Il mio non è un romanzo
e non vuole essere un’autobiografia.
Soprattutto, non voglio mostrare la strada a nessuno.
Utilizzo la mia storia e quella di altri
per mostrare che:
1. lo psicotico è un aspetto ineliminabile della mente umana
presente in tutti in una certa misura.
2. lo psicotico possiede una qualità
che sola ci rende umani e che vorrei riassumere nella
“capacità di vivere in un mondo gratuito”.
E specifico subito:
l’emotività, il contatto con il nostro mondo interno, di sentimenti e di fantasia, vorrei dire con
“il mondo proprio”
il bisogno di contatto
e di “sintonia” con gli altri
la serenità con cui accetta
un rapporto di dipendenza reciproca
senza dover sempre rivendicare la propria autonomia
una serenità cui arriva negli anni, tanti anni
lo rendono
un “modello deviante e deviato”
certamente da curare
ma sempre un modello.
Oggi, lo psicotico, come i bambini e gli artisti, è difensore di un mondo che va scomparendo
o meglio, che è lasciato sempre più come sfondo
per non intralciare la corrida.
Sia chiaro io non accuso:
è la corsa di tutta una società globale che
andrebbe fermata per poter esistere come “uomini”.
Ma quello che bisognerebbe “apprendere” dall’esperienza è che:
gli psicotici ci hanno provato
a vivere come
“uomini
interi”
ragione e sentimento tutto insieme
mondo interno e mondo esterno (quando non sono in crisi)
in relazione.
Non ci sono riusciti
hanno deviato in una brutta malattia
che va assolutamente curata
ma
loro
ci
hanno
provato.
Non ne potevano fare a meno?
Forse, ma questo non conta molto.
3. il mio
non è assolutamente un inno alla malattia:
un malato mentale
uno che ha provato
non accetterebbe mai di ascoltare le famose diatribe
quelle che dovevo reggermi
alla facoltà di psicologia.
sul malato-artista-genio.
Chi è un artista e un genio
Lo è “nonostante” la malattia.
4. voglio che tocchiate con mano che il malato non produce solo devianza
ma è produttore
anche
di una
“cultura”:
sulla sua malattia
e sulla malattia mentale in genere.
E’ una cultura basata sul vissuto
che viene dall’esperienza personale
e da quella di altri come lui
ma non per questo
è cultura che non abbia diritto ad essere ricompresa nella cultura alta, molto spesso basata solo sui libri e ricca di schemi pregiudiziali.
Di “blocchi emotivi” contro il diverso a qualunque categoria questi appartenga.
Voi non potrete mai immaginare
Il profondo odio che io, malata mentale,
ho vissuto da parte dei cosiddetti normali.
Il terrore di uscire dal coro
Sicuri che l’abisso del vuoto li trascinerà.
Ma non è neanche questo:
e poi, non tutti i normali sono “normali”.
La cultura sulla malattia mentale che vi mostro è vera cultura
perché non si è limitata a “vivere” la malattia
non è stata solo “passiva”
ma l’ha osservata, ha prodotto ipotesi e verifiche
e una elaborazione complessiva
pur con tutte le
manchevolezze possibili.
Ma quello che è nuovo è che
è
cultura
“esclusivamente dal punto di vista del paziente”.
una messa a fuoco, un’angolatura che solo il malato mentale ha
perché solo lui possiede il terreno in cui si muove.
L’altra è cultura necessaria, ma cultura
“che si china sul malato” senza “esperienziare” il suo mondo in prima persona.
Anche nelle “malattie fisiche” rivendichiamo come prioritario il nostro vissuto
E le nostre ipotesi sulla malattia
Sul dosaggio dei farmaci
Come anche i medici più avveduti rivendicano:
un dialogo.
Non è così per il malato mentale
perché egli
“dopo” la malattia
soprattutto durante una crisi di delirio
anche quando è evidente che una parte sana residuale rimane
egli, malato di mente non è più un essere umano:
nessuno chiede ad una” bestia”
come sta veramente, cosa pensa della sua malattia, quali suggerimenti ha da dare ai tecnici
si vuole curare o non si vuole curare
ha bisogno di rimanere in un certo delirio che lo fa sentire meno solo:
“ se sento le voci, se parlano di me
esisto anch’io in una comunità
unica forma di esistenza che mi è dato percepire fin dall’infanzia:
la possibilità di assomigliarsi l’un l’altro.
Se sento le loro voci forse mi somiglio a qualcuno”.
o vuole “a tutti i costi”
diventare come quei modelli di normali che vede in famiglia, in chi lo cura
Quanta straordinaria difficoltà ho avuto fin dalla adolescenza
Per trovare un modello “umano” cui voler assomigliare
Perché “senza modelli” nessuno può crescere.
Con la malattia diventiamo animali
Ma i malati mentali non sono mai stati amati come gli animali.
“Sono animali”
ma non si amano.
P.S. La cosa più importante da fare relativamente a questo testo è spiegare come mai, dopo averlo letto per gentilezza e darmi un parere, Mari, una cara amica, bravissima insegnante di sostegno e l’unica tra di noi amiche d’infanzia che sventola con fulgore, ben alta, la bandiera del sesso, è bella e piacente, molto seduttiva, anzi si occupa di “arte della seduzione”, ebbene, dicevo, come mai si sia profondamente offesa da questo mio paragone tra i pazzi e gli animali.
Siamo tutti ‘animali’ anche se l’ umano ( si fa per dire ) si crede ‘superiore’ e alleva animali per mangiarseli … quindi perché offendersi del tuo ‘paragone’ ??
ho avuto spesso paura della mia arte…
mi stupisco ogni volta che sono su un palco a cantare…o che un muro ha un mio disegno…o che le mie mani scrivono frasi che sembrano uscite da un romanzo di hugo….
ma so che posso diventare un animale e questo spaventerebbe chi mi sta intorno che come già è successo mi fa fuori dalla sua vita…
vorrei essere libera di esprimermi ma devo avere tantoautocontrollo ogni volta x nn rischiare l’abbandono,lla sofferenza e la ricaduta..
cara marianna mia bella, il tuo scritto-poesia è una lunga storia d’amore tra te la vita gli altri e il disagio e la bestia che abbiamo chiusa in noi tutti tutti: alcuni hanno avuto la sorte di disciplinarla, in genere ci pensa la famiglia, l’educazione, a volte la scuola, la religione dove c’è, l’arte è una maniera delle migliori per “sfogare”, o impiegare, spendere energia distruttiva (che potrebbe essere, diciamo, omicida o suicida, per farla corta, insomma rivolta verso gli altri o verso se stessi – come mi permetto di suggerire sia il tuo caso), ma, a volte -anche avendo avuto tutto questo, tutto giusto dalla pancia della mamma in poi- la bestia non s’acqueta e vuole sangue umano o nostro o degli altri: nasciamo come nasciamo, per una variazione del destino, casuale o mutazione genica, imprevedibile, appunto, perché a caso, e solo per questa siamo unici e ci fanno le impronte digitali. I genitori nonni ecc. contano eccome, ma non sono tutto, a volte un leggero spiffero già nell’accoppiamento o nella gestazione o alla nascita o in seguito, ci rende “più sensibili allo stress”, come avessimo contratto una leggera polmonite da piccoli -adolescenti, che ci porta a dover vivere con la sciarpa sempre in tasca: ugualmente succede a noi, “super-sensibili-allo stress”, lavorativo – ma – soprattutto- emotivo, l’ansia, non sentirsi adeguati anche a compiti che poi svolgiamo brillantemente, come certamente- fai tu con la tua arte, un’inadeguatezza apparentemente senza cause, e contro tutti i fatti di realtà, ma c’è, in me c’è, e c’è per tutto, anche per le cose più semplici che altri svolgono come bevendo un bicchier d’acqua, eppure, magari, chissà, forse, ho più doti di loro in quel tale compito ma…C’è gente che -gira gira- si arrampica sui vetri torna giù e poi su’ e poi giù-su di nuovo come quel tale, Sisifo; imparare impara tante cose, costui che si agita tanto, magari il suo parere conta per alcuni, ma lui, lui proprio, “all’onor del mondo non c’è mai”, mai acquisito lo statuto, se posso dire così, di “diritto ad esistere”…e allora la vita l’affannarsi dietro un lavoro un amore un amicizia, diventa sempre il triplo faticoso. Perché poi, tutto questo concentrato di ansia-angoscia, umiliazione, indegnità…si sfoga diventando, noi, pieni di pretese sugli altri, ti danno un dito, ma il braccio, anche quando te lo danno, non ti basterà mai, perché la tua fame di attenzione-affetto-ammirazione-adorazione viene da molto lontano, forse dalla culla, dai primi vagiti mal accolti, non saputi accogliere…vedi, ti farò ridere, io sono stata una grande attrice all’asilo, una suora intelligente, Suor Tersilia, ci faceva fare solo teatro, e a me dava una passione enorme riuscire, farmi vedere…entrando nel mito, devo avere quasi inventato i passi di un valzer, ho dovuto – subito felice la suorina- insegnarlo uno ad uno alle mie compagne, pensa la mia soddisfazione, io che non avevo riccioli e non ero bionda come la mia vicina di banco, che veniva a scuola sempre molto curata, accompagnata dalla mamma, bei vestititini, i miei genitori erano presi dal lavoro, io crescevo “alla spera in dio”, taglio capelli dal barbiere di mio papà, vestiti puliti che erano stati di mia sorella (lei, a sua volta, vestiva quelli di mia mamma, la prima cosa nuova, sua, a 15 anni, una magnifica giacca bianca, splendeva, la ricordo benissimo, nel buio del magazzino dei fiori, solo che lei era obesa e veleggiava come una balena…con mia grande vergogna perché, a scuola, era l’unica della fila delle sue compagne di classe, ad essere mostruosa, ed io me ne vergognavo…ma ci pensi che sciocchezze! i bambini e il loro senso del ridicolo / della dignità!, non me le ricordavo più, sei tu, ma belle mary, a farmele venire in mente queste -oggi-belle immagini, nostalgici ricordi…tu non ne hai, sarai giovanissima, chissà perché, marianna, per me, è un nome di ragazza giovane e bella,,,)…insomma ero sul palco, all’asilo, ammiratissima al saggio finale dell’anno, il figlio, due o tre anni più di me, di un amico di mio padre, che dopo avermi applaudita, dice al papà : “Quando sarò grande e quando potrò, sposerò ch.!”, guarda come parlavano i bambini prima degli anni Cinquanta…Allora ti abitui ad un tipo di cibo, anche alla mia cara Donatella, la poetessa, non so se hai visto qualcosa di suo, è successo una cosa identica, solo che a lei è durata fino a dopo i vent’anni, ben più grave di me che, ai dodici circa, ho cominciato a svilirmi, ti salto il motivo reale, e svilendomi svilendomi su tutto, ho piano piano convinto il mio pubblico, che ha finito per darmi ragione: “ero una fallita…anche se buona generosa”. Ma quel cibo di adorazione di cui ti sei nutrita, non parliamo di Donatella, non te lo scordi, quella “magnificienza e munificienza” l’hai avuto una volta, quindi, la logica è dell’immaginazione, puoi riaverlo, e lo cerchi dovunque in ogni sguardo amoroso, credi di intravvederlo…ma quella speciale scintilla che si accende solo davanti ad un dio, non la trovi, neanche nella persona più dedicata a te, e allora la bestia-finalmente torna tra noi- si incattivisce, si esàcerba e ti fa paura sentirla agitarsi nella tua mente: quello che senti è una profonda inquietudine, una frustrazione enorme, perché nessuno mai e mai, ti dà “quello per cui sei nata, quello per cui sei degna di vivere, una regina, un’imperatrice dai mantelli di ermellino bianco”, “quindi” nessuno ti ama, nessuno ti conosce, amano qualcosa che non sei tu ecc ecc. I motivi della bestia sono innumerevoli come i granelli della sabbia, ognuno di noi ha dentro una bestia non pacificata, c’è chi la domina, c’è chi la regola con civiltà, e sono i più fortunati, c’è chi sente che anche lei, la nostra cara bestia, ha diritto di esistere alla luce del sole, lei deve salire in palcoscenico, anche lei, ed essere ammirata come l’angelo o la non-bestia…tu mi sembri, per quel niente che posso conoscerti, più di appartenere a questo ultimo tipo, vuoi – aneli- hai necessità di essere libera, di esprimerti con tutti i diritti di essere te stessa, ma la società, gli altri non te lo permettono, nel migliore dei casi ti puniscono togliendoti il loro amore o, meglio, la loro accettazione incondizionata di cui abbiamo tutti così bisogno…Soluzione? Non ce l’ho, alla mia età, ormai sono ai 70, e mal portati, ho una cugina di 80 più giovane di me, be’ insomma cado a pezzi come matusalemme…allora la mia soluzione, che è una soluzione solo per me, a te non dirà niente, non so, è l’unica che ho trovato, è che non si può averla, la minestra, “brodosa con tanta pasta”; ti sembrerà una cazzata, ma non lo è, forse sei troppo giovane per capirmi, ma “acquisire il senso del limite”, non solo nostro, ma quello dell’essere umano in quanto tale, è per me-oggi-l’unico vero antidoto alla pazzia e all’infelicità…ti lascio, benzinho, ti ho risposto “col cuore”, il mio, naturalmente, e magari non si è capito una parola, magari non ho capito niente o poco della tua comunicazione poetica…oggi, “solo questo posso offrirti”, insieme all’augurio di una buona nanna con tutti gli angeli- che c’erano, non puoi non averli visti – della tua infanzia, anch’io nanno adesso, ciao mia cara, grazie di avermi scritto, notte, chiara.