CORRIERE, 2 FEBBRAIO 2015
MARCO PAOLINI (1956)
TEATRO STREHLER
Uomini e cani: Paolini
rilegge Jack London
L’attore in scena dal 3 febbraio con un nuovo spettacolo musicale: «Amo London perché parla di sconfitti»
«Ho scelto Jack London perché parla di sconfitti, persone che pagano duramente per aver osato portare le loro sfide oltre i limiti, un po’ come Mario Rigoni Stern». Marco Paolini torna alla letteratura con «Ballata di uomini e cani», un tributo al grande scrittore americano, autore di straordinarie pagine dal sapore selvaggio d’avventura e libertà. In scena, in dialogo drammaturgico-musicale con Paolini, l’autore delle ballate Lorenzo Monguzzi (ex Mercante di Liquori), al suo fianco Angelo Baselli e Gianluca Casadei.
«Rileggere Jack London da adulto, mi ha fatto venir voglia di dar voce a tutto ciò che non potevo cogliere quando ero ragazzo», afferma Paolini; «i pensieri tormentati e le sue magnifiche contraddizioni ora sono diventati una piccola antologia». Sul palco tre brevi racconti, «Macchia», qui proposto in chiave comica, ha per protagonista un cane bello, simpatico e molto furbo, l’unico cane da slitta che non sa o non vuole lavorare. Sul rapporto paura-dipendenza tra cane e padrone, «Bastardo», una vicenda che Paolini trasforma in una piccola tragedia shakespeariana; il cerchio si chiude con «Preparare un fuoco», il racconto che ha fatto scattare la scintilla da cui è nato lo spettacolo, la storia di un uomo e di un cane che durante la corsa all’oro tentano una strada diversa, più rischiosa; ignorare i consigli dei vecchi, per l’uomo sarà fatale. «Ciò che mi ha più colpito è il punto di vista dell’autore. London non accusa il protagonista di scarsa prudenza, ma di mancanza d’immaginazione. L’uomo non riesce a sopravvivere perché non sa valutare le conseguenze dei suoi atti». Un racconto dal sapore filosofico che l’autore americano, morto a quarant’anni, ha scritto due volte a distanza di sette anni cambiando il finale, («ho scelto la seconda versione, la più cattiva»). Pagine che Paolini qui propone in forma di dramma, senza per questo voler appesantire la storia: «nessuna predica o morale, sarebbe davvero lontano dallo spirito dell’autore, il pubblico troverà la sua chiave di lettura».
Inevitabile la riflessione che il racconto rimanda sull’oggi. «L’immaginazione fa parte dell’esperienza, è una dote necessaria per sopravvivere, dice tra le righe London; la sua mancanza provoca tragiche conseguenze, le vediamo ovunque. Un esempio? L’assenza d’immaginazione dei cittadini nord americani sul fronte politica estera». Prima di salutarci l’attore, impegnato in un progetto cinematografico con Andrea Segre di cui «è ancora presto parlare», afferma: «per il teatro sto studiando… ne ho fatte troppe di cose, ora ho bisogno di scrivere in modo più radicale, andare fino in fondo alle mie intenzioni». A proposito di scrittura e libertà d’espressione, cosa pensa Paolini del processo a Erri De Luca? «Spesso non sono d’accordo con lui, ma ho letto il suo libro, le sue ragioni sono convincenti, non si può processare questo tipo di pensiero, ogni volta che accade ognuno di noi è ancora più solo. Il potere più forte oggi è l’autocensura, ma non bisogna farsi intimidire.”
JACK LONDON ( SAN FRANCISCO, 1876-1916 // ha 40 anni)
John Griffith Chaney, conosciuto con lo pseudonimo di Jack London, scrittore statunitense nato a San Francisco il 12 gennaio 1876, è una delle più singolari e romanzesche figure della letteratura americana. Figlio illegittimo, allevato da una madre spiritista, da una nutrice nera e da un padre adottivo che passava da un fallimento commerciale all’altro, si fece precocemente adulto sui moli di Oakland e sulle acque della baia di San Francisco insieme a compagnie poco raccomandabili.
Se la strada fu la culla della sua adolescenza, Jack London era uso frequentare ladri e contrabbandieri, costretto ai mestieri più disparati e non sempre legali. Nella sua giovinezza passò da un lavoro all’altro senza troppe difficoltà: cacciatore di foche, corrispondente di guerra, avventuriero, venne coinvolto egli stesso nelle famose spedizioni in Canada alla ricerca del mitico oro del Klondìke. Jack London ha comunque sempre coltivato e custodito dentro di sé il “morbo” della letteratura, essendo costituzionalmente un gran divoratore di libri di ogni genere.
Cimentatosi ben presto anche con la scrittura London riuscì a essere per circa un quinquennio scrittore tra i più famosi, prolifici, e meglio retribuiti che si ricordino, pubblicando in tutto qualcosa come quarantanove volumi. Il suo spirito era però perennemente insoddisfatto e ne sono testimonianza i continui problemi di alcool e gli eccessi che hanno contrassegnato la sua vita.
Una stupenda trasfigurazione di quello che Jack London era, sia sul piano sociale che interiore, la fece lui stesso nell’indimenticabile “Martin Eden“, storia di un giovane marinaio dall’animo ipersensibile che si scopre scrittore e una volta raggiunta la fama si autodistrugge, anche a causa delle netta percezione di essere comunque un “diverso” rispetto alla società fine e colta rappresentata dalla benestante ed educata borghesia.
Jack London scrisse romanzi di vario genere, da quelli avventurosi come “Il richiamo della foresta” (pubblicato nel 1903) a “Zanna Bianca” (1906), a quelli appunto autobiografici, fra cui si ricordano fra l’altro “In strada” (1901), il già citato “Martin Eden” (1909) e “John Barleycorn” (1913). Si è cimentato anche con la fantapolitica (“Il tallone di ferro”) e ha scritto numerosi racconti, tra cui spiccano “Il silenzio bianco”, e “Farsi un fuoco” (1910). Psicologico, filosofico e introspettivo è “Il vagabondo delle stelle” (The Star Rover oppure The Jacket), del 1915.
Più volte si è dedicato al reportage (come quello, del 1904, sulla guerra russo-giapponese) e alla saggistica e trattatistica politica (“Il popolo dell’abisso”, celebre inchiesta, condotta di prima mano, sulla povertà nell’East End di Londra).
Il suo stile narrativo rientra a pieno titolo nella corrente del realismo americano che, ispirandosi alnaturalismo di Zola e alle teorie scientifiche di Darwin, privilegiando i temi della lotta per la sopravvivenza e del passaggio dalla civiltà allo stato primitivo.
Gli scritti di Jack London hanno avuto, e continuano ad avere, una diffusione enorme, specie tra il pubblico popolare d’Europa e dell’Unione Sovietica. Non altrettanta fortuna ha però avuto questo irruento ed istintivo scrittore presso i critici, specie quelli accademici; soltanto in anni recenti si è assistito, sia in Francia sia in Italia, a una larga rivalutazione, soprattutto a opera di critici militanti della sinistra, grazie alle tematiche affrontate nei suoi romanzi, spesso orientate alla descrizione di ambienti rozzi e degradati tipici delle classi subalterne, con storie incentrate su avventurieri e diseredati, impegnati in lotte spietate e selvagge per la sopravvivenza, in ambienti esotici o insoliti: i mari del Sud, i ghiacciai dell’Alaska, i bassifondi delle grandi metropoli.
Al di là di queste rivalutazioni postume, di cui in fondo London per sua fortuna non ha mai avuto bisogno, è sempre stato riconosciuto a questo scrittore anti-accademico un talento narrativo “naturale”, meglio espresso nella dimensione ridotta dei racconti. La sua narrativa è caratterizzata infatti da un grande ritmo, da intrecci avvincenti e originalità nella scelta dei paesaggi. Il suo stile è asciutto, giornalistico.
Quella che viene ora rivalutata è però la sua capacità di cogliere con immediatezza contrasti e contraddizioni non solo personali, ma collettivi e sociali, in particolare taluni conflitti caratteristici del movimento operaio e socialista americano di fine secolo.
Sulla morte di Jack London non vi è una chiara e precisa cronaca: una delle ipotesi più accreditate è che, distrutto dal vizio dell’alcool, sia morto suicida il 22 novembre 1916 a Glen Ellen, in California.
http://biografieonline.it/biografia.htm?BioID=433&biografia=Jack+London