ALBERTO NEGRI, IL SENSO DI ONNIPOTENZA DI AL-SISI
Per chi resiste c’è sempre un’altra versione della storia. Che il generale al- Sisi sia un intoccabile lo avevamo capito perfettamente. Un giorno il presidente egiziano incassa decine di miliardi di dollari dalla casa reale saudita. Un altro giorno firma contratti con il francese Hollande, quello seguente accoglie il segretario di Stato John Kerry preceduto dallo scongelamento degli aiuti militari all’Egitto. Si sente così sicuro di sé che le sue forze speciali hanno arrestato il dottor Ahmed Abdallah, presidente della commissione egiziana per i diritti e le libertà (Ecrf), una ong che sta offrendo consulenza ai legali della famiglia Regeni: è accusato di «istigazione alla violenza per rovesciare il governo e adesione a un gruppo terroristico».
Il generale al-Sisi assomiglia nei metodi sempre di più ai suoi generosi sponsor sauditi, grati per avere fatto fuori con il colpo di stato del 2013 i Fratelli Musulmani dell’ex presidente Mohammed Morsi.
Con la loro insistenza a chiedere la verità sul caso di Giulio Regeni, gli italiani sono diventati così fastidiosi che una giornalista egiziana si è permessa alla tv di mandarci pubblicamente al diavolo.
Che la Reuters abbia raccolto le prove del coinvolgimento di polizia e servizi nell’assassinio del giovane ricercatore importa soltanto a noi.
Quasi nulla ai nostri alleati (ieri ha battuto un colpo la Gran Bretagna), in primo luogo alla Francia che sostiene al-Sisi
e il suo protetto Khalifa Haftar in Libia, per niente intenzionato a dare via libera al governo di Tripoli varato dall’Onu.
Persino il nuovo premier libico Sarraj ha mangiato la foglia: mentre il G-5 era riunito ad Hannover ha chiesto un intervento internazionale per proteggere i pozzi petroliferi, nominalmente contro l’Isis
in realtà per fermare Haftar che in Cirenaica esporta oro nero e riceve
aiuti militari degli Emirati in violazione dell’embargo.
Il generale al-Sisi oggi serve troppi interessi delle grandi potenze occidentali e arabe perché possa essere scalfito dalle richieste di giustizia dell’Italia. Anche noi, considerati sopra il Brennero gli arabi del Nord,
come Sarraj abbiamo mangiato la foglia.
Abbiamo capito
qual è la vera guerra al terrorismo dell’Isis:
depotenziare il terrore islamico e inglobarlo in uno stato autocratico che si può permettere tutto in quanto membro certificato di un ordine costituito.
Così fa al-Sisi, così promette Haftar in Libia ma anche Erdogan in Turchia, che secondo l’Akp vuole…
finisce qui nel link solo per correttezza:::
Avvisi della rubrica antica e sempre nuova ” Non c’entra niente”: su “Il Fatto” di domenica 24 aprile 2016 pag. 14, a cura di Ferruccio Sansa: la Costituzione e la Bibbia nello zaino. Il pellegrinaggio da Marzabotto a Barbiana: un prete, padre Francesco Cavallini, con 14 ragazzi, ha marciato sui crinali tra l’Emilia e la Toscana. Partenza da Montesole, luogo vicino alla strage di Marzabotto ma anche al monastero dove è sepolto Giuseppe Dossetti, sacerdote e padre della Costituzione, fino a Barbiana di Don Milani. Francesco è un gesuita di 47 anni che d’estate porta i suoi ragazzi a Scampia oppure a Nablus in Palestina. A Genova è diventato un punto di riferimento per i giovani. Nello zaino i giovani portano il libricino della Costituzione, per ricordare a chi se ne fosse scordato che l’Italia ripudia la guerra ( art.11), l’articolo 10 sugli stranieri, il 3 sulla dignità e l’eguaglianza, il 4 che dice: ” Ogni cittadino ha il dovere di svolgere…un’attività e una funzione che concorra al progresso materiale e spirituale della società”. Il padre Francesco invita i ragazzi:” Adesso camminiamo in silenzio pensando a cosa facciamo noi per la società un cui viviamo”. Vicino al crinale appenninico c’è San Benedetto Val di Sambro, luogo della strage dell’Italicus e del rapido 904. Dopo il passo della Futa c’è il cimitero dove sono sepolti 30.000 tedeschi e dopo si arriva a Barbiana, dove Don Milani cercò di unire utopia e realtà. Un pellegrinaggio tra il religioso e il laico, che ci ricorda dei valori e delle ricchezze morali che dovremmo tenere sempre come bussola.
ma che bello nini! Lo pubblico subito! I ” cuori urgenti ” di Jannazzi!
chiara si riferisce al testo pubblicato da Donatella!
Sempre per la rubrica del non c’entra niente: ” Gramsci finisce in due camere e cucina”, a cura di Massimo Novelli, da “Il Fatto”, martedì 26 aprile 2016, pag. 8: a Torino il palazzo secentesco, cosiddetto Piazza Carlina, dove visse poveramente dal 1913 al 1922 Antonio Gramsci, è stato trasformato in un albergo a 4 stelle. La Fondazione piemontese “Antonio Gramsci” riesce a considerare ” un nuovo luogo della cultura” una sorta di negozietto, neppure troppo visibile, come luogo gramsciano. Ubicato al piano terra, tra le vie Maria Vittoria e San Massimo, nella parte posteriore dell’hotel, è stato concesso alla Fondazione dal gruppo spagnolo NH, proprietario dell’ albergone. Dentro, tra le sedie e un tavolo, i quadretti e la libreria che ospita qualche raccolta anastatica dei giornali fondati da Gramsci. Poteva però anche andare peggio, dato che l’hotel avrebbe dovuto chiamarsi proprio “Gramsci”. La mobilitazione di cittadini di tutta Italia ha impedito nel 2014 che l’albergo recasse il nome dell’ oppositore al fascismo e del leader comunista, che ebbe quali uniche stanze di pernottamento, dopo l’arresto, quelle del confino di Ustica, di San Vittore, di Regina Coeli e di Turi. Anche prima dell’arresto da parte della polizia di Mussolini, Gramsci aveva vissuto confuso tra il proletariato di Torino, in un locale di corso Firenze e nella stanzetta nell’edificio allora popolare di piazza Carlina, a pensione dalla madre di un amico, Berra, con il diversivo della casa dei compagni di lotta Alfonso Leonetti e Pia Carena. Si potrebbe dire, metaforicamente parlando, che le ceneri di Gramsci a Torino sono state disperse sul retro di un hotel, tra una boutique di abiti e un negozio di occhiali.