NANDO DALLA CHIESA, IL FATTO DEL 30 APRILE 2018 ::: GIOVANNI, UN FIGLIO NEL NOME DEL PADRE E DEL CORAGGIO

 

IL FATTO QUOTIDIANO DEL 30 APRILE 2018

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Giovanni, un figlio nel nome del padre e del coraggio

Il secondogenito di Antonio Montinaro, caposcorta di Falcone, ha destinato il risarcimento ottenuto a una borsa di studio

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ANTONIO MONTINARO CON LA MOGLIE, al momento della morte aveva 29 anni e due bambini

La distinzione tra la paura e la vigliaccheria fu uno dei suoi più grandi lasciti morali. La tracciò un giorno in un’intervista destinata alla cronaca, e che si scolpì invece nella memoria di tanti. Si chiamava Antonio Montinaro, era il caposcorta di Giovanni Falcone, uno dei tre ragazzi in divisa – lui, Rocco Dicillo e Vito Schifani – che sempre si ricordano quando si rievoca la strage di Capaci. Sua moglie Tina ci lasciò invece un altro lascito. L’invito a non chiamarli sbrigativamente “i ragazzi della scorta”, perché “se tu a un uomo gli togli pure il nome che cosa gli resta?”.

Antonio e Tina, ragazzi innamorati, ebbero due figli: Gaetano, che ora di anni ne ha trenta, e Giovanni che ne ha ventisette. Ed è da proprio dal secondo che arriva ora il nuovo messaggio di una famiglia che rappresenta l’anima pulita e di questo Paese. Giovanni è dipendente della Regione Sicilia grazie a una legge introdotta decenni fa per aiutare i familiari stretti delle vittime innocenti di mafia. Un impiego pubblico, quasi un debito da assolvere, da parte di chi non ha fatto il necessario per difendere i propri cittadini onesti dalla violenza mafiosa. Nell’ultimo processo Giovanni ha avuto un risarcimento in denaro. E ha subito pensato di istituire, con quei soldi, una borsa di studio per giovani laureati. A nome dell’associazione “QuartoSavonaQuindici”, il nome in codice dell’auto su cui il padre fu devastato dal tritolo di Cosa Nostra. Una borsa per tesi di laurea utili alla prevenzione e alla lotta “al fenomeno della criminalità organizzata, in particolare di stampo mafioso”.

“Che cosa dico di questa sua scelta? Dico che come madre sono orgogliosa”, prorompe Tina nel suo accento napoletano, “vuol dire che l’ho cresciuto bene, e che il rispetto verso gli altri predicato dal padre è una dote anche sua. Giovanni ha pensato una cosa: come sono stato aiutato io da tutti gli italiani, è giusto che vengano aiutati anche gli altri ragazzi bisognosi. In fondo suo padre era fatto così. Noi siamo fatti così”. Noi. Quel pronome pronunciato con tanta fierezza spiega una storia senza rese. “Vede, Gaetano, il mio figlio più grande, è molto riservato, vuole vivere i suoi momenti intimamente, solo da due anni partecipa alla commemorazione della strage. Giovanni invece allora aveva un anno e mezzo, non ha ricordi del padre, e così li mette insieme, ricostruisce lui la memoria, andando a parlare ora dall’uno ora dall’altro. E se c’è da fare qualcosa non si tira indietro. Dice ‘mio padre l’avrebbe fatto’, si mette le mani in tasca e fa, e aiuta”.

La borsa di studio ha messo a fuoco la questione più urgente da studiare. “Si affronti”, recita il bando del primo anno, “il tema relativo alle correlazioni esistenti tra mafia ed economia, focalizzando l’attenzione sul dato normativo e/o effettuando un’analisi economica delle aziende colpite dalla normativa antimafia”. Ed è stata dedicata alla memoria di Antonio Manganelli, il questore di Palermo poi diventato capo della Polizia, che fu vicino alla famiglia e che le consegnò per sempre quella “QuartoSavonaQuindici”, testimonianza della terra trasformatasi in onda di pietra, come hanno modo di constatare i visitatori quando la trovano esposta per le contrade d’Italia.

La borsa sarà presentata a Palermo l’8 settembre, “il giorno del compleanno di mio padre”, spiega Giovanni. Ci sarà anche il capo della Polizia. Partirà dal prossimo accademico e vuole attenersi rigorosamente ai principi “di trasparenza, correttezza, democraticità e meritocrazia”.

“Mi aspetto tanto”, confessa Giovanni, “spero possa essere un passo avanti in una certa direzione, fatto con persone sane al fianco. Vede, nasce dalla voglia di fare qualcosa, mio padre era uno che faceva, come il dottor Falcone”. Proprio così, “il dottor Falcone”, lo chiama, come se continuasse il rapporto di deferenza del padre. “Lo faccio con la massima umiltà, io non ho studiato tanto, anche se leggo e non voglio sentirmi ignorante. Ma in questo paese non si crede nella ricerca, non ci si investe, e io l’ho voluto fare. Dall’altra parte investono in ciò che può essere loro utile. Anche noi dobbiamo farlo. Ho avuto tanto dagli altri, e voglio restituirlo in minima parte, mio padre era una persona generosa e buona, anche se il ruolo di caposcorta gli ha dato forse un’immagine un po’ diversa”. Dice “immagine” e per un attimo riappare l’altro ragazzo, quello che aveva paura ma non voleva essere vigliacco. E per questo fu ucciso con il “suo” giudice.

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1 risposta a NANDO DALLA CHIESA, IL FATTO DEL 30 APRILE 2018 ::: GIOVANNI, UN FIGLIO NEL NOME DEL PADRE E DEL CORAGGIO

  1. Donatella scrive:

    Ci sono davvero persone eccezionali, che hanno una profonda sensibilità verso gli altri, oltre che la consapevolezza della propria dignità e della capacità di migliorare la realtà. E’ bello anche scambiarci queste preziose notizie, che ci fanno stare meglio.

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