BLOG ” MINIMA ET MORALIA ” —PUBBLICHIAMO QUALCOSA A CHI POTESSE INTERESSARE—E POI LA NOTTE CHE CI PRENDA! chiara per il blog–

 

 

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UN PATRIOTA SICILIANO. GIOVANNI FALCONE VISTO DAGLI STATI UNITI

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(fonte immagine)

«(…) L’Ambasciatore ha chiamato il Segretario generale del Presidente Cossiga, Sergio Berlinguer, per manifestargli le proprie preoccupazioni. Berlinguer ha assicurato all’Ambasciatore che la questione sarà chiarita domani e che l’impegno antimafia sarà rafforzato. (…) Gli Stati Uniti hanno un forte interesse a preservare il pool e i magistrati che ne fanno parte. Le nostre agenzie di investigazione hanno una forte e attiva collaborazione con l’Ufficio Istruzione di Palermo.

Questa relazione, sia personale che professionale, è cresciuta negli ultimi otto anni e si è dimostrata indispensabile nel successo di indagini e di procedimenti svolti congiuntamente in Italia e negli Usa in casi di criminalità organizzata e traffico di stupefacenti. Nonostante che l’Ufficio Istruzione di Palermo sia piccolo, si occupa di molte delle più importanti inchieste di comune interesse tra i nostri Paesi. Ogni cambiamento significativo nel personale del pool, e particolarmente la perdita di Giovanni Falcone, danneggerebbe questi procedimenti».

PIO LA TORRE È STATO UNA STORIA DIVERSA

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Pubblichiamo la prima parte di un lungo ritratto di Pio La Torrerealizzato da Gabriele Santoro a partire dal libro Sulle ginocchia. Pio La torre, una storia, scritto dal figlio Franco per Melampo.

Per la foto ringraziamo l’archivio online del Centro studi Pio La Torre.

1. La terra a tutti

«Due di maggio, bandiere al vento. Son morti due compagni, ne nascono altri cento», urlarono dal cuore del corteo. In fondo però sapevano anche loro che la morte violenta di Pio La Torre e Rosario Di Salvo non era una ferita suturabile. A Enrico Berlinguer, e soprattutto al Paese, il terrorismo politico mafioso, che ha dettato parte cospicua dell’agenda dei giorni nostri, aveva sottratto due uomini valorosi. «(…) Perché hanno ucciso La Torre? Perché hanno capito che egli non era uomo da limitarsi a discorsi, analisi, denunce di una situazione, ma era un uomo che faceva sul serio alla testa di un grande partito di lavoratori e popolo. Era capace di suscitare grandi movimenti, di stabilire ampie alleanze con forze e uomini sani, democratici di altre tendenze; di prendere iniziative che colpivano nel segno», scandì il segretario del Partito Comunista Italiano durante l’orazione funebre.

VIVI DA MORIRE. DIALOGO IMMAGINARIO TRA DUE CAPITANI: GIACINTO FACCHETTI E GIOVANNI FALCONE

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Oggi, 23 maggio, vogliamo ricordare Giovanni Falcone. E lo facciamo pubblicando un estratto da Vivi da morire di Piero Melati eFrancesco Vitali, appena uscito in libreria per Bompiani. Il libro racconta storie di mafia e di coraggio, eroi conosciuti, come Falcone, Mauro Rostagno, Ninni Cassarà, e persone spesso dimenticate, come Gianmatteo Sole, e a dare la voce a tutti, in equilibrio tra favola e inchiesta, è il “cuntaru” per eccellenza, il cantastorie Colapesce. Ringraziamo l’editore e gli autori per la gentile concessione.

Falcone e Facchetti, i due capitani

di Piero Melati e Francesco Vitale

Può uno stadio naufragare come se fosse un vascello nel cuore di una tempesta? Certe volte questi morti che abitano il castello fanno discorsi veramente strani. Pensano di aver visto una partita e invece si scopre che l’hanno anche sognata, trasfigurandone le circostanze. La fortuna di questo morto, secondo Colapesce, è che ha incontrato, come suo vicino di posto, uno che di ricostruzioni se ne intende. Ma, una volta separato il sogno dalla realtà, ammesso che davvero lo si possa fare, comincia un sorprendente dialogo tra due uomini importanti, seri, due uomini delle istituzioni. Il capitano della nazionale di calcio e il magistrato che insegnò a tutti come si indagava sulla mafia. Anche lui un capitano. E se i morti sognano…

CHE COSA RIMANE

Capaci

Oggi, come molti di voi ricordano, è l’anniversario dell’assassinio di Giovanni Falcone, di sua moglie e della sua scorta. Lo ricordiamo con questo breve testo inedito, scritto una decina di anni fa.

Chiudere gli occhi e riaprirli era una specie di gioco cha facevo da bambino. Era credere di avere una macchina fotografica incastonata negli occhi. Ogni battito di palpebre un flash, e qualcosa sulla retina rimaneva impressionato. Contavo fino a uno, a due, a tre, e poi mi domandavo: Se adesso riapro gli occhi qualcosa è cambiato? Sono io che faccio accadere le cose con la forza dell’attesa del mio sguardo? Odiavo il tempo immobile. Capitava anche così, spesso, che con gli occhi chiusi, durante queste acmi fasulle suonasse qualcuno alla porta oppure squillasse il telefono. Del resto in un’infanzia, in un’adolescenza passata in una casa, senza tempi scanditi da nulla, il telefono diventava il cuore aritmico domestico (così era nelle sitcom, così era nella vita). E anche quella volta tirai la testa in basso, chiusi gli occhi per cinque, dieci secondi, e il telefono squillò, e disse: “Maude”.

 

 

 

 

 

 

 

 

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