SILVIA STRUZZI, IL FATTO DEL 26-04-2018 ::: STEFANO RODOTA’ E L’ULTIMA LEZIONE SULLA DIGNITA’

 

il fatto quotidiano del 26-04-2018

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Stefano Rodotà e l’ultima lezione sulla dignità

 

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RICCARDO MANNELLI, SU REPUBBLICA

 

Non passa giorno in cui non ci manchi Stefano Rodotà, la cui voce – autorevole, libera, spesso scomoda – si è sempre fatta sentire nel dibattito pubblico, sovente in solitudine, perfino negli ultimi mesi quando non stava bene… Il suo pensiero continua a essere attuale e a parlarci, anche attraverso un bel libro postumo, uscito da poco per il suo storico editore Laterza, che s’intitola Vivere la democrazia e indaga il rapporto tra dignità e identità dell’uomo contemporaneo, affrontando, con la consueta profondità dell’analisi, alcuni temi cruciali come il diritto al cibo, i beni comuni. E il lavoro.

Qualche giorno fa, Eurostat ci ha informati del fatto che l’Italia (dati 2017) è penultima in Ue per il livello di occupazione, con il 62,3% nel 2017 nella fascia tra i 20 e i 64 anni. Fa peggio solo la Grecia con il 57,8%. Sempre Eurostat, circa un mese fa, aveva reso noti i dati sui “lavoratori poveri”: circa 12 lavoratori italiani su 100 sono a rischio povertà nonostante percepiscano uno stipendio. Si tratta dell’11,7% della forza lavoro, una percentuale ben al di sopra della media Ue (9,6%). Abbiamo spesso detto che il lavoro, posto dai costituenti all’articolo 1 come “fondamento della Repubblica”, è il perno della nostra Carta. In Vivere la democrazia Rodotà va oltre, analizzando il lavoratore come figura che “dà diretta concretezza all’homo dignus”. Una figura oggi messa in discussione, “anzi sfidata e radicalmente negata, da una logica di mercato che, in nome della produttività e degli imperativi della globalizzazione, prosciuga i diritti e ci fa ritornare verso quella ‘gestione industriale degli uomini’ che è stato il tratto angosciante dei totalitarismi del Novecento”. Si è rotto il nesso tra lavoro e dignità, con “una rinnovata riduzione delle persone a cose, a ‘oggetti’ compatibili con le esigenze della produzione”.

Il lavoro, si domanda il professore, può essere “inteso come pura merce”, e la determinazione del suo prezzo può “essere solo affare di mercato”? La risposta, negativa eppure ignorata, ce la dà ancora una volta la nostra Costituzione, a cui Rodotà, che ha insegnato Diritto civile tutta la vita, ha voluto così tanto bene da essere spesso definito “costituzionalista”. L’articolo 41 ci dice che “l’iniziativa economica privata è libera”. Ma anche che “non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana”. E l’articolo 36 statuisce che “il lavoratore ha diritto a una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa”. Come si vede, il legame tra tutto è proprio il concetto di dignità. La risposta costituzionale affidata all’articolo 36 è stata però progressivamente svuotata di senso da politiche sempre più “flessibili”, come dimostrano i dati sopra citati. “Viene così oscurato anche il nesso più generale tra rispetto di libertà e dignità e libera costruzione della personalità, che caratterizza l’articolo 2 e cui viene finalizzata la stessa garanzia dei diritti fondamentali, facendo emergere anche il nesso con la solidarietà. Di questa è necessario tener conto in un sistema che si vuole fortemente segnato dall’attenzione per le relazioni, per una dignità non solo individuale, ma sociale”. Una dignità collettiva che si sta via via sgretolando mentre le disuguaglianze crescono. La Costituzione, “parlando di persona, non intende l’astratto individuo, ma la persona sociale”. Stefano Rodotà non è mai effettivamente stato inquilino del Colle, eppure è stato un presidente della Repubblica onorario: i suoi giudizi, i suoi consigli erano moniti spesso più incisivi e soprattutto più ascoltati di quelli quirinalizi. Speriamo lo sia anche la sua ultima, lucidissima, lezione.

 

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