I genetisti che conosco assegnano al codice genetico un peso decisivo per l’origine delle malattie mentali.
Nella mia famiglia, per quello che ho potuto sapere interrogando mia madre (mio padre parlava pochissimo), non c’erano casi di malattia conclamata, ma, dalla parte della famiglia di mia madre, risalendo fino ai nonni, c’erano persone che tanto facilmente si entusiasmavano, quanto altrettanto facilmente si abbattevano.
Nella cittadina dove sono nata, e questo è un fatto curioso e divertente, si diceva dei membri di questa famiglia, sempre con molta simpatia, che “avevano una primavera in più”!
Ho anche una cugina di secondo grado che abita a Chivasso e che ha la mia stessa malattia.
C’è quindi in me un tessuto di base, certamente genetico, qualcosa che ha creato una vulnerabilità, una predisposizione o una chiara “potenzialità” alla malattia.
Credo però che l’origine della mia malattia mentale non sia da ricercare tutta lì.
Penso che abbiano un ruolo altrettanto fondamentale quell’insieme di relazioni che ci formano, non dico solo da quando nasciamo, ma ancora prima, nella relazione con la madre (e anche col padre) quando siamo ancora allo stato fetale.
E, in seguito, in quell’insieme di esperienze, fatte sempre di relazioni, grandi o piccole, nelle quali cresciamo come dentro ad una rete, che ci sostiene e nella quale ci sentiamo vivi.
Le esperienze di vita che racconto, infatti, hanno, a mio parere, giocato un ruolo fondamentale per l’origine dei miei disturbi, anche se questo si potrà verificare solo nel seguito del racconto.
Non c’è il minimo dubbio che le stesse esperienze avrebbero sortito un effetto diverso, certamente non una malattia grave, in una persona che fosse nata con un’altra stoffa.
Oltre alla genetica e alle esperienze di vita, c’è un terzo fattore che gioca un grande ruolo nelle malattie mentali ed è la casualità. Questa è importante per le vicende di tutti, ma a mio parere il malato mentale è una sua preda favorita.
Io mi sono incantata ad osservare che questa era sempre lì, pronta, direi quasi “in agguato” e che, per stare bene, bisognava essere così bravi da prevenirla e schivarla.
Dico così perché, per me, la casualità, in una malattia mentale, è quella che dà le carte più importanti del gioco, nel senso che dà sempre quelle carte che fanno precipitare le situazioni. Nella mia esperienza, se uno già sta molto male, avrà una crisi di mania per una serie di circostanze casuali (si capisce che possono essere rappresentate anche da persone) che si precipiteranno su di lui tutte congiuntamente senza che lui sia in grado di schivarle.
Dal momento che ho pensato di scrivere la storia del mio delirio e di come la mia mente si è recuperata, uso, ovviamente, molte volte questa parola (delirio): non la uso ovviamente in senso tecnico, ma per indicare una coscienza che vede e sente cose che non ci sono nella realtà.
La mia, come ho già detto varie volte, è appena la storia di un vissuto e il senso e i nessi che vi si possono scorgere sono esclusivamente quelli tipici di una narrazione.
Tema molto interessante espresso con apprezzabile chiarezza; ” potenzialità “, “casualità”, “esperienze di vita ” combinate insieme sono, anche secondo me, la ragione per una ‘malattia della ragione’.