Le Scienze
LA RIVISTA IN EDICOLA
Il dilemma del protone
Siamo alle soglie di una rivoluzione
delle leggi della fisica?
In edicola dal 2 aprile
Un nuovo metodo per controllare i neuroni con la luce
© SEBASTIAN KAULITZKI/Science Photo Library/Corbis
SULLO STESSO ARGOMENTO
DAL SITO
31/10/2011
Nel cervello il DNA usa un “vocabolario” anomalo
06/05/2009
Il lato genetico delle decisioni
12/02/2014
Nuove opsine per attivare i neuroni con luce rossa
09/12/2013
La piccola molecola che controlla l’attività motoria
16/05/2011
All’origine delle circonvoluzioni cerebrali
11/02/2009
Poca genetica nel cablaggio delle reti nervose
06/02/2009
Le radici genetiche della sinestesia
DALLA RIVISTA
01/01/1998
Il ruolo del DNA mitocondriale nelle malattie degenerative
01/04/2000
Geni e cervello
01/12/2008
Interruttori di luce nel cervello
02/05/2012
L’impronta dell’identità
01/10/1998
La genetica delle capacita’ e delle disfunzioni cognitive
31/01/2012
Il codice epigenetico della mente
01/01/2011
Lampi di luce sul cervello
L’attività dei neuroni può essere controllata, anche in senso inibitorio, utilizzando raggi di luce in modo sempre più preciso grazie a una versione modificata della canalrodopsina, una proteina sensibile alla luce già usata in passato per innescare la trasmissione degli impulsi nervosi in neuroni di topo. Il risultato aumenta le possibilità di studiare il cervello di animali di dimensioni relativamente grandi, come ratti e primati (red)
Cuore del nuovo metodo di controllo neuronale è una versione modificata della canalrodopsina, una canale ionico di natura proteica, scoperta nel 2002 in una specie di alga unicellulare, che regola gli scambi di materiale della cellula con l’ambiente esterna. Grazie a essa, l’alga può regolare il proprio movimento nell’ambiente acquatico in base alla diversa direzione di provenienza della luce.
Nel 2005, in uno studio pionieristico condotto su topi di laboratorio, Deisseroth e colleghi trovarono il modo di far esprimere nei neuroni questi canali sensibili alla luce, aprendo così la strada al controllo dello scambio di ioni tra l’interno e l’esterno della cellula nervosa: gli studiosi dimostrarono di poter innescare a piacimento la trasmissione del segnale nervoso “illuminando” i neuroni con un segnale di luce esterno. Da allora, il metodo è stato utilizzato in centinaia di ricerche neurobiologiche, in un nuovo campo di studi denominato optogenetica.
Rappresentazione artistica di neuroni: sono sempre più ampie le frontiere dell’optogenetica, l’insieme delle tecniche che consentono di controllare l’attività dei neuroni mediante segnali di luce (© SEBASTIAN KAULITZKI/Science Photo Library/Corbis)Alcuni anni più tardi, si è trovato anche il modo di inibire l’attività neuronale, oltre che di eccitarla, grazie alla scoperta di una proteina simile alla canalrodopsina, denominata halorodopsina perché derivata da alcuni halobatteri. Nelle prime ricerche in questo campo, tuttavia, l’inibizione neuronale si poteva ottenere solo in modo parziale a causa della scarsa efficienza dell’halorodopsina nel rispondere alla luce.
Queste difficoltà sono state ora superate da Deisseroth e colleghi con una modifica ad hoc della struttura molecolare della canalrodopsina, trasformata in un canale inibitorio che consente di trasferire ioni negativi dall’esterno verso l’interno della cellula.
“Per arrivare a questo obiettivo occorreva conoscere nei particolari il canale ionico, fino alla scala atomica”, ha spiegato Deisseroth. Così nel 2012, il gruppo di Deisseroth ha utilizzato una tecnica di imaging a raggi X per comprendere la struttura della canalrodopsina chimerica chiamata C1C2. Con una lunga serie di successivi raffinamenti della struttura del canale per renderlo più stabile e più sensibile alla luce, gli studiosi sono arrivati infine a ottenere il canale ionico inibitorio voluto, che è stato battezzato iC1C2 (cioè C1C2 inibitorio).
Nella sperimentazione in vitro, il canale ha dimostrato le sue notevoli caratteristiche: esposto alla luce blu, rimane aperto per alcuni minuti, mentre quando è illuminato dalla luce rossa si chiude immediatamente.
“Arrivare a questo livello di sensibilità alla luce dell’inibizione dell’attività neuronale è un grande traguardo, che potrebbe migliorare enormemente la possibilità di studiare il cervello di animali di dimensioni relativamente grandi, come ratti e primati”, ha concluso Deisseroth.