30 aprile 2013 ore 06:42 DAL SITO DEI LAICI ITALIANI: luigi accattoli “In quelle frasi l’eco di Jobs e Wojtyla” / con una minuscolo sputino di chiara

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29-04-2013, Luigi Accattoli, IN QUELLE FRASI L’ECO DI JOBS (E DI WOJTYLA),

Corriere della Sera

Di Redazione | 29.04.2013

«Parla come Steve Jobs», è stato detto. «Ma anche come Wojtyla»,
hanno segnalato altri. Il fatto è
che l’oratoria di Papa Francesco
non ha modelli e si affida all’istinto,
specie quando parla ai giovani.
Fa pensare a Jobs («Siate affamati, siate folli»)
perché invita a non accontentarsi:
«Andate sempre
al di là, verso le cose grandi»
ha detto ieri. Ma più chiaro e letterale,
sempre ieri, è stato il richiamo
a Wojtyla («Spalancate le porte a Cristo»)
quando ha detto: «Spalanchiamo la porta
della nostra vita
alla novità di Dio». Più volte ha già
usato anche l’altro motto wojtyliano
dell’antipaura: «Non
abbiate paura di sognare cose grandi»
aveva detto mercoledì ai ragazzi.
Più tipico suo è l’invito alla
folla perché si faccia sentire.
«Non sento» aveva detto l’altra
domenica mentre piegava con la mano
l’orecchio e attendeva la risposta
dei giovani a una sua domanda sulla
«chiamata» che può venire da
Dio. E poco dopo li esortava a
«gridare forte» il nome di Gesù.
Il Papa migliore è sempre quello che
improvvisa, Francesco lo sa e
infatti le chiamate alla folla le formula
staccando l’occhio dai fogli e
puntando la mano verso gli uditori.
Si direbbe che senta il bisogno che
la folla gli risponda. E ancor
più quando non è a una folla
che si rivolge ma a poche persone,
come per la «lavanda dei piedi» nel
carcere di Casal del Marmo,
quando pareva non si decidesse
a lasciare quei ragazzi destinati a
rientrare nelle celle: «Avanti, eh?
E non lasciatevi rubare la speranza,
capito? Sempre con la
speranza, avanti! Grazie».
caro mio gigi, sei rimasto bello, ma quegli occhi “furanti” mi impressionano non poco, avrò fatto bene
a mettermi in vista? Ragazzi miei tutti, cerco “scudo” in voi! la vostra tremula chiara

chiara: mi orgoglio di dire che secoli fa, siamo stati molto amici, luigi accattoli
ed io, niente di “tenero sottinteso”, amici amici, rara cosa. Poi tutto è girato
per ognuno in un ambiente diverso, tornata dal Brasile nell’ ’86 l’ho ricercato,
ma il nostro rapporto si e’ arenato sulla mia impossibilità di comunicargli
(e comunicare in genere) che ero stata pazza e che ancora mi stavo curando
duramente per uscirne. Mi riesce quasi impossibile rappresentarmi  allora,
un groviglio di dolore, vergogna, orgoglio – mio – prima di tutto, ma anche
-se me lo passate – orgoglio del coraggio di scoprire quel meraviglioso-
terribile mondo sotterraneo nel mio viaggio di un ulisse sotto-traccia.
Ma “non poterlo condividere” convinta che nessuno avrebbe creduto.
La pena della pacca amichevole sulle spalla, in quei casi, profondamente
umiliante. Senza poterlo mettere in parole, sentivo la fierezza di “esistere”
a pieno titolo di qualunque altro essere vivente che, pero’, era considerato
dalla comunità “normale” ed io “diversa”, con tutto quel senso asprigno
e nemico che questa parola ha ancora oggi,  ancor piu’ allora. Purtroppo,
per come sento io vivendo con gli altri, Basaglia è passato come una meteora
luminosa che non ha inciso minimamente sul “pensiero e sentire comune”.
Un’élite che non si è forse posto il problema di diventare “cultura” che
solo puo’ essere comunitaria. Vorrei tanto “abbracciarlo” e sentirci
ancora “insieme”, come tante volte siamo stati in quel mio anno a Roma:
non ho il timore- quasi – di trovarlo “male”, o per così dire “invecchiato”:
allora eravamo entrambi due signorinessuno, io sono rimasta tale negli anni,
lui è giornalista del Corriere e chissà altro; la “gloria” – quella che ti bacia in
fronte come Rascel-Napoleon- è ilarante, ma la temo profondamente.
Mi rassicura ricordare che aveva una mente fanciullesca “seriamente”
radicata e conseguente “profonda ingenuità” che-se la sorte lo ha aiutato
e soprattutto la sua fede cristiana – potrei rincontrarlo “salvato” nonostante
“le perigliose condizioni” del suo vivere. Da parte mia, sono stata salvata
dalla malattia-e dal mondo di tutti in cui vivo. L’infantilismo si accompagna,
come l’ellera ai muri, alla malattia mentale, ma con un eccesso di fortuna e
altrettanto olio di gomito, si puo’ trasformare in una parte bambina quasi profondamente intatta.
“Quasi”, mai dimenticarlo.
Gigi caro spero di raggiungerti con questa noticina su questo blog, non è la prima volta
che provo sul tuo personale, ma -con quell’allenamento alla speranza
che la nostra sinistra ci ha richiesto in questi mesi – credo che questa volta …
“Vincerò” , ma senza quel magnifico acuto del personaggio perché
l’energia manca del tutto per gridare. Piu’ facile, di questi tempi,
rimanere silenti in meditazione. bacissimi a tutti, chiara
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