REPUBBLICA DEL 30-12-2017
Intervista
Pier Luigi Bersani
“Le mie condizioni per trattare con Pd e M5S dopo il voto”
STEFANO CAPPELLINI,
ROMA
Pier Luigi Bersani, si è appena conclusa la legislatura aperta con la “non vittoria” del suo Pd.
«Intanto con i voti del 2013 il Pd ha governato 5 anni. Non so se gli ricapiterà. Per come eravamo usciti da quelle elezioni avevo pensato indispensabile un governo di cambiamento, anche un po’ all’avventura se si vuole, ma in grado di collegare bene il partito al sommovimento nella società. Il voto dei 101 su Prodi smontò non solo il candidato presidente della Repubblica ma anche quella possibilità. Dopodiché, a un certo punto si è persa la strada».
Cioè è arrivato Renzi?
«Io, da moderatamente bersaniano, una cosa la rivendico: aver visto già tre anni e mezzo fa che si rischiava di tirare la volata alla destra. I miei voti li avevo presi dicendo la verità, cioè che eravamo nei guai e occorreva uno sforzo. Chi aveva di più, doveva dare di più. Poi è cominciato il racconto inverso, che arrivava il bel tempo, che chi sollevava dubbi era un gufo. Da investimenti e diritti siamo passati a bonus e storytelling. Questo ha determinato nei ceti popolari uno sbandamento, quando invece c’era bisogno di rassicurazione. E si è creato un distacco profondo tra Pd e un grande pezzo di popolo».
Il miglioramento negli indicatori macro-economici c’è.
«La crisi è finita dappertutto. Ma rispetto al 2008 il Pil italiano è a meno 6, la media europea è a più 7.
Si sono investiti 20-25 miliardi per cancellare la precarietà e abbiamo record storico di precarietà. La nostra ripresa è un refolo, per giunta mal distribuito. La forbice delle disuguaglianze si è allargata.
Ridurla non è esigenza della sinistra, ma del Paese».
Gentiloni, a capo di un governo appoggiato per buona parte anche da Mdp, rivendica buoni risultati.
«Metto in fila i fatti. Scippato un referendum sui voucher, otto voti di fiducia su una legge indigeribile come il Rosatellum, assenza assoluta di correzione delle politiche economiche e sociali nella legge di stabilità, il caso Boschi, infine il non casuale affossamento dello Ius soli. Sono costretto a concludere che dietro al volto più accettabile di Gentiloni c’è il cuore duro del renzismo. Non ci si può accontentare delle buone maniere.
Anche perché dove non va la sinistra, prima o poi va la destra».
La sinistra divisa in due alle urne è un bell’aiuto alla destra.
«Questa è la nuova bufala nel corridoio. Ai soloni che sostengono che facciamo vincere la destra chiedo: c’è un elettore di Liberi e uguali che, non ci fosse la nostra lista, voterebbe Pd? Se ne trovate uno su dieci, auguri. Noi rimettiamo in campo un elettorato disperso, dovrebbero ringraziarci».
Ma con il Pd siete disposti a discutere dopo il voto?
«Andremo a tutti i confronti possibili nel campo di centrosinistra. Se le elezioni costringessero il Pd su una piattaforma in netta discontinuità con il passato si potrebbe aprire una discussione. Se invece il Pd esce dalle urne dicendo “siamo come eravamo”, la sua strada può essere solo Berlusconi».
Però il governo con Berlusconi lo fece il suo Pd.
«Io ho detto che non avrei fatto governi con Berlusconi e non li ho fatti, perché non è obbligatorio avere una poltrona di governo. Il governo Letta, che rese impossibili le leggi ad personam, fu abile a spaccare la destra, e noi il giaguaro lo avevamo davvero un po’ smacchiato. Poi è stato resuscitato grazie al patto del Nazareno».
Renzi giura che non farà accordi con Berlusconi.
«Renzi ha coltivato l’idea demenziale di far fuori la sinistra ed ereditare i voti di Berlusconi per poi giocarsela contro i barbari M5S. Ma la destra esiste da prima della sinistra, non agisce per conto terzi».
Se Di Maio vi chiedesse i voti per far partire un governo M5S?
«Nel caso andiamo lì, streaming o no, e diciamo: diritti del lavoro, investimenti su ambiente e territorio per dare lavoro, servizi universalistici su sanità e scuola, fisco fedele e progressivo, civismo e diritti. Questi sono i titoli. Sia chiaro, non sto proponendo un’alleanza, perché non togliamo le castagne del fuoco a nessuno. Ma non do alibi ai 5 stelle. Sono loro che non discutono e l’impotenza del M5S è un guaio per l’Italia».
M5S ha appena contribuito ad affossare lo Ius soli.
«Il loro opportunismo si è sommato al cinismo della destra e alla pavidità del governo e del Pd. Con l’addio allo Ius soli stiamo seminando rancore in 800 mila persone. Un gesto che pagheremo.
Comunque se Di Maio dice fuori dall’Europa, gli dico ciao. Se non discute di Ius soli, idem».
Eravate contro la personalizzazione della politica.
Liberi e uguali ha il nome di Grasso nel simbolo.
«Non confondiamo l’idea presidenzialista dell’uomo solo al comando, che era una torsione del maggioritario, con un riferimento culturale e civile in un sistema proporzionale. Non stiamo eleggendo un capo del governo».
Avete dovuto ricorrere a un papa straniero.
«Non è mica straniero quel ragazzo di sinistra. Grasso è un patriota».
C’è un problema con il suo ruolo di seconda carica dello Stato?
«Trovo vergognosi gli attacchi rivolti a Grasso, ai quali non è in condizione di replicare. Lo voglio fare io. Mai nella storia della Repubblica si è messa in discussone la pienezza dei diritti politici delle cariche istituzionali. Questo in punta di principio. In punta di opportunità, come si può pensare che una persona come Grasso abbia valutato da solo questa decisione?»
Sta dicendo che ne ha discusso con Mattarella?
«Non lo so, ma non posso non pensarlo. Mentre invece so che ognuno vorrebbe essere libero in campagna elettorale. Se si scambia per interesse privato un servizio alla nazione è scandaloso».
Il tesoriere Pd Bonifazi chiede a Grasso 80 mila euro di arretrati.
«Della questione non so niente.
Sono esterrefatto di come gente che ha buttato milioni di euro per una incredibile campagna referendaria e si è impegnata a raccogliere soldi più per la Leopolda che per il partito ora voglia scaricare su Grasso i cassintegrati Pd. E che sui giornali sia questo lo spazio che si trova per Grasso».
Su Boschi avete picchiato duro. Anche lei affrontò le elezioni con il caso Mps aperto.
«Solo che nel 2013, come poi si è visto, su di noi c’erano accuse totalmente inesistenti. Qui c’è invece una serie di fatti e fatterelli. E soprattutto c’è stato e c’è il disinteresse a tenere le istituzioni al riparo. Se manca questa sensibilità, il resto sono quisquilie».
Renzi ha perso molte tornate elettorali e – dite voi – le ha sbagliate tutte. Però ha vinto in carrozza le primarie del Pd.
Qualcosa non torna.
«Sul ruolo delle primarie nello snaturare i meccanismi di discussione e decisione c’è da riflettere, anche sulle imperfezioni nell’origine statutaria del Pd. Ma allargo le responsabilità. Purtroppo in questo Paese c’è in pezzi ampi dell’establishment l’idea che convenga un governo con il guinzaglio corto. Renzi ha evitato ogni discussione sulle sue sconfitte, ma ditemi qual è l’organo di stampa, l’associazione, il movimento che l’abbia pretesa».
Ha deciso dove si candiderà?
Nel Pd si pensa di schierare Fassino nel suo collegio.
«Deciderà la squadra. Io so solo che posso girar per strada e venir trattato con simpatia e benevolenza. Contro di me mettano chi vogliono».
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