PAZIENZA-FORZA-CORAGGIO -TUTTI I COMPUTER SPENTI/ SONO FINITA IN ANTICHI FILES E LI LEGGO MERAVIGLIATA DELLA CHIARA DI ALLORA/ MI APPARE MIGLIORE /VORREI PARTECIPARVELA, ANCHE SE SO CHE VOI NON NE POTETENIENTE. MI CADONO TUTTI I DENTI A DIRVI: “LONTANI DAL MIO BLOG”, MA VE LO DICO SDENTATA. BACI BAVOSI PERCIO’. .

Caro Elio, ho ricevuto questa mattina la tua cara lettera. Adesso anche tu sei uno strufuietto (straccettino), ti ricordi che mi chiamavi così?
Ti penso sempre, quasi in ogni attimo del giorno. La mia vita è molto semplice, molto limitata. Al mattino viene la Donatella, preferisce scrivere qui i suoi racconti perché a casa finisce per non combinare niente, e io sono al computer, faccio le compere con M., qualcosa da mangiare, due minuti guardo la ragazza cosa fa, parlo con M. al telefono, e tutta la mia attività finisce qui.
Ho molto tempo per me e per i miei pensieri e posso pensare costantemente alle persone che amo. Ma non c’è proprio nessuno a cui pensi tanto come a te. Ti penso anche quei minuti che faccio il solitario, sono sicura che mi insegneresti delle mosse decisive, hai ancora quel aggeggio su cui facevi le partite a bridge?
Ti penso tanto anche perché ti penso solo, come tutti i malati… per quanto gli altri ti vogliano bene non ce la fanno ad immaginare la tua vita, i milioni di sforzi che ogni minuto richiede.
Non che io abbia la pretesa di sapere di te, di come vivi e ancor più cosa ti passa nella mente, ma i malati un po’ si assomigliano e, allora, nella mia lunga esperienza di malattia ti sento vicino, mi sento vicina. Vorrei poterti accogliere in un abbraccio e fartici un nido dove potessi rifarti, vorrei che esistessero le favole, che ci fosse quell’ingenua Provvidenza che premia chi soffre e lo fa ricominciare da zero.
Nell’ultima crisi, ormai di anni fa, mi pare fosse il ’94, pensavo alla storia di Giobbe, lo leggerai sul libro, all’impossibilità di annettere un senso alla sofferenza, e io ti vedo un po’ così, come era ridotto lui, ma lui aveva Dio dalla sua, anche se era un Dio con cui avrebbe voluto discutere a fondo.
Per un altro, che non c’è passato, è difficile immaginare cosa sono sei anni. Il brutale cambiamento che ha avuto la tua vita, la forza di adattamento e la pazienza (da patire) che ti ha richiesto. E poi sei anni sono fatti di istanti che ti si presentano davanti ogni volta come un ostacolo da superare. E vorresti sapere: “ce la farò?”, ma non lo sai mai.
Ricordo anche molto l’Elio di prima della malattia, cioè sempre tu, mi venite in mente insieme, la tua bellezza in un senso vasto… non mi pare di averti idealizzato e anche se un po’ fosse che importanza ha? Sei tu visto con gli occhi di una persona che ti ha sempre amato molto.
Poi la cosa è più vasta perché tu comprendi tutto il mio amore per i L. in generale. Ci sei solo tu della mia famiglia. Non assomigliavo a mio padre se non forse nella bontà spontanea, nella generosità senz’altro, nella capacità di voler bene e tenere i legami. Per il resto sono una L. mi sento così, e allora tu sei tutta la mia famiglia.
Tutti i L. sono dentro di me e popolano il mio mondo immaginario, anche A., lo ricordo quando ero bambina ed ero sempre a casa della M. d’estate, una delle tante case dove mi facevo adottare, ufficialmente ero lì per D., ma poi lei non voleva far niente se non stare sul letto con un libro, allora andavo alla funivia con la G. Ma io ero lì per tutti loro, mangiavo e dormivo lì. Spesso alla sera, la M. faceva una meravigliosa peperonata e quando la faccio io, mi ricordo che diceva : ” I peperoni devono essere ben bruciaticci”, e li faccio ancora così.
Non avendo figli, allora vedevo meno C. e la Li. Ho recuperato in seguito.
Volevo bene anche alla O., ma era una persona da prendere con le molle. Piuttosto era diventata una persona così, a forza di star sola e con quello strano marito.
Tutte le volte che dovevo partire per l’università, ammesso che non te lo abbia già detto, non ricordo più tanto, a casa mia c’erano sempre scenette perché volevano che mi fermassi ancora qualche giorno. Io sapevo che se avessi ceduto anche una volta sola, dopo sarebbero diventati due o tre,  una settimana e così via. Il bello era che io a Milano non ci volevo andare, facevo una facoltà dove capivo poco, tutti gli altri alunni, che venivano dai licei di Milano, mi sembravano dei professori in confronto a me, i miei professori al Cassini si addormentavano in classe e poi, io non studiavo, persa da altri problemi, e poi dovevo leggere, ero in un tremendo arretrato. A Milano non conoscevo nessuno, non parlavo con nessuno. Ho sentito tremendamente il passaggio da Sanremo ad una città che non si può percorrere a piedi. E dove sei solo.
Una di queste volte, a casa mia, c’era O.
Dopo vari tiramenti da tutte le parti, sono scoppiata in singhiozzi. La I. si gira da mio papà e dice: “Noi non piangiamo così”. In effetti mi erano venuti fuori dei suoni repressi, quasi animaleschi. Così O. ha commentato: ” E’ furba, così adesso può andare”.
O. era una persona per me molto complessa, non era facile da capire, non la immagino per niente una persona calcolatrice, anzi, ma poi veniva fuori a volte con dei giudizi sulle persone come se queste potessero essere delle macchinette mosse da raggiri.
So che ci sono delle persone che vivono abbastanza così, ho un’amica di Sanremo che vive a Milano, che è un po’ così. Le sono amica perché non ha nessuno e poi, questo suo mondo, così lontano dal mio, mi attrae un po’, sono persone che qualunque cosa facciano, ti dicano – meglio, diciamo il più delle volte, perché nessuno riesce ad essere perfetto! – è per ottenere qualcosa.
Per O., la mia adolescenza, e la tua, che tra l’altro trovava “identiche manifestazioni”, era una mascherata, qualcosa fatto per impressionare il pubblico. In parte ci sarà stato anche questo, tutti gli adolescenti lo fanno.
Solo che ci si sta male davvero.
Nessuno è mai stato capace di raccontarmi com’era O. da ragazza, quando starai meglio e potrai scrivere senza ossigeno, magari me lo dirai tu, so che eravate molto vicini allora. Avevate numerato le barzellette...e poi ridevate solo col numero.  Forse andavate in villeggiatura insieme. Mi ricordo qualcosa, ma non bene, forse una volta O ti ci ha mollato ed è tornata a casa, così la nonna l’ha subito rispedita indietro. Eri stato molto malato e la nonna che riusciva in tutto nonostante i soldi, li ha trovati per farti cambiare aria. Ma “u petitu” doveva essere accompagnato. Sai che mia mamma ha mantenuto, come in tutto queste abitudini? Quando mi hanno ricoverata a Genova, lei mi ha spedito dietro mia sorella. Per lei un sacrificio incalcolabile, ma non l’ho mai vista ridere tanto, credo che tra preti e suore e la santità a mano, abbia una vita che le repelle profondamente, lei potrebbe essere una libertina con tanta energia compressa come ha, ma quando glielo dico, dice che sono che mi invento tutto.
Spero che tante stupidaggini ti svaghino un po’! Ti faccio da radio.
Come dici tu, credo proprio che tu abbia una crisi di stanchezza, non so come tu possa fartela passare, ma devi proprio farlo, la stanchezza, come sai anche tu, può portare alla depressione… anche senza fare paragoni tra il mio stato mentale e il tuo, non mi sono mai ammalata se non sotto stress, non so spiegarmi bene, ma quando siamo stanchi si allentano i controlli della nostra mente, il nostro io si slega un po’ dalla realtà, quella che percepisce e che gli può dare un po’ di piacere a vivere, si lascia un po’ invadere da immagini inconsce e non è detto che questo aiuti. La realtà percettiva, le sensazioni di cose piccole e concrete sono sempre una grande salvezza.Tua moglie e la sua grande allegria e la sua gioventù, i tuoi figli… se il nostro io si stanca, si lascia avvolgere come in una leggera nebbia, le percezioni risultano sbiadite, abbiamo meno voglia di comunicare, ci sentiamo un po’ stonati, un po’ fuori luogo e anche le cose che potrebbero darci piacere, sbiadiscono e noi non le sentiamo più. Solo che senza un po’ di piacere non si può vivere.
Ti dò le mie ricette, per quello che puoi fartene.
Sono agli ultimi tocchi del libro, fra una settimana te lo spedisco stampato, ho troppa pena di Bruno, varie parti le hai già lette. Altre, grazie al cielo, non ancora, non sarà tutto ripetuto, la lettera a Pia è stata abbondantemente rifatta. Ho diviso tutto in capitoletti perché sia più leggibile.
Fare questo lavoro mi ha stancato moltissimo, forse perché non è come scrivere un racconto, hai sempre le viscere in ballo, è stata un’ulteriore autoanalisi che mi ha fatto molto bene. La mia depressione va molto meglio, mi sento anche un po’ più intera. Quindi, comunque vadano le cose, valeva la pena.
Sono un po’ in ansia di mostrarmi a questa analista, che io stessa ho contattato, in fondo è esporsi molto, un po’ come lavare i panni sporchi in pubblico, vedi, che strano, se per caso dovessero pubblicarlo, non mi farebbe impressione perché non dovrei vedere i miei quattro immaginari lettori. Questa analista la conosco, è una persona molto sensibile e garbata. Veramente lascio nell’ombra una brutta impressione che mi ha fatto, chissà perché, ma è stata un’esperienza quasi traumatizzante. Come è buffa la mente, questa ombra scura mi è venuta alla mente solo adesso che parlo con te. Sarà perché tu sei il sole /elio) che illumini tutto?
Il libro è venuto molto lungo perché ho voluto seguire un mio ritmo nel fare gli spaziati, allora è più bianco che nero, così sembra lunghissimo. Manca una parte che farò in seguito. Adesso ho bisogno di riposarmi e fare altro. Entro una settimana lo stampo e lo mando, ti arriverà uno stra-malloppo!
Mi aiuta molto il tuo appoggio, anche solo dire ” spediscimelo”… mi fa un po’ da girello per camminare i primi passi.  Anche la Do l’ha letto e le è piaciuto, ma la Do è molto generosa, tu sei una persona difficile, e poi tu sei tu e il tuo giudizio mi è molto più prezioso.
Ho anche una busta da spedirti con alcune cose che mi aveva dato la tua antica innamorata per te, ma l’altra volta mi sono dimenticata, sono cartoline e un biglietto suo che credo di averti già trascritto. Non l’ho più sentita, non ho avuto tempo, ma so di sicuro che è sempre innamorata di te, la tua foto sul comodino e ti parla come si parlerebbe ad “un vero sposo”, quello sul cavallo bianco… Bisogna approfittare di tutto il buono possibile per rimanere attaccati alla vita, magari ci riserba qualche sorpresa, anche la nonna avrà detto che non possiamo sapere cosa c’è dietro l’angolo, non credo fosse una frase di mia madre.
E’ arrivata l’ora della cena, Francesca è da due giorni a Busto Arsizio a casa del ragazzo, così qui è tutto più tranquillo e ho anche meno da far da mangiare perché M. si accontenta molto e poi, gentilmente, trova sempre tutto buono.
Ti abbraccio e vorrei cantarti quella “cancao pra ninar” (canzone per cullare un piccolo), se è così il titolo, ma sono io che ho paura di volare, non tu, bruna
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