VIDEO, 46 min. ca —Trasmissione RING ( 1976 ) — intervista ad ENRICO BERLINGUER + qualcosa sui risultati delle POLITICHE del 1976 – GIUGNIO

 

Un programma del 1976 in dieci puntate in cui il conduttore Aldo Falivena incontrava, anzi affrontava con un faccia a faccia, un ospite di rilievo del momento. Oggi rivediamo la puntata con il segretario del Partito Comunista Italiano Enrico Berlinguer.

 

 

 

 

 

Enrico Berlinguer: la mostra al Mattatoio di Roma

Enrico Berlinguer  ( Sassari, 25 maggio 1922 – Padova, 11 giugno 1984 )

Spettacolo News

 

 

 

NOTIZIE STORICHE SULLE ELEZIONI POLITICHE DEL 1976

 

 

Le elezioni politiche in Italia del 1976 per il rinnovo dei due rami del Parlamento Italiano – la Camera dei deputati e il Senato della Repubblica – si tennero domenica 20 e lunedì 21 giugno 1976. Furono le prime elezioni politiche con il voto ai diciottenni.

Le consultazioni videro prevalere nuovamente la Democrazia Cristiana, pressoché stabile, ma per la prima volta il primato fu seriamente insidiato dal Partito Comunista Italiano che, ottenendo un impetuoso aumento di consensi, si fermò a pochi punti percentuali dai democristiani maturando il miglior risultato della sua storia.

Nel complesso l’area del centrosinistra (DCPSIPSDIPRI) mantenne la maggioranza assoluta dei voti e dei seggi ma risultò ridimensionata soprattutto per il forte arretramento dei socialdemocratici. Divenne quindi fondamentale il sostegno dei socialisti senza i quali il centro non era più autosufficiente. Tuttavia la formula del centrosinistra «organico» fu temporaneamente abbandonata e iniziò la breve parentesi dei governi di unità nazionale che prese il nome di compromesso storico.

Anche la destra missina perse notevoli consensi dopo il boom delle precedenti elezioni, così comeliberali che persero più della metà dei propri voti ottenendo il loro minimo storico. Infine, per la prima volta, entrarono in parlamento eletti del Partito Radicale, e forze più a sinistra del PCI, rappresentate da Democrazia Proletaria.

 

 

La situazione sociale italiana non accennava a quietarsi. Il terrorismo nero progrediva nell’attuazione della strategia della tensione con violenze e stragi (in particolare nel 1974 quelle di piazza della Loggia a Brescia e dell’Italicus). Dall’altra parte cominciarono a seminare terrore anche le Brigate Rosse con sequestri e processi proletari.

In questo contesto la VI legislatura aveva visto il susseguirsi di cinque governi e tre presidenti del Consiglio in soli 4 anni. La coalizione del centrosinistra era ormai in crisi e il solo centro non aveva la forza politica per rispondere alle esigenze della nazione. Le uniche riforme conseguite riguardarono temi sociali, su cui poteva esserci una più ampia convergenza; in particolare risalgono al 1975 la riforma del diritto di famiglia, che sanciva la parità dei coniugi, e l’abbassamento della maggiore età da 21 a 18 anni.

In questo periodo la Democrazia Cristiana vide la propria forza e influenza assottigliarsi sempre più. Infatti nel 1974 i democristiani furono pesantemente sconfitti nel referendum abrogativo sul divorzio e alle regionali dell’anno successivo il vantaggio sui comunisti si ridusse a meno di due punti percentuali, inoltre le conseguenze dello scandalo Lockheed facevano temere un sorpasso del PCI sulla DC. In molti cominciavano a pensare che fosse necessaria una svolta politica e ritenevano ormai inevitabile il coinvolgimento del PCI nel Governo.

Analoghi ragionamenti venivano espressi esplicitamente dal segretario comunista Enrico Berlinguer nel 1973. La nascita di gruppi di estrema sinistra alternativi al PCI e del terrorismo rosso aveva costretto il partito a ripensare il proprio collocamento. Inoltre i comunisti erano usciti rafforzati dall’autunno caldo e potevano realisticamente puntare al primato elettorale, ma in questo caso, secondo Berlinguer, un governo comunista avrebbe innescato la reazione della destra portando a conseguenze estreme e imprevedibili. Era quindi necessario che le forze comuniste, socialiste e cattoliche collaborassero nell’interesse del Paese.

Oltre a ciò la situazione economica era stagnante, particolarmente gravata dalla crisi petrolifera del 1973: a seguito della guerra del Kippur i Paesi del Golfo fissarono unilateralmente il prezzo del petrolio e, dall’ottobre 1973 al gennaio 1974, il costo di un barile passò da meno di 3 dollari a quasi 12 dollari. Come conseguenza l’Italia decise che nelle domeniche invernali la circolazione automobilistica fosse completamente bloccata, per risparmiare benzina[3].

Anche il quadro finanziario del successivo biennio fu negativo, ma per intervenire con degli aiuti il Fondo monetario internazionale esigeva degli aggiustamenti dei conti pubblici e che l’inflazione (ufficialmente al 17% ma da molti valutata attorno al 25%), fosse ricondotta al di sotto del 10%. Alla vigilia delle elezioni la situazione si presentava in lieve miglioramento sugli anni passati, con una ritrovata crescita del Prodotto nazionale lordo, calato del 4% l’anno precedente, e un passivo sulla bilancia dei pagamenti meno traumatica rispetto a quella del biennio appena concluso. Quel che mancava, tuttavia, per dare una spinta decisa alla ripresa, era un contesto politico e sociale che potesse ispirare una durevole stabilità.

La situazione politica aveva evidenziato la possibilità di un sorpasso (raggiungimento della maggioranza relativa) del PCI ai danni della DC: per questo, durante la campagna elettorale si diffusero verso l’elettorato del PLI e del MSI, sollecitazioni a votare per la DC in funzione di contrasto all’avanzata del PCI, anche «turandosi il naso “.

 

Conseguenze del voto

Le elezioni videro l’area politica del centro perdere la maggioranza assoluta dei seggi pur restando nettamente maggioritaria. La coalizione del centrosinistra che aveva guidato il Paese nell’ultimo decennio era ormai in crisi e i socialisti non erano più disposti a farne parte. Era quindi necessario aprire una nuova fase politica che coinvolgesse inevitabilmente il PCI. Fu il presidente democristiano Aldo Moro ad aprire alla proposta di collaborazione del segretario comunista Enrico Berlinguer e dare vita a un governo monocolore DC, detto della non sfiducia, con l’astensione del Partito Comunista, che apriva la breve fase dei governi di “solidarietà nazionale”. La guida dell’esecutivo fu assegnata a Giulio Andreotti, con il PCI tornato nell’area governativa per la prima volta dal 1947.

Il nuovo governo si trovava in una situazione politica difficile: doveva accettare l’appoggio esterno comunista, e allo stesso tempo sapeva che gli alleati dell’Italia sorvegliavano con molta attenzione lo sviluppo degli avvenimenti. I cambiamenti del PCI, il riconoscimento – da parte di Berlinguer – che la NATO era un ombrello utile, non avevano dissipato i sospetti. In un convegno del G7 a San Juan, Aldo Moro – in quel momento ancora Presidente del Consiglio – aveva dato le sue assicurazioni. Ma da una dichiarazione di Helmut Schmidt resa nota il 19 luglio 1976 si seppe che, assenti gli italiani, Gerald Ford e Henry Kissinger per gli Stati Uniti, Schmidt per la Germania OvestJames Callaghan per il Regno Unito e Valéry Giscard d’Estaing per la Francia avevano tenuto una riunione, in cui si era deciso che l’Italia non avrebbe avuto né un dollaro né alcun’altra forma di aiuto se il PCI fosse entrato nel governo.

Andreotti formò il primo governo di unità nazionale, un monocolore democristiano con la «non sfiducia» del PCI: i comunisti non avrebbero votato a favore, si sarebbero astenuti, consentendo così la vita del monocolore composto da 69 persone, tra ministri e sottosegretari. Poiché in Senato l’astensione è equiparata al voto contrario, il gruppo comunista decise di uscire dall’aula quando si trattò di votare la fiducia. In cambio della non sfiducia i comunisti ottennero la presidenza della Camera con l’elezione di Pietro Ingrao, mentre Amintore Fanfani fu eletto Presidente del Senato.

Dopo la «non sfiducia» l’intenzione era arrivare ad una piena partecipazione al governo dei comunisti, ma il rapimento e l’uccisione di Moro da parte delle Brigate Rosse compromisero l’accordo e dopo soli tre anni si tornò alle urne con elezioni anticipate.

Poco dopo la morte di Moro il Presidente della Repubblica Giovanni Leone, da tempo oggetto di duri attacchi da parte del PCI e di altre forze politiche, rassegnò anticipatamente le proprie dimissioni. In un clima politico estremamente teso la DC non riuscì a imporre il proprio candidato e alla fine quasi tutte le forze politiche fecero convergere i loro voti sul socialista Sandro Pertini

 

 

schema dei risultati CaMERA E SENATO

 

Elezioni politiche in Italia del 1976
Stato Bandiera dell'Italia Italia
Data
20-21 giugno
Legislatura VII legislatura
Assemblee Camera dei deputatiSenato della Repubblica
Legge elettorale Proporzionale classico
Affluenza 93,40% (Aumento 0,14%)
Liste
Camera dei deputati
Voti
14 209 519
38,71%
12 615 650
34,37%
3 540 309
9,64%
Seggi

262 / 630

228 / 630

57 / 630

Differenza %
Aumento 0,05%
Aumento 7,22%
Aumento 0,03%
Differenza seggi
Diminuzione 4
Aumento 49
Diminuzione 4
Senato della Repubblica
Voti
12 227 353
38,88%
10 637 772
33,83%
3 208 164
10,20%
Seggi

135 / 315

116 / 315

29 / 315

Differenza %
Aumento 0,81%
Aumento 6,23%
Diminuzione 0,51%
Differenza seggi
Stabile
Aumento 25
Diminuzione 4

 

 

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