FEDERICO ROMAGNOLI, ONDAROCK.IT ::: KINO, IL POST-PUNK DELLA PERESTROJKA

 

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 Viktor Robertovič Coj, TRASLITTERAZIUONE BRITANNICA: TSOI (LENINGRADO 1962, TUKUMS, IN LETTONIA, 1990) è stato un cantantechitarristaattorepoetaartista e vigile del fuoco sovietico, leader della rock band Kino.

 

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Kino

Il post-punk della perestrojka

di Federico Romagnoli 

Viktor Tsoi è forse la più grande icona del rock russo. Morto a ventotto anni in un incidente automobilistico, ha comunque fatto in tempo a produrre una serie di dischi leggendari e a contrastare la censura del regime sovietico nei confronti della musica rock. Ripercorriamo la storia della sua band.

 

Kino

Antefatto – ritmi di primavera e mercato nero

 

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Tbilisi, capitale della Georgia

 

“Vesennie ritmy, Tbilisi-80!”: questo è il titolo del festival che nel 1980 cambiò il volto della cultura russa. Fino a quella primavera il rock nell’Unione Sovietica era severamente vietato e soltanto i musicisti statali, rigidamente controllati, potevano pubblicare musica che ci si avvicinasse, per quanto in forma annacquata e sostanzialmente innocua.
Di band che miravano a suonare rock senza il guinzaglio delle autorità ce ne erano diverse, ma erano costrette alla clandestinità e si esibivano quasi sempre con strumenti acustici per evitare di essere rintracciate dalla polizia (la pena per i trasgressori era l’arresto). Il partito comunista della Georgia decise però di cambiare le carte in tavola, quando fra il 1978 e il 1979 si ritrovò a fronteggiare una lunga serie di contestazioni studentesche. Per paura che la situazione sfuggisse di mano, venne creato un evento che fosse capace di intercettare le esigenze dei più giovani, in modo da placarne i bollenti spiriti. Nacque così il primo festival sovietico dedicato alla musica rock.
Per la prima volta le band all’infuori del circuito statale non solo potevano suonare pubblicamente, ma erano invitate a farlo. Il festival fu un successo e da quel momento l’approccio del potere nei confronti della musica rock cambiò radicalmente. L’etichetta statale continuò a respingere le band rock, temendone il potere sovversivo, ma cadde il veto sulle esibizioni. Due furono le conseguenze istantanee: la nascita di un prolifico circuito concertistico, che si estendeva da Leningrado alla Siberia, e la possibilità per quelle band di distribuire la propria musica.
Fino a quel momento la durezza della repressione aveva scoraggiato la maggior parte delle band, ma con la possibilità di esibirsi ogni sera davanti a decine di persone (in breve divenute centinaia e poi migliaia), registrare un album e distribuirne una copia su cassetta o su bobina magnetica a chi del pubblico ne facesse richiesta, divenne un imperativo morale. Duplicati poi da chi li aveva acquistati al concerto, e passati ai propri conoscenti, quei nastri si diffusero a macchia d’olio in tutta la nazione. Per questo motivo quando si tratta il rock sovietico anni Ottanta la data di pubblicazione di un album viene fatta coincidere con il momento in cui la band ne ha lasciato circolare il nastro, nonostante a livello ufficiale l’album non esistesse. Un vero e proprio mercato nero, che permise di fatto la popolarizzazione del rock.
In breve le band “illegali ma tollerate” proliferarono. Fra le tante nate pochi mesi dopo quel festival ce n’è però una che più di ogni altra ha assunto un ruolo centrale nella storia della musica russa: i Kino. La loro leggenda è interamente legata al cantante e autore, Viktor Tsoi, figura carismatica che ancora oggi, a distanza di un quarto di secolo dalla morte, affascina molti fra i giovani delle nazioni dell’ex-Unione Sovietica.

45 (1982)

Figlio di una professoressa russa e di un ingegnere kazako di origine coreana, da cui i suoi peculiari tratti somatici, Viktor è ancora studente quando inizia a suonare in coppia col chitarrista Alexey Rybin, nella primavera dell’82. Durante alcuni concerti in un club di Leningrado conoscono Boris Grebenshikov, che a sua volta sarebbe divenuto una leggenda del rock russo a capo degli Akvarium. Grebenshikov, più grande di diversi anni e decisamente più smaliziato, risulterà un’influenza determinante per il proseguimento della loro carriera. A ogni modo, nel 1982 i Kino sono sostanzialmente un duo folk che, a dispetto delle indubbie capacità del leader, ancora deve trovare la propria strada.
Grebenshikov si offre di produrre il loro primo album e li introduce nello studio di registrazione casalingo messo in piedi da un altro personaggio-cardine di quella scena, Andrei Tropillo. Il budget è a ogni modo striminzito e la band si limita a una serie di canzoni acustiche, con arrangiamenti ridotti al minimo nonostante il sostegno di alcuni membri degli Akvarium.
45 è un lavoro acerbo e – tolto il timbro vocale di Tsoi – privo di personalità. Più che la musica, sono i testi ad attirare l’attenzione: metafore sulla monotonia della vita borghese e sulla necessità di evadere, critiche all’omologazione voluta dal regime, paesaggi naturali come simbolo di libertà, eccetera.
L’armonia del duo a ogni modo non dura e dopo una serie di litigi Rybin scompare dal radar dei Kino. Tsoi pensa di mollare, ma Grebenshikov lo convince a cercare un sostituto, che si materializza dopo alcune audizioni nella figura di Yuri Kasparyan. Il ragazzo ha studiato violoncello da bambino, ma a detta di Grebenshikov non è capace di suonare la chitarra e il produttore tenta di convincere Tsoi a cercare di meglio. Il cantante però intuisce una profonda alchimia col nuovo membro e conferma la scelta, in virtù di un gusto melodico a suo avviso peculiare e nella speranza che la tecnica migliori col tempo, cosa che poi effettivamente avverrà.

Nachal’nik Kamchatki (Начальник Камчатки) (1984)

yuri_kasparyanIn realtà poco prima di questo secondo album, diventa di dominio pubblico un altro nastro, intitolato 46 e contenente in parte le stesse canzoni, in versioni che hanno lasciato insoddisfatto Tsoi e non avrebbero mai dovuto vedere la luce. Tuttavia, in un’epoca in cui i dischi esistono anche senza esistere, può capitare che una mano malandrina metta un nastro in circolazione senza che il titolare se ne accorga. La mano in questione fu quella di Aleksey Vishnya, tecnico del suono e amica di Tropillo, in seguito produttrice di molti nomi importanti di quella scena.
Volendo però rispettare la volontà di Tsoi, non lo si può considerare un vero disco dei Kino, come è invece il nastro intitolato alla Kamchatka. È un momento importante per il progetto, che si avvia da qui a diventare una band vera e propria, e per la prima volta – nuovamente su consiglio di Grebenshikov – decide di affrontare i suoni della musica internazionale. Grande fan di David Bowie e Gary Numan, il produttore muove Tsoi verso la new wave, ma il risultato non potrebbe essere più sbilenco rispetto a ciò che l’orecchio occidentale è abituato ad associare a quella corrente.
Registrato anche questo con un budget risicato e pertanto caratterizzato da innumerevoli pecche a livello di tecnica del suono, il disco non risulta tuttavia un fratello sfortunato delle band anglofone, come invece accade talvolta con le band del sottobosco post-punk tedesco e francese. Perché per i Kino la mancanza dei mezzi non è una mera questione finanziaria. A loro l’accesso a uno studio professionale veniva negato a priori, e questa condizione di inferiorità ha di fatto concimato la loro fame di rivalsa, come è accaduto spesso agli artisti che si sono trovati a dover raggirare i vincoli di una dittatura. Non è un caso che ancora oggi gli anni Ottanta, nonostante le loro restrizioni, siano considerati l’epoca d’oro del rock russo. E per quanto l’album possa apparire povero, contiene idee, suggestioni e canzoni degne di nota.
Gli arrangiamenti sono più ricchi di quanto le singole linee del suono, scheletriche, lascino intendere. Le ficcanti linee di basso sono opera di Aleksandr Titov degli Akvarium, che fino al 1986 sarà membro effettivo di ambo le band, almeno in studio. Uno degli strumenti dominanti è la tastierina Casio VL-1, con i suoi deliziosi bip bip da videogioco, suonata da Grebenshikov e dal compianto compositore Sergey Kuryokhin, ospite in un paio di brani. Danno una mano anche il sassofonista jazz Igor Butman, i cui interventi colorano la tela di un’atmosfera urbana vagamente noir, e il batterista Georgy Guryanov, che suona in tre brani e compare in copertina, ma dovrà aspettare il 1986 per diventare membro ufficiale dei Kino.
Il brano d’apertura, “Posledniy geroy” (Последний герой), è destinato a diventare uno dei loro inni. Il synth stonato e l’eco esacerbante della batteria non ne minano la melodia a presa rapida e il potere di un testo che si scaglia contro il grigiore della routine: “La notte è breve, l’obiettivo lontano. La notte così spesso vien voglia di bere, entri in cucina, ma l’acqua qui è amara. Non puoi dormire qui, non vuoi vivere qui, buon mattino, ultimo eroe”.
In “Syuzhet dlya novoy pesni” (Сюжет для новой песни) il synth si prodiga in un arzigogolato assolo, che ne esalta il mood ansiogeno, mentre nell’ibrido reggae “Trolleybus” (Троллейбус) e nella metronomica “Gost’” (Гость) si possono trovare le prime scintille creative di Kasparyan alla chitarra, fra scansioni granitiche, riff epici e distorsioni ovattate. Da menzionare infine il solenne lento “Trankvilizator” (Транквилизатор) e i toni più distesi di “Progulka romantika” (Прогулка романтика).

Eto ne lyubov’… (Это не любовь…) (1985)

Registrato a casa di Vishnya durante una pausa dallo studio di Tropillo, è l’album jangle-pop dei Kino. Nonostante lo scherzetto dei nastri di un paio d’anni prima, la produttrice è rimasta in buoni rapporti con Tsoi, e gli mette volentieri a disposizione i propri mezzi. La scaletta mostra senza remore la folgorazione di Tsoi nei confronti dei due album degli Smiths, importati illegalmente dalla Gran Bretagna. La loro ingerenza è però fin troppo pesante. Anche se il suono è ben organizzato e la qualità dell’incisione per la prima volta decente, tutti i brani sembrano visti dalla stessa angolatura: undici cantilene pop-folk tinte da vorticose trame elettroacustiche. Ce ne sono comunque di particolarmente riuscite: la festosa “Muzyka voln” (Музыка волн), la più tesa “Ver’ mne” (Верь мне), con le note allungate del basso a fare da propellente, e la title track, che starebbe bene a fianco di “Reel Around The Fountain”.
Tsoi, Kasparyan e Vishnya, che programma la drum machine, sono le uniche persone presenti in ogni sessione, mentre Titov, particolarmente impegnato con gli Akvarium, registra tutte le parti del basso in una sola giornata.

Noch’ (Ночь) (1986)

Ci sono diverse ragioni che rendono questo album la chiave di volta della carriera dei Kino. È il primo album registrato come quartetto, con Titov per l’ultima volta al basso e il ritorno di Guryanov alla batteria, questa volta in pianta stabile. È l’ultimo album registrato alle dipendenze di Tropillo, da cui Tsoi deciderà di allontanarsi dopo un accumulo di tensioni durato anni (il mixaggio finale venne curato da Tropillo in assenza della band, dopo che Tsoi aveva mollato le sessioni esasperato). È l’album con cui il grande pubblico si accorge dell’esistenza della band, fino a quel momento rimasta relegata nel sottobosco. Di fatto è anche il loro ultimo album illegale e due anni più tardi diventerà il loro primo pubblicato ufficialmente dalla Melodiya, l’etichetta di stato sovietica.
Essendo state registrate più o meno nello stesso periodo di Eto ne lyubov…, anche queste canzoni contengono elementi indie-pop. Nel complesso però gli arrangiamenti mostrano un rientro in territori new wave e una cura per il suono sempre meno distante dagli standard anglofoni. I Kino sono ormai un progetto adulto e maturo.
“Tvoy nomer” (Твой номер) è vicina al rock gotico, con cori lugubri, basso martellante e chitarra dal suono liquido, che Kasparyan scatena in un assolo cacofonico degno di Adrian Belew. “Fil’my” (Фильмы) è un post-punk sincopato con tastiere dal sapore calipso. Grazie al basso fretless e alla chitarra slide, la title track sembra creare un ponte fra il gelo siberiano e il sole delle Hawaii. Il pop energico di “Zhizn’ v stoklakh” (Жизнь в стёклах) vede almeno tre chitarre ritmiche rincorrersi sul passo in levare. “Igra” (Игра) è un’intensa ballata per intrecci elettroacustici, basso fretless e malinconico assolo di flauto. In chiusura il funk di “My khotim tantsevat’” (Мы хотим танцевать), con coro di bambini, sample dissonanti e ricami di sax.
Sono però altri tre i brani che colpiscono il pubblico. Uno è la nuova versione di “Posledniy geroy”, infinitamente più energica rispetto a quella del 1984, quasi un punk-folk. Il secondo è l’indie-pop d’assalto “Videli noch’” (Видели ночь), con disegni chitarristici raffinati che mostrano l’indiscutibile crescita tecnica di Kasparyan. Il terzo è “Мама Анархия” (Mama Anarkhiya), l’inno punk dei Kino, con tanto di attacco strumentale alla Sex Pistols. Il testo è un autentico slogan: “Il soldato tornava a casa per la via e vide questi ragazzi. ‘Chi è vostra mamma, ragazzi?’, chiese ai ragazzi il soldato. ‘Mamma anarchia, papà un bicchiere di portvejn!’”.
Il nastro si diffonde a grande velocità e la band diventa fra le più richieste dal vivo. Tsoi assume così un nuovo bassista, Igor Tikhomirov (già membro del collettivo prog-jazz Dzhungli), che va a completare quella che sarebbe diventata la formazione definitiva dei Kino.

Assa (Асса) (1988)

Forte del crescente successo dei concerti e della diffusione di Noch’, la band comincia attirare l’attenzione di alcuni registi. Il primo è Sergei Solovyov, che vuole i Kino nel suo film “Assa”, girato nel 1987 e pubblicato il successivo aprile.
Nella scena finale Tsoi viene assunto per cantare in un ristorante, raggiunge così i compagni su un palchetto e si avventa sul microfono. Quella che ne esce non è però una canzone da sottofondo, ma un’invocazione appassionata, esposta da Tsoi quasi come un grido di dolore: “Lo schema è semplice, e non c’è nient’altro, tutto si trova in noi. Cambiamenti reclamano i nostri cuori, cambiamenti reclamano i nostri occhi. Nel nostro riso e nelle nostre lacrime, e nelle pulsazioni delle vene, cambiamenti!”.
Le parole si stagliano su uno sfondo post-punk con basso galoppante, reiterazioni chitarristiche dall’atmosfera western e misteriosi droni tastieristici. Il pezzo si intitola “Hochu peremen” (Хочу перемен) e in breve spopola, fino a diventare una sorta di inno della perestrojka. Per impatto, potenza e significato, è probabilmente la più grande canzone rock mai prodotta in Russia. Il vinile con la colonna sonora contiene perlopiù musiche degli Akvarium, ma ai Kino sono sufficienti quei cinque minuti per segnare la storia.

Gruppa krovi (Группа крови) (1988)

georgy_guryanovIl 1987 se ne va in fretta fra l’intensa attività concertistica, alcune sessioni di registrazione lasciate in sospeso, e le riprese di “Assa”. All’inizio del 1988 Tsoi viene coinvolto in un altro film, “Iglá” di Rashid Nugmanov, in cui interpreta la parte del protagonista. Per qualche mese la band si prende così una pausa, durante la quale Kasparyan registra del materiale insieme ai Petlya Nesterova, misconosciuta band di Leningrado di cui è amico e sostenitore.
Con il ritorno di Tsoi vengono approntati gli ultimi ritocchi ai brani incisi l’anno prima e il nuovo album viene messo in circolazione come nastro indipendente. È però ormai scorretto parlare di pubblicazione illegale: i Kino sono diventati troppo famosi, i loro concerti riempiono i palazzi sportivi, le radio li trasmettono a tamburo battente e compaiono persino in televisione. La Melodiya decide allora di accontentare il pubblico e far uscire ufficialmente un loro album. Viene scelto Noch’, che vende due milioni di copie diventando il caso discografico dell’anno.
È però il nuovo nastro quello che finisce sulla bocca di tutti. Registrato a casa di Guryanov, Gruppa krovi vede finalmente l’impiego di tecnologie avanzate come la drum machineYamaha RX-11 e il campionatore Prophet 2000, rimediate grazie ai contatti della neosposa di Kasparyan, l’americana Joanna Stingray.
È ancora oggi il disco rock più famoso in Russia, con almeno quattro hit giganteschi al suo interno. Il più grande è la title track, post-punk marziale sulla scia di “Xochu peremen”, dal suono però meno ruvido e decisamente più sinfonico, in particolare quando nel ritornello entra il tappeto di tastiere. È il brano in cui tutti i tratti più riconoscibili dei Kino trovano compimento: la voce di Tsoi si fa più bassa, perde le asperità e ne guadagna in potenza, mentre Kasparyan sfoggia per la prima volta uno dei suoi riff distorti dalle tinte folk e ancestrali. Tutto mira a creare un muro di suono cupo e imponente.
Più spedita, “Zakroy za mnoy dver’” (Закрой за мной дверь) è caratterizzata dai cristallini virtuosismi del piano di Andrey Sigle (oggi famoso come produttore dei film di Aleksandr Sokurov). Trafitta da chitarre sature e spinta da un basso torrenziale, “Mama my vse tyazhelo bol’ny” (Мама мы все тяжело больны) è un baratro di depressione mista a rabbia (“Squarcia il mio petto, guardami dentro, vedrai che tutto è in fiamme […] Ecco, stai davanti alla riva, e pensi, mi tuffo o non mi tuffo? Mamma, siamo tutti gravemente malati, mamma, lo so che siamo impazziti”). “Spokoynaya noch’” (Спокойная ночь) è invece un midtempo che trasuda epicità, con il baritonale di Tsoi degno dei grandi classici del rock decadente, la chitarra che sale di tono sul finale e le insistenti folate sintetiche. Le parole disegnano uno scenario notturno che fa da sfondo ai movimenti di uomini in cerca di libertà: “Aspettavo questo momento, e questo momento è giunto. Coloro che tacevano hanno smesso di tacere, coloro che non han niente da aspettare si mettono in sella. Non li raggiungi, ormai non li raggiungi più”.
I brani rimanenti non sono forse altrettanto famosi, ma vantano un culto ferreo tra i fan della band, in particolare il reggae “Boshetunmay” (Бошетунмай), i funk gotici “Voyna” (Война) e “V nashikh glazakh” (В наших глазах), la sbilenca “Dal’she deystvovat’ budem my” (Дальше действовать будем мы) e la conclusiva “Legenda” (Легенда), uno dei momenti più anomali della poetica di Tsoi. Su uno sfondo ambient di chitarre rarefatte, droni in continuo mutamento e pulsazioni moribonde, cadono immagini di soldati appena accennate e una serie di paesaggi naturali di una potenza romantica tale da sembrare un quadro di Friedrich. “E come sbatteva le ali la nera tribù dei corvi, come rideva il cielo, dopodiché si morse la lingua, e tremava la mano a chi era rimasto vivo, e tutto d’un tratto l’istante si trasformò in eternità, e il tramonto pareva un rogo funebre”.

Le dernier des héros (1989)

Nel 1989 la band registra un album per l’etichetta francese Off The Track. Il disco passa però inosservato in Francia e arriverà in patria solo nel 1991, come “Posledniy geroy”. Dovendo presentare la band a un pubblico che le è estraneo, la scaletta è composta da brani dei precedenti album, incisi ex novo. Non è certo un ascolto disprezzabile, tuttavia nessuna delle nuove versioni è preferibile alle originali. A scanso di equivoci, nonostante il mercato di riferimento e il titolo, i brani sono cantati in russo.

Zvezda po imeni Solntse (Звезда по имени Солнце) (1989)

Nel frattempo in Russia viene fatto circolare il nuovo album di inediti, ancora una volta con distribuzione non ufficiale. La band non ha alcun interesse a firmare per l’etichetta di stato, sia perché ormai s’è intuito che a breve le cose sarebbero cambiate, sia perché non ha ancora visto un rublo di quanto venne ricavato dalle poderose vendite di Noch’.
“Pachka sigaret” (Пачка сигарет) è il brano immortale di turno, una solenne ballata che è crogiuolo di suoni e sensazioni. Kasparyan tocca forse il suo vertice, con superbi giochi di armonici e arpeggi riverberati. Mentre i suoni della sua chitarra si sovrappongono come i tintinnii di un cristallo, Tsoi scava nell’ascoltatore con tonalità sempre più gravi e si rincorre con i cori in canone, narrando ancora una volta la frustrazione dei giovani russi dell’epoca: “E nessuno voleva essere colpevole senza colpa, e nessuno voleva raccogliere le braci con le mani, ma senza musica neanche in pubblico è bello morire, ma senza musica non viene voglia di perdersi”.
La title track si ricollega stilisticamente all’album precedente, con un rigido passo post-punk, chitarre metronomiche e malinconici tocchi di pianoforte. Il testo pacifista la rende uno dei loro manifesti: “La guerra è una faccenda dei giovani, una medicina contro le rughe. Il sangue rosso rosso, tra un’ora non sarà che terra, tra due vi cresceranno erba e fiori, tra tre sarà di nuovo vivo, e riscaldato dai raggi di una stella di nome sole”.
Il terzo grande successo è “Stuk” (Стук), che in qualsiasi paese occidentale sarebbe al massimo diventato un inno da discoteca gotica, con la linea di basso cupa e incessante, le chitarre sature, i sinistri rintocchi metallici che accompagnano Tsoi alla fine di ogni verso. Ma in quel contesto e con quel pubblico affamato di una guida che gli mostri la luce, diventa il simbolo di speranza di una generazione: “Uno strano battito m’invita a partire, forse è il cuore, o forse bussano alla porta. E quando mi volterò sulla soglia, dirò soltanto una parola: credici!”.
Anche in questo caso i restanti brani sono meno celebri ma tutti più o meno venerati. L’apertura in particolare, affidata a “Pesnya bez slov” (Песня без слов), è mozzafiato. La drum machine Yamaha RX-5, programmata da Guryanov, sfoggia un battito assassino (se ne ricordano di così massicci appena nei Sisters Of Mercy), mentre Kasparyan tiene due linee di chitarra, una tutta reiterazioni minimaliste e riflessi, l’altra distorta che si inerpica a più riprese in un riff sovrumano e sembra voler mettere in musica tutta la severità e la durezza di secoli di storia russa.
La maestria ormai raggiunta dai Kino è tutta spiegata negli estremi sonori toccati in questo album. Da un lato “Mesto dlya shaga vpered” (Место для шага вперёд), il loro primo brano dance, un gioiellino pop di programmazioni sintetiche, con una delle linee di basso più articolate di Tikhomirov. Dall’altro l’ancestrale marcia folk “Aprel’” (Апрель), dove cori che sprofondano le proprie radici nella notte dei tempi scandiscono alcuni fra i versi più vividi di Tsoi: “E la neve cade simile a un muro, e la neve cade tutto il giorno, e dietro quel muro c’è aprile. Esso verrà e porterà con sé la primavera, e disperderà le schiere di nuvole grigie, e quando noi tutti guarderemo nei suoi occhi, dai suoi occhi ci guarderà la malinconia”.

Kino (Кино) (1991)

Il 24 giugno del ’90 la band tocca l’apice, esibendosi allo stadio Luzhniki di Mosca davanti a sessantamila persone. Sarà però il loro ultimo concerto. Il 15 agosto, mentre torna in auto da una giornata di pesca in Lettonia, Tsoi muore in un incidente. La nazione perde all’improvviso l’incarnazione di quella libertà che è ormai a un passo dall’essere agguantata. Per migliaia di giovani svanisce il più grande punto di riferimento, alcuni arrivano addirittura a suicidarsi. Guryanov, Kasparyan e Tikhomirov reagiscono invece decidendo di completare una serie di demo per voce e chitarra incisi da Tsoi prima di morire. Creano così delle basi strumentali adatte a quei brani e nel gennaio del ’91 pubblicano un album con la copertina nera, senza titolo. Dopodiché si sciolgono.

Con il monopolio statale che ha ormai ceduto e la Melodiya che viene smembrata in tante etichette minori, Kino diventa il primo album della band ufficialmente distribuito in tempo reale, vendendo un milione e duecentomila copie solo nel primo anno.
Curiosamente, nella prima edizione dell’album non comparivano neppure i titoli delle canzoni, che furono rivelati solo con la ristampa del 1994. Non che la mancanza di un titolo abbia impedito a “Leto” (Лето) e “Kukushka” (Кукушка) di diventare fra i più grandi successi di quel periodo.
La prima parte a cento all’ora con il riff distorto di Kasparyan, ormai marchio di uno degli stili chitarristici più singolari della storia del rock. L’arrangiamento memorabile, con la seconda strofa traversata da un ostinato di tastiera e la terza da una serie di distorsioni, accompagna uno dei testi più depressi di Tsoi, quasi un presagio della sua fine prematura: “Sono quattro giorni che piove, sebbene alla radio avessero detto, che avrebbe fatto caldo pure all’ombra […] ll registratore si è rotto, e io sto seduto in silenzio, cosa di cui sono assai contento. Aspetto una risposta, non ci sono più speranze, presto finirà l’estate, così…”.
La seconda smorza l’impatto, preferendo sonorità d’atmosfera, echi e tinte pastello, benché il testo non sia meno oscuro: “Ma dove sei ora, libera libertà, con chi aspetti l’alba carezzevole, rispondi! Va bene con te e male senza te, la testa e le spalle pazienti sotto la frusta”.
Curiosamente, anche se non è mai stato fatto notare, in alcuni brani del disco si riscontrano sonorità alquanto vicine a quelle dei New Order più danzerecci, in particolare su “Muraveynik” (Муравейник), forse un po’ scontata, e “Krasno zheltye dni” (Красно жёлтые дни), che viceversa indovina un esaltante ibrido fra le sonorità delle due band.
Se la pulsazione torrenziale di “Zvezda” (Звезда) vede Kasparyan puntare sull’elemento folk in maniera sempre più manifesta e Tsoi sfoggiare una delle sue melodie più eteree, il gradevole indie-pop di “Kogda tvoya devushka bol’na” (Когда твоя девушка больна) mette sul piatto un po’ di sano struggimento amoroso.
La carriera dei Kino si conclude con una delle loro canzoni più intense, “Sledi za soboy” (Следи за собой). Chitarra che ricama fra jangle pop e funk, basso cupo ma melodico, emotivi crescendo a base di tastiere orchestrali, flauti di pan che sospingono la drum machine, tuoni in lontananza e dissolvenza finale che affoga l’ascoltatore nel non senso dell’esistenza. “Stanotte sopra di noi è passato un aereo, domani precipiterà nell’oceano, moriranno tutti i passeggeri. Domani in qualche luogo, chissà dove, una guerra, un’epidemia, una tormenta di neve, i buchi neri del cosmo. Bada a te stesso, stai all’erta, bada a te stesso!”.

Il lascito

viktor_tsoiViktor Tsoi è ormai un eroe nazionale: oltre a francobolli, monumenti, piazze e strade, gli sono stati dedicati interi muri in diverse città, dove i fan continuano a scrivere il suo nome o i suoi versi. Molti luoghi legati alla sua figura – i posti in cui ha lavorato, i set dei suoi film, la sua tomba a San Pietroburgo – sono diventati meta di pellegrinaggio. Ancora oggi è facile imbattersi in musicisti di strada che eseguono esclusivamente il suo repertorio.
Molti fra quelli che non hanno accettato la sua morte hanno elaborato teorie complottistiche al riguardo – su tutte l’omicidio per mano dei servizi segreti – che hanno trovato particolare diffusione. Certo parliamo di un paese denso di morti eccellenti fra i personaggi scomodi, liquidate spesso con processi sommari, quindi non deve stupire la diffidenza dei più verso la versione ufficiale delle forze dell’ordine (un fatale colpo di sonno). Basti pensare che appena l’anno successivo altre due leggende della musica russa sarebbero morte in circostanze misteriose: Igor Talkov, ucciso da un colpo di pistola dopo un concerto, e Yanka Dyagileva, ritrovata in un fiume senza vestiti.
Dopo lo scioglimento, Kasparyan passa gli anni Novanta collaborando ai dischi di vari artisti, ma torna in prima linea solo nel 2001 come chitarrista del progetto U-Piter, capitanato da Vyacheslav Butusov, ex-cantante dei Nautilus Pompilius.
Guryanov invece diventa uno dei principali sostenitori della musica house in Russia, organizzando numerosi rave nella prima metà degli anni Novanta e disegnandone le locandine. Dopodiché si afferma definitivamente come pittore, con opere dal forte sentore omoerotico. Purtroppo l’epatite e il cancro al fegato lo hanno sconfitto nel luglio del 2013, un peccato soprattutto perché sarebbe stato interessante vedere un artista energico e sfrontato come lui affrontare la linea omofoba del governo Putin. Di certo, se Tsoi fosse stato ancora vivo avrebbe scritto una nuova “Hochu peremen” contro una mossa politica che ha riportato indietro la Russia di molti anni.

Tornando alla musica, i Kino sono un punto di riferimento per chiunque in Russia sia interessato a produrre pop-rock con un minimo di dignità. A renderli un simbolo è però più la loro integrità artistica che il loro stile, non particolarmente imitato fra i grandi nomi, sia a causa del particolare timbro vocale di Tsoi, sia perché continuare a proporre post-punk al grande pubblico, almeno dagli anni Novanta in poi, non avrebbe avuto senso. Gli stessi Kino si sarebbero probabilmente spostati da quei territori se avessero continuato. Fra i musicisti più underground è invece più facile trovare nomi che possano riecheggiarne la proposta, anche considerando che il post-punk nei paesi dell’ex-Unione Sovietica non si è mai estinto a livello di corrente di nicchia, arrivando ai nostri giorni come un flusso continuo.
Nonostante una carriera troncata sul più bello, i Kino hanno prodotto una quantità impressionante di canzoni da tramandare ai posteri. In un mondo ipotetico in cui le lingue non rappresentassero una barriera insormontabile e in cui non si accettasse soltanto l’inglese oltre alla propria, la loro storia sarebbe nota a tutti e il loro lascito considerato patrimonio prezioso e simbolo interculturale di libertà. Grazie a internet, tuttavia, il culto ha iniziato una lenta espansione all’infuori del confine russo e ci si augura che la tendenza vada accentuandosi negli anni a venire. Dato che la qualità della loro musica non è in discussione, ora che è facile rintracciare anche i testi tradotti, non ci sono più particolari scuse per voltarsi dall’altra parte.

Note: 1 – Per rendere più comoda la ricerca delle canzoni e degli album, sono stati inseriti sia i titoli traslitterati, sia gli originali in cirillico. Per quanto riguarda i nomi di band e musicisti è stata invece inserita la sola traslitterazione, allo scopo di non ingolfare la monografia. 2 – È possibile traslitterare il cirillico in più modi, per comodità si sono scelte le traslitterazioni più diffuse a livello internazionale.

Kino

Il post-punk della perestrojka

di Federico Romagnoli 

Viktor Tsoi è forse la più grande icona del rock russo. Morto a ventotto anni in un incidente automobilistico, ha comunque fatto in tempo a produrre una serie di dischi leggendari e a contrastare la censura del regime sovietico nei confronti della musica rock. Ripercorriamo la storia della sua band

Kino
Discografia
45 (autodistribuito, 1982)
46 (non autorizzato, 1984)
Nachal’nik Kamchatki/Начальник Камчатки (autodistribuito, 1984)
Eto ne lyubov’…/Это не любовь… (autodistribuito, 1985)
Noch’/Ночь (autodistribuito, 1986)
Gruppa krovi/Группа крови(autodistribuito, 1988)
Le dernier des héros (Off The Track, 1989)
Zvezda po imeni Solntse/Звезда по имени Солнце (autodistribuito, 1989)
Kino/Кино (Metadigital, 1991)
PARTECIPAZIONI
Artisti vari: Assa/Асса (Melodiya, 1988)
pietra miliare di OndaRock
disco consigliato da OndaRock
Video
Kino su OndaRock
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