INTERVISTA al Prof. Jerrold Post, pubblicata sulla rivista “SCIENZE”, traduzione ufficiale del “Scientific American” (numero di agosto 2011).
In questi mesi, mentre la ribellione si diffondeva per tutta la Libia, Gheddafi ha fatto una serie di bizzarre dichiarazioni che negavano la realtà della rivolta, dall’insistenza che “il popolo libico mi ama” fino all’affermazione che i ribelli agivano sotto l’influenza di allucinogeni. Il Rais si illudeva sulle condizioni della Libia o era semplicemente incapace di accettare il fatto che il suo regime aveva i giorni contati? Per capire meglio come funziona la mente del leader libico – e di altri dittatori simili – “Scientific American” ha intervistato Jerrold Post, docente di psichiatra, psicologia politica e affari internazionali, e direttore del Political Psychology Program della George Washington University
Che cosa rende un leader come Gheddafi incapace di vedere o di accettare la propria caduta?
Per molti dei dittatori caduti con incredibile velocità nel corso della Primavera Araba, la sollevazione popolare è risultata così sorprendente perché la cerchia di persone di cui si circondano gli impedisce di capire che la loro popolarità è in declino. Non hanno una visione non realistica, e sono convinti, come ha detto e ridetto Gheddafi, che tutto il popolo li ami. Trovo questo linguaggio molto interessante. Gheddafi è un esempio estremo, ma il discorso vale anche per Mubarak, che parlava di cospirazioni estere. Certi di avere un ampio supporto popolare, interpretano le manifestazioni come l’azione di agitatori esterni. Questo vale in modo particolare nel caso di Gheddafi. C’è una sorta di sillogismo: “Tutta la mia gente mi ama, quindi se c’è qualcuno che protesta contro di me, non è veramente della mia gente, e quindi deve essere la conseguenza di provocazioni esterne.” Nei primi tempi della rivolta, ha detto che si trattava di giovani impazziti in preda ad allucinogeni sciolti nel Nescafé, un’idea che trovo piuttosto creativa.
In generale, il linguaggio di Gheddafi mi colpisce molto. La cosa più interessante è che parla sempre in prima persona singolare. “Tutta la mia gente mi ama. E’ dalla mia parte. Il mio popolo mi ama”. È tutto centrato su “me”. Se mi passate il confronto, è un bel contrasto con Churchill durante la Seconda guerra mondiale. Churchill si esprimeva sempre con la prima persona plurale, il suo modo per rafforzare la morale degli inglesi era parlare di “noi”, delle “nostre prove e sofferenze”. Gheddafi invece parla sempre soltanto di sé, identifica se stesso come creatore della Libia; una delle sue prime dichiarazioni è stata “Io ho creato la Libia e io posso distruggerla”.
Gheddafi e gli altri dittatori deposti sono vittima di un delirio quando pensano che nel loro paese vada tutto bene?
Delirio non è la parola giusta, perché se sei circondato da un gruppo di sicofanti che ti dicono quello che vuoi sentire, invece di quello che dovresti sentire, puoi essere in contatto con la realtà secondo i parametri di un test psicologico ma non dal punto di vista politico.
Ma a parte i sicofanti, il narcisismo è una caratteristica comune tra gli autocrati?
Ottima domanda. Sto dando gli ultimi ritocchi a un libro dedicato proprio a questo, che si intitola Dreams of Glory: Narcissism and Politics (“Sogni di gloria: Narcisismo e Politica”. Ritengo che il narcisismo sia un elemento particolarmente valido per comprendere molti di questi dittatori, che manifestano molte caratteristiche del narcisismo. Per esempio, in superficie hanno un concetto di sé realmente esaltato, e sono estremamente sensibili alla minima affermazione del contrario, per cui possono davvero inferocirsi se qualcuno li mette in dubbio. In secondo luogo, quando qualcosa manda in frantumi quell’immagine – e sarà interessante vedere cosa accadrà con Gheddafi – può aversi quella che si definisce una rabbia narcisista. Un esempio di questo può essere stata la decisione di Saddam Hussein di incendiare i pozzi petrolifero ritirandosi dal Kuwait.
Le loro relazioni interpersonali sono molto disturbate, si circondano di persone che li fanni sentire bene. Di conseguenza, è davvero pericoloso criticare il leader in qualunque maniera.
In un profilo di Gheddafi che ha scritto a marzo su “ Foreign Policy”, lei ha dichiarato che Gheddafi aveva alcune manifestazioni tipiche di una personalità borderline.
Il disturbo borderline – al confine tra nevrosi e psicosi – si riferisce a individui che possono funzionare in modo perfettamente razionale, ma che, in determinate condizioni di stress, superano il confine, le loro percezioni si distorcono e le loro azioni ne risentono di conseguenza. Le due circostanze in cui Gheddafi sembra superare il confine sono a) quando vince b) quando sta perdendo.
Un esempio del primo caso potrebbe essere quando stava marciando verso Bengasi senza incontrare forte resistenza. In queste situazioni può davvero autoesaltarsi e sentirsi invulnerabile. Un esempio di esaltazione bellica è stata la promessa che avrebbe braccato i suoi nemici stanza per stanza. D’altro canto, quando soffre, è sotto pressione, e in particolare quando non è visto come il leader potente ed esaltato, emerge un altro aspetto della sua psicologia, ed ecco il nobile guerriero arabo che combatte contro forze a lui superiori. Un esempio in questo senso si ebbe negli anni 70’, quando dichiarò che la sovranità libica si estendeva fino a 200 miglia dalle coste, mentre le acque internazionali iniziano a 12 miglia, minacciando di attacco chiunque avesse attraversato quella “linea della morte”. Gli Stati Uniti, che stavano facendo manovre nel Golfo di Sidra, superarono la zona delle 200 miglia, Gheddafi lanciò tre ondate di attacchi aerei, e i suoi jet furono immediatamente abbattuti. Ma dopo, e questo è interessante, disse che ringraziava gli Stati Uniti “per aver fatto di me un eroe per il Terzo Mondo”. Affrontare con coraggio un avversario più forte ha un grande valore nel mondo arabo.
Come pensa che giocherà tutto questo nel futuro della Libia?
È abbastanza evidente che ora il controllo è nelle mani dei ribelli, ma la situazione non si chiarirà veramente finché Gheddafi non viene ucciso o costretto ad arrenderli. Si è parlato di un esilio in Tunisia, che non va escluso del tutto, ma se dovesse scegliere questa opzione non sarà con l’idea di abbandonare, ma di rifugiarsi temporaneamente per poi continuare come leader della Libia. Penso quindi ci siano tutte le ragioni per pensare che stiamo assistendo all’ultimo atto, che tuttavia potrebbe prolungarsi finché non sarà catturato.
Ritengo sia importante sottolineare che il pubblico che conta di più per lui è lo specchio. Quando fa certe affermazioni, ci crede davvero. Può suonare folle, ma è una specie di “Specchio specchio delle mie brame, chi è il leader arabo musulmano del terzo mondo più potente di tutti?”. E la risposta è: “Tu, Muammar.” Gli sarà realmente molto difficile vedere la gente che celebra la sua caduta e cercare di mantenere la sua immagine eroica interiore.
di John Matson
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