28 OTTOBRE 2013 ORE 09:33 CREDETE VOI CI SIA UN PATTO MATTEO LETTA E IL COLLE: “aspetto un anno e poi …tottamo asfaltando l’Italia?” BUONGIORNO DA CHIARA DI LUNEDI’ (PRESTO ANCORA)—LE ALI STANNO “SCHISCE”…

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IL PATTO DI MATTEO CON LETTA E IL COLLE: “POSSO ASPETTARE UN ANNO, PER ORA” (Goffredo De Marchis)

28 ottobre 2013

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«So bene che per Napolitano il voto nel 2014 è un tabù. Per questo dalla Leopolda ho offerto una tregua al governo e al Quirinale». Matteo Renzi si è convinto che sia giusto darsi un profilo più istituzionale e meno arrembante. A maggior ragione adesso che manca un mese e qualche giorno alla sua investitura da segretario del Partito democratico. E a chi gli chiede se questa frenata rispetto al voto a marzo, sia sincera risponde: «Altrimenti non mi sarei ricandidato a Firenze, non vi pare?». Ma il giudizio a cui tiene davvero è quello degli ambienti internazionali, delle cancellerie europee, della Banca centrale e dell’America. Attraverso i suoi contatti, ha capito che l’interesse dei leader mondiali è un’Italia stabile fino al termine del semestre di presidenza Ue, ossia fino al dicembre del prossimo anno. Le sue rassicurazioni sono rivolte soprattutto a loro, che lo studiano da vicino, nemisurano giorno per giorno il tasso di affidabilità, di tenuta e di europeismo. Qualità che tutti riconoscono a Enrico Letta.

Il nuovo profilo istituzionale non lo cambierà nel profondo, promette ai suoi fedelissimi preoccupati dal logoramento di una figura che oggi è sulla cresta dell’onda, domani chi lo sa. «Non mi snaturo, non c’è pericolo», ripete a tutti. Non userà il linguaggio del Palazzo, non si farà irretire dai giochi della politica romana, è il suo giuramento. Lui per esempio non si sarebbe mai comportato come ha fatto Guglielmo Epifani sabato dopo il durissimo attacco ai politici e ai sindacalisti pronunciato dal finanziere Davide Serra. «Ero sicuro che Guglielmo gli avrebbe risposto. Io l’avrei fatto, non avrei accettato quel tono. Come ha fatto a far finta di niente? Ci sono dei momenti in cui non reagire diventa un delitto». E pensare che il segretario del Pd gli ha fatto un piacere, evitando di rovinare l’atmosfera di festa della Leopolda e confermando in sostanza la virata in suo favore. Ma per il sindaco il gusto della sfida e del coraggio vengono prima della riconoscenza per un regalo evidente.

Dario Franceschini è tornato dalla Leopolda con la sicurezza di aver strappato a Renzi le garanzie che il governo si aspettava sul fronte del Partito democratico. «L’accelerazione di Berlusconi avvicina il chiarimento nel Pdl. Per me significa solo che lo strappo definitivo di Alfano è dietro l’angolo. Quindi, il governo guadagna stabilità. E Renzi non si metterà di traverso». E’ il messaggio che il ministro dei Rapporti con il Parlamento affida ai suoi fedelissimi riuniti a pranzo appena terminato il discorso del sindaco. Renzi però ha dettato la sua linea riformista: legge elettorale maggioritaria sul modello dei sindaci. Quindi, un sistema di voto presidenzialista, una modifica della Costituzione profonda difficile da realizzare in questa legislatura. Senza contare il vero scoglio sempre in agguato: la messa in sicurezza del Porcellum, attraverso una norma transitoria (ma quanto transitoria?) che elimini il premio di maggioranza. Un’idea alla quale il governo e il Quirinale non hanno affatto rinunciato, ipotizzando una successiva modifica definitiva collegata al cambiamento della forma di governo. Ma ci si può fidare di una doppia svolta sulla legge elettorale nel giro di pochi mesi?

A questo dubbio è legata la difesa della norma Calderoli come male minore, come lo strumento cui aggrapparsi nel caso la situazione precipiti e si voti a marzo. La finestra di una crisi a gennaio non è scomparsa dall’orizzonte di Renzi. Il governatore della Liguria Claudio Burlando, sotto il palco della Leopolda, è sicuro che non ci esistano altre vie: «C’è un progetto, c’è un leader. E’ tutto pronto. Chi non lo vede è un pazzo. Non si può pensare di mettere in campo uno con la forza di Renzi e poi dirgli di aspettare all’infinito». Il silenzio con cui la platea di Firenze ha accolto i passaggi più prudenti dell’intervento del sindaco, confermano il giudizio di Burlando: quel popolo ha fretta di veder realizzata la rivoluzione di Renzi. Paolo Gentiloni la pensa allo stesso modo e si prepara allo scontro tra Marina Berlusconi e Renzi. In tempi brevi, s’intende. Eppure la “fretta”, in certi ambienti, è un disvalore. Lo sa bene Marco Carrai, l’uomo che cura le relazioni internazionali del sindaco, figura-chiave del renzismo: «Dobbiamo toglierci di dosso l’etichetta di quelli che non sanno aspettare». Se però sarà Berlusconi a chiudere la pratica larghe intese, Renzi non si tirerà indietro.

 

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