a coloro che non si riconoscono tra ‘gli addetti ai lavori’.

 

Riccardo Greco
traduttore e docente di letteratura portoghese e brasiliana
Università di Siena

 

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1 risposta a DALLO SPETTACOLO— ” MORTE E VITA DI SEVERINO “—VI PRESENTO DUE BRANI DI CUI UNO ( O FUNERAL DO LAVRADOR ) CON IL TESTO E TRADUZIONE DI BARDOTTI

  1. DONATELLA scrive:

    Mi ricordo benissimo questo brano e mi sono messa a cantarlo, sottovoce. E’ bellissimo, austero. La pietà sta nella non-pietà, nella lucidità della non-orazione funebre, nel non-compianto ma nel macigno della realtà. La musica accompagna i passi del funerale.

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