ORE 10:09 —ADOLFO WILDT —nasce e muore a Milano—1868-1931—è tra i massimi scultori europei

 

 

 

 

 

 

ritratto maschile–adolfo windt — ( Sommariva )

 

 

 

 

 

 

 

Autoritratto di Adolfo Wildt

 

 

 

 

ADOLFO WILDT — MILANO 01/03/1868 – MILANO 12/05/1931

 

 

Nato da una famiglia di origine svizzera molto povera, Wildt è costretto a lasciare la scuola a 9 anni e lavorare come garzone da un orafo. A 11 anni entra nella bottega di Giuseppe Grandi, dove impara a scolpire, e poi si iscrive all’Accademia di Brera. In questo periodo conosce un ricco collezionista prussiano, Franz Rose, che diventerà suo amico e mecenate, finanziando le sue opere fino al 1912. Nel 1913, gli viene conferito il Premio Principe Umberto per il suo progetto per la fontana La trilogia alla mostra della Secessione di Monaco (oggi nella Società Umanitaria a Milano). Nel 1921 fonda a Milano una scuola del marmo; tra i suoi allievi più famosi sono Lucio Fontana, Fausto Melotti e Luigi Broggini. Il suo stile è influenzato dalla Secessione e dall’Art Nouveau. Nelle sue opere Wildt esalta il senso del silenzio, della malinconia, della sofferenza, ma anche della gioia e della delicatezza, deformando i suoi personaggi in modo simile ai pittori espressionisti.

 

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Monumento ad Aroldo Bonzaghi (Cento)

 

 

prigione

 

 

 

LA CONCEZIONE, 1921

 

 

 

 

 

 

Arte lunga vita breve (incisione di Wildt).

 

 

 

 

 

 

 

 

ritratto di Nicola Benservizi–1925

 

 

 

 

 

 

 

 

carattere fiero-anima gentile, 1912

 

 

MASCHERA

 

 

 

 

 

 

 

 

Un rosario – MCMXV, 1915 – 1917, gesso con doratura, 37,3 cm. Collezione Galleria Daniela Balzaretti, Milano

 

 

 

SANTA LUCIA

 

 

La Maschera del dolore (autoritratto) (1909)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

la madre 1929

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

scultura / ceramica

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

uomo antico 1911 ( da Elena Pontiggia —mostra a Brescia, 2000 Skira—)

 

Adolfo Wildt – L’anima e le forme tra Michelangelo e Klimt

Wildt - l'anima e le forme da Michelangelo a Klimt

Wildt. L'anima e le Forme

Maria Teresa Martini

Forlì, Musei San Domenico, 28 gennaio – 17 giugno 2012

 

Adolfo Wildt (Milano, 1868 – 1931) un grande artista del ventennio, ha ancora cose da dire? Nonostante sia stato rimosso per decenni?  L’occasione per scoprirlo è la grande mostra che Forlì gli dedica ai Musei San Domenico. L’omaggio allo scultore, colto, sofisticato e popolare del nostro Novecento è firmato da Fernando Mazzocca e Paola Mola affiancati da Antonio Paolucci.

Nel percorso la grande arte di Wildt viene messa a confronto con i capolavori di maestri del passato, che per lui furono fonti di  sicura ispirazione e per noi possono essere elemento di paragone con la sua grandezza. Passiamo da Fidia a Cosmè Tura, da Dürer, a Bramante,a Michelangelo, dal Bronzino, a Bernini, e Canova, per scorrere opere di alcuni suoi contemporanei: Previati, Mazzocutelli, Rodin, Klimt, De Chirico, Morandi, Casorati, Melotti. . . Non si tratta di richiami o confronti casuali, ma di precisi riferimenti ad opere con cui Wildt dialoga tutt’ora.

Wildt, figura che sarebbe piaciuta a Dickens: un ragazzo di povere origini e  di  grande talento che con l’impegno, lo studio, la costanza è riuscito ad esprimere una ricchezza culturale profonda. (vedi la  biografia su www.windoweb.it)

Fatta la gavetta, lavorando di giorno e studiando arte la notte, rimase estraneo al mondo delle avanguardie con toni da anticonformista.  La sua fedeltà alla figura emerge nella la vocazione monumentale, nel continuo dialogo con i grandi scultori e pittori del passato, coltivando nella scultura l’ esaltazione della tecnica e del materiale privilegiato, il marmo, del quale sapeva trarre  effetti sorprendenti.. nel lisciarlo in continuazione.
Tra l’altro l’idea che governa questa esposizione è di un percorso che metta in relazione l’artista con la città. Partendo dall’eccezionale nucleo di opere conservate a Forlì, dovute al mecenatismo della famiglia Paulucci di Calboli e  la disponibilità dell’Archivio Scheiwiller.

Ritroviamo un Olimpo di inquietanti idoli moderni,  i busti colossali di Mussolini, Vittorio Emanuele III, Pio XI, Margherita Sarfatti, Toscanini e di tanti altri eroi di quegli anni.  Wildt porta i gesti, i volti, le figure umane a una nudità essenziale, nel tentativo di coglierne l’anima, le sue ambiguità,’armonia/disarmonia  , profondità ed espressività, svolte nel rapporto tra la linea e la forma.
Si tratta di un dualismo che pervade tutta la cultura tedesca di questo periodo, e che arriva in Italia realmente solo con l’opera di Pirandello.

Franz Rose, suo mecenate, aveva anche messo in relazione Wildt con lo stesso Simmel. Da questo rapporto è possibile spiegare come Wildt sembri all’incrocio di esperienze tanto diverse tra loro, quasi inconciliabili: il gotico e il barocco, il classicismo e il manierismo, l’espressionismo e il simbolismo, il simbolismo visionario e la metafisica.

(Nell’ambito del Progetto Novecento,  a “Wildt. L’anima e le forme tra Michelangelo e Klimt”, allestita al San Domenico sono collegate altre esposizioni sul territorio: a Faenza, al MIC – Museo Internazionale delle Ceramiche, “La ceramica nell’età di Wildt”, a Cervia, ai Magazzini del Sale, “Giuseppe Palanti. La pittura, l’urbanistica. La pubblicità da Milano a Milano Marittima”, e a Predappio, nella Casa Natale di Mussolini, due mostre in successione: “Archivio del Novecento. Marisa Mori, donna e artista del ‘900, il talento e il coraggio” e “Renato Bertelli, la parentesi futurista”.)

Passiamo, per la verifica, tra le opere in mostra.

All’ esposizione ci introducono una Maschera colossale di Satiro, la Testa di Apollo (Apollo di Kassel ), il Torso del Belvedere , seguiti da un Capitello – imposta da S. Michele in Africo , Transenna marmorea del VI sec.  Materiale che fa da sfondo alle sculture di Wildt, è parte di quanto lo ha ispirato.

“Fin da ragazzo studiai con selvaggia intensità i nostri maestri antichi…unica fonte della mia arte…”

Ed ecco La martire (1895) Una vergine classica compita, che si astrae dal mondo, come il volto amato di una madre. Volto che richiama il ritratto della moglie e si ripete ne La Vedova (Atte): due copie in marmo del 1892  … per concludersi nel Medaglione Dina Wildt del 1926, volto  ripetuto in più variazioni, ma sempre con profilo sottile, occhi socchiusi, velo sul capo a raccoglimento e delle trecce e dello spirito. Amore e dolore,  capace di anticipare la dualità tra eros e thanatos approfonditi da Freud.

Arturo  Ferrarin, un aviatore bello, intraprendente,  ma nel retro dell’opera, posto in realtà a latere, si trasforma in una divinità angosciante, astratta , dorata, anticipatrice di ciò che noi vedremo nel 2000, in disegni e forme fantascientifiche.

Del 1906 Il crociato. Humanitas. Un guscio d’uomo che non è più né dentro né fuori , si è fatto armatura  medievale con un  torace senza testa… quanti tornarono ridotti così dalla guerra mondiale !

Altro tema di fondo di Wildt: la  duplicità della vita umana, ombra e luce, divinazione ed interpretazione, rivelazione mistero, vengono scolpite , ad imperitura memoria, senza scordare che tutto è fugace.

Carattere fiero – Anima gentile 1912,  marmo bifronte con dorature : lui un sovrano sacerdotale, lei, nel retro, una fanciulla addolorata, smarrita.

 

 

 

IL BUSTO DI MUSSOLINI

 

 

 

 

Siamo pronti per ri-vedereritratti di Mussolini,  posti al piano terra, vederli dopo le opere citate, consente di cogliere, anche in questi inni mediatici del ventennio, la capacità di  Wildt di rendere l’immagine ed il suo doppio:

Mussolini 1923 in bronzo, stilizzato, ha sul capo l’ infula romana come novello Napoleone …  la seconda opera è una gigantografia. Percepite anche voi  un sottointeso ironico dell’artista che mi sembra confermato nella  maschera svuotata e posta su una piastrella.

 

Già nel ’23 e nel’28 ne fu criticata l’esagerazione, negli anni cinquanta  Calvino sottolineò come  fosse un’immagine sopra le righe, del tutto novecentesca, ma con occhiaie vuote ….

Certo è  che Mussolini la approvò, e grazie alla regia di Marina Sarfatti, divenne più che popolare in Italia e all’estero, in mostre, sui testi scolastici, nei libri, nei giornali, riprodotta ovunque  per celebrare l’ immagine del duce …   ora porta lo sfregio delle  picconate dei partigiani sul gigantesco Busto in bronzo, danneggiato nel ’45

Anche noi, come i contemporanei, confrontiamo  Mussolini (1923) con Il maestro ArturoToscanini (marmo, del 1924 ), la statua esprime vigore, sicurezza austera, e nell’ espressione dello sguardo persino un tocco di presunzione.

 

 

 

 

Il re vittorioso (Vittorio Emanuele III) è  imponente, solenne, con  labbra che  si atteggiano ad una smorfia bonaria (scolpito dopo il 1929).

Maschera dell’idiota 1910, acquistata da Gabriele D’annunzio, prestata alla mostra dal  Vittoriale, marmo su bronzo,      (esiste anche una Maschera del l’idiota in bronzo su marmo ) sorride con tutti i denti superiori, non ha mento: maschera volta a sottolineare la volgarità di alcune risate: troverete che anticipa alcuni personaggi a venire, nostri contemporanei.wildt_Maschera-idiota

“maschere… un soffio e passano, per dare posto ad altre. ciascuno ci racconta la maschera come può – la maschera esterna, perché dentro c’è poi l’altra,  che spesso non s’accorda con quella fuori.”

(L. Pirandello 1908)

Significativo il Monumento funebre ad Aroldo Bonzagni (1919 marmo) Tre maschere ai piedi di un alberello stilizzato come oreficeria.

Tre maschere ironia, satira, dolore. Il dolore ha il volto contratto, il sorriso della commedia è ironico, la satira è una maschera del Teatro Romano. Il tutto rende innovativa e provocatoria l’interpretazione di un’opera funebre. Maschere premonitrici … leggono passato e predicono futuro ai presenti, a chi è rimasto, a chi osserva. Fino a quando l’alberello fragile durerà?

Seguono altre due opere funebri: Cesare Sarfatti (marmo) pensoso, un po’ sornione, garbatamente ironico;

il Ritratto di Vittorio Grubicy de Dragon che nel marmo  diventa un profeta, quasi un mago Merlino. Ma il monumento dedicato a Borzagni è sicuramente il più trasgressivo.

L’attenzione si volge a Filo d’oro , due copie in marmo, più una in gesso, del 1927 : un filo d’oro diversamente annodato è il tema che lega e segue le fanciulle nell’evolversi delle loro età, da bambina a madre: visi sempre delicati, marmo lisciato fino a diventare morbido come cera, lucido come onice.

Fulcieri  Paolucci di Calboli –erma- suggestiva in marmo dorato , WIldt si richiama al Canova ma rende un ‘espressività originale ,arguta, autentica.

Il prigione marmo 1915 digrigna i denti, geme, come un antico guerriero, forse uno schiavo. L’uomo è diventato prigioniero?

Ancora dolore in Vir Tempori Acti (1911 marmo), militaresco ma ambiguo, gotico e barocco insieme, i capelli ordinatamente divisi in più striature, il seno a forma di fiore è un’ allegoria provocante … il viso è la maschera del dolore di un animale ferito.

 

Orecchio 1918, altro emblema della mostra nel cortile del museo, marmo su base in bronzo, ripreso nel 1922, surreale, plastico, barocco.

Per Augusto Solari presenta due Volti di fanciulli di una grazia e delicatezza squisite, così diverse da tante opere tragiche, aspre, esasperate. Serenità e dolcezza ricevono uno straniamento dal fatto che i due busti sono diventati simili a pedine, perché posti su una predella particolare, da pedone.

Un rosario – MCMXV Gesso con doratura nella treccia 1915, seconda copia in marmo dorato: un viso indimenticabile, gracile, esprime un intensità dolorosa , tormentata. Figura diafana e sottile. la treccia d’oro intorno al capo rimanda a Klimt. Sembra una figura anoressica, simbolo di un’ anima universale, ricattatrice e sofferente , non si sa se potrà reggere una maternità’ tanto è fragile , eppure ha toni da dominatrice.

La protezione dei bambini (Pargoli 1918 marmo due copie del 1916)
L’anima e la sua veste, la madonna sembra bisbigliare nel vento una cantilena.

Madre adottiva disegno e opera in gesso 1917: la figura elegante, avanza con passo delicato, bacia la punta delle dita del piccolo, e sorregge un lume. Resa con straordinaria tenerezza

Maria dà luce ai pargoli cristiani 1918 una Maria con pochi tratti sempre più eterea e delicata .Le  figure infantili si richiamano ad immagini  di Bambini del Durer, ma diventano piccole corolle protette dal manto della madre. Silfide moderna con drappeggio greco.

Del 1927 sempre marmo con nimbo dorato  S. Lucia esprime una sincerità crudele con la bocca che grida e dall’apertura delle orbite, dove gli occhi che non ci sono più, scende una lacrima, più convincente della Santa Teresa del Bernini. Chiede aiuto.

Del 1926 Pio XI, marmo con dorature, ritroviamo il doppio nello stesso soggetto,  braccia e copricapo imperiali, come il trionfale Bonifacio VIII  al Museo medievale di Bologna, alla posa da faraone  si aggiunge un’ espressione di cattolicità guerriera,  nelle due braccia  espulse dal manto. Anche Pio XI dietro ha il vuoto, è reso vuoto, arrogante e svuotato. il Pontefice  non  volle l’opera, che fu regalata solo negli anni ‘70 a Paolo VI per la sua collezione di arte moderna.

Da contraltare, sempre nel  1926, San Francesco in bronzo, poi in marmo, con nimbo dorato: un San Francesco ascetico con occhi e atteggiamento da pecorella smarrita da confrontare con il pathos della sofferenza del S. Antonio di Cosmè Tura.

Sono le parole stesse di Wildt a suggerire che esiste una provocazioni tra la fede  dell’infanzia e i dubbi degli adulti.

La Concezione (La madre, testa ) altorilievo marmo dorato come La famiglia.  (Sono presenti anche particolari  Testa del figlio 1922 per la composizione della famiglia. Testa della madre )
Esprimono una maternità arcana e surreale : un bimbo sospeso nel vuoto in solitudine dorata, mentre la madre ha le mani giunte ed il padre urla .

Intorno al tema di Parsifal lavorava da tempo,

Il Puro Folle (particolare mano destra) 1916 poi testa, mano sinistra. Il puro folle (Parsifal) del 1930, in  bronzo è lontanissimo dalle categorie del regime, dal ghigno della la maschera del Vittoriale, è l’ ondeggiante sintesi manieristica delle tematiche precedenti: siamo mortali e fallibili, procediamo in un difficile equilibrio tra la vanità del mondo e la profondità dello spirito. Qui è reso da un’elegante figura di ermafrodito che appoggia il piede su un Graal, ed il calice cede. Il messaggio gli è stato suggerito dal  drammatico slancio in avanti  del San Matteo del Bronzino,  ma Parsifal dopo il passo in avanti, arretra inorridito. Sintesi di dubbio e dis-velamento.

La modernità nasce qui, nella celebrazione di molte allusioni e contraddizioni.

 

Testa di Margherita Sarfatti senza data in marmo “pensosa, forte, delicata… un dolore contenuto che lei certo vede”, queste le parole di ringraziamento della stessa Sarfatti.

Nel ritratto di Julia una dolcezza e fragilità ottenute con il continuo levigare il marmo fino a  fargli perdere peso per renderlo come avorio .

Un discorso a parte merita la grande opera grafica Le grandi giornate di Dio e dell’Umanità 1925 a matita e carboncino  su carta per tradurre Firmamentum con grandi bianchi, grandi neri, i sei giorni della creazione ci presentano un Dio che crea e che soffre, nel creare si priva della vista? Per dare la luce al mondo.

Dalla Mente di Dio tutto proviene, anche il dolore…Dio ha bisogno dei nostri occhi per consentire all’umanità di proseguire una  creazione sur-reale. Questo il motivo per cui , nella natività, Giuseppe appare privo della vista?

 

www.mostrawildt.it

biografia ed immagini in www.windoweb.it

 

 

 

 

 

 

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