UNA PAROLA AL GIORNO.IT — ASTRATTO—–analisi di Francesco Morante (link sotto) del primo quadro astratto di Kandinskij (1910)

 

UNA PAROLA AL GIORNO.IT

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Wassily Kandinskij, Primo acquerello astratto, 1910

 

 

Questo acquerello è la prima opera totalmente astratta di Kandinskij. Nacque come studio per un’opera più complessa, realizzata nel 1913. Esso tuttavia ha una sua organicità, e un suo primato, che lo hanno reso una delle opere più famose dell’artista.

Al quadro manca una qualsiasi spazialità. Si compone unicamente di macchie di colore e segni neri che non compongono delle forme precise e riconoscibili. Non è quindi possibile ritrovarvi una organizzazione di lettura precisa. Lo si può guardare partendo da un qualsiasi punto e percorrerlo secondo percorsi a piacere. Ma, come le opere musicali, che hanno un tempo preciso di esecuzione, anche i quadri di Kandinskij hanno un tempo di lettura. Non possono essere guardati con un solo sguardo. Sarebbe come ascoltare un concerto eseguito in un solo istante: tutte le note si sovrapporrebbero senza creare alcuna melodia.

I quadri di Kandinskij vanno letti alla stessa maniera. Guardando ogni singolo colore, con il tempo necessario affinché la percezione si traduca in sensazione psicologica, che può far risuonare sensazioni già note, o può farne nascere di nuove. Tenendo presente ciò, i quadri di Kandinskij, soprattutto quelli più complessi a cui diede il nome di Composizioni, si rivelano essere popolati di una quantità infinita di immagini. Ogni frammento, comunque preso, piccolo o grande che sia, ha una sua valenza estetica affidata solo alla capacità del colore di sollecitare una sensazione interiore.

Si tratta di un approccio all’opera d’arte assolutamente nuovo ed originale che sconvolge i normali parametri di lettura di un quadro. Ma è un approccio che ci apre mondi figurativi totalmente nuovi ed inediti, dove, per usare una espressione di Paul Klee, «l’arte non rappresenta il visibile, ma rende visibile ciò che non sempre lo è»

www. francesco morante .it

 

http://www.francescomorante.it/pag_3/314aa.htm

 

Astratto

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a-stràt-to

SIGNIFICATO ::: Ottenuto per astrazione, isolandolo dal contesto; privo di contatto con la realtà; assorto; separato

voce dotta recuperata dal latino abstractus, participio passato di abstràhere, composto di abs- ‘via da’ e tràhere ‘trarre’.

L’immagine fondamentale dell’astratto è quella del separato, di ciò che è tratto o si trae via – sottinteso dal suo contesto, dalla realtà. E in effetti, tutti i suoi articolati significati sono declinazioni di un isolamento.Il collega smette di risponderci, astratto nei suoi pensieri. Quel tavolo, astratto dal resto dell’orrenda mobilia, sarebbe anche decente, magari riesci a venderlo. Nel quadro astratto troviamo il rifiuto di mutuare e riprodurre elementi della realtà naturale. Il referente di un sostantivo astratto (la paura, l’intelligenza) non lo posso indicare con il dito. La soluzioneche proponi è astratta, va valutato meglio se si adatta al caso. Il biologo si basa su caratteri astratti per riconoscere l’animale che osserva. La capacità di strutturare e usare concetti astratti è un pilastro della versatilità dell’ingegno umano.Perché l’isolamento dell’astratto non è semplicemente o solo scostante, disinteressato, sconnesso; sa soprattutto essere una sintesi essenziale che induciamo dalla realtà. L’astratto se ne allontana, ma è capace di ripiombarci penetrante e incisivo per spiegarla, per svelarla, per dominarla.______________________________(G. Vasari, Le vite de’ più eccellenti pittori, scultori e architettori, parte III, vol. I)[Piero di Cosimo era] uno spirito molto vario et astratto da gli altri […] Innamorato [dell’arte], non curava de’ suoi comodi, e si riduceva a mangiar continuamente ova sode che, per risparmiare il fuoco, le coceva quando faceva bollir la colla; e non sei o otto per volta, ma una cinquantina, tenendole in una sporta, che consumava a poco a poco. […] Aveva a noia il piagner de’ putti, il tossir de gli uomini […]; e quando diluviava il cielo d’acqua, aveva piacere di veder rovinarla a piombo da’ tetti, e stritolarsi per terra.

Ecco un altro bestseller cinquecentesco, la prima vera storia dell’arte italiana: capostipite di un fortunatissimo filone letterario, ma anche indicatore di una nuova concezione dell’arte.

Infatti nel Rinascimento l’artista incarnava un ideale di equilibrio e misura (ricordiamo la ‘sprezzatura‘ di Castiglione). Adesso però siamo entrati nel manierismo, in cui dominano artificio e bizzarria: sia per un desiderio di distaccarsi da regole troppo rigide (è anche il momento della Controriforma), sia per una serpeggiante inquietudine, che sospinge verso i lidi dell’irrazionale. Ecco quindi affiorare quel topos di “genio e sregolatezza” che si affermerà più tardi coi romantici, per arrivare infine a noi.

Ma sarà poi vero questo stereotipo dell’artista astratto dalla vita?

Beh, anzitutto bisogna capire cosa intendiamo. In questo testo astrattezza significa scarsità di legami sociali; infatti Piero di Cosimo vive in una solitudine ascetica, ed è ipersensibile ai suoni della vita comunitaria come il pianto e la tosse. E, se prendiamo il termine in quest’accezione, mi sento incline a generalizzare: una certa difficoltà di integrazione, diciamocelo, è una costante tra artisti e poeti.

Tuttavia se per “astratto” intendiamo slegato dalla realtà, allora il discorso cambia. Cade a fagiolo una frase di Caproni: “La gente intende per poeta un uomo con la testa fra le nuvole. Niente di più falso. Il poeta è un uomo vero, l’uomo più concreto che esista sulla terra. Proprio chi dice di aver la testa sul collo è tra le nuvole: l’uomo d’affari, il politico di professione… Tra le nuvole perché è distratto, è tutto nei suoi problemi e non vede la realtà.”

Forse, allora, l’artista ha bisogno di essere un po’ “astratto” proprio per non essere “distratto”. La sua divergenza dalla normalità è insieme premessa e conseguenza di uno sguardo “vero” sul mondo: uno sguardo che, paradossalmente, può comprendere e interrogare in profondità proprio quegli “altri” da cui si astrae.

Lucia Masetti, dottoranda in studi umanistici all’Università Cattolica di Milano, ogni lunedì apre uno scorcio letterario sulla parola del giorno.

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