Fumettologia (link sotto) ::: MAURICE SENDAK, NEL PAESE DEI MOSTRI SELVAGGI–TRADUZIONE DI LISA TOPI —COLLANA: I CAVOLI A MERENDA, 2018, pp. 44 euro 18,00–online 15,30

 

 

ne abbiamo già parlato qui…

MAURICE SENDAK, UNO DEI PIU’ FAMOSI ILLUSTRATORI DI FIABE PER GRANDI E PICCINI…

 

 

Maurice Sendak

Nel paese dei mostri selvaggi

Traduzione di Lisa Topi
i cavoli a merenda (collana)
2018, 3ª ediz., pp. 44 
isbn: 9788845932038
Temi: Letteratura per l’infanziaLetteratura nordamericana
€ 18,00 -15% € 15,30

“Nel paese dei mostri selvaggi”. Torna il capolavoro di Maurice Sendak

 

“Nel paese dei mostri selvaggi”. Torna il capolavoro di Maurice Sendak (LINK DI FUMETTOLOGIA)

Nel 2012 The Comics Journal pubblicò una lunghissima intervista, l’ultima, a Maurice Sendak, l’autore di Nel paese dei mostri selvaggi, Luca la luna e il latte e altri libri illustrati. A intervistarlo c’era il direttore della rivista Gary Groth, che ne consegnò un ritratto omnicomprensivo, probabilmente il più vivido insieme a quello, dolorosissimo e disperatamente innamorato, che ne fa Spike Jonze nel documentario Tell Them Anything You Want.

 

Con Groth, Sendak parlò dei suoi inizi, dei lavori per sbarcare il lunario – vetrinista per il negozio di giocattoli F. A. O. Schwarz, fumettista per All American Comics adattando le strisce di Mutt and Jeff per il formato albo (riempiva gli sfondi, chiudeva le nuvole di fumo, ampliava i contorni), i film preferiti. Con Jonze di quanto odiasse la demarcazione che si fa tra infanzia e vita adulta, di quanto avrebbe voluto vivere altri dieci anni ma non venti.

Sendak è bisbetico, esagerato nelle uscite (alcune irripetibili), idiosincratico e contraddittorio. Quando nel documentario Jonze gli chiede di spiegare l’origine dei personaggi de Nel paese dei mostri selvaggi, basati sulle visite che gli zii gli facevano quando era piccolo, lui si nega:

– «Racconta di come la tua famiglia è stata importante nelle tue storie».

– «Non è vero».

– «Mi avevi detto di sì».

– «Ah, mi invento un sacco di stronzate».

In entrambe le testimonianze, grande spazio è dedicato alla morte. Un tema caro a Sendak che ne imparò il significato a quattro anni, dopo aver visto sul giornale la notizia del ritrovamento di Charles Lindbergh Jr., il figlio dell’aviatore statunitense rapito nel 1932.

Nato da ebrei polacchi emigrati negli Stati Uniti a inizio secolo, Sendak raccontò spesso di come la foto del corpicino di Lindbergh, abbandonato tra il fogliame del bosco, lo segnò profondamente, spingendolo in età adulta a documentarsi sul caso (fu uno dei pochi ad aver visto quella foto perché il quotidiano l’aveva sostituita nell’edizione pomeridiana, su richiesta della famiglia). «Se il ricco bambino cristiano non ce la fa, io a cosa sono destinato?».

sendak

Anni più tardi, per venirne a patti, produrrà Outside Over There, ispirato dal caso Lindbergh e da un incidente autobiografico (la sorella maggiore aveva perso il piccolo Maurice durante una gita all’Esposizione universale del 1939) e disegnato seguendo lo stile romantico del pittore tedesco Philip Otto Runge. Sarà, nell’opinione dell’autore, il suo libro più importante e l’ultimo di una trilogia sullo sviluppo psicologico del bambino che comprende Luca, la luna e il latte e Nel paese dei mostri selvaggi, il libro con cui Sendak si impose al pubblico e quello per cui resterà famoso.

C’è un motivo se, a cinquantacinque anni dalla pubblicazione, Nel paese dei mostri selvaggi è ancora oggetto di studi e analisi. Edito nel 1963, il libro fu uno dei primi tentativi di Sendak come autore unico, dopo i successi ottenuti in coppia con Ruth Krauss. Mai troppo conosciuto in Italia, dove sono stati pubblicati soltanto un paio dei suoi lavori, grazie ad Adelphi ora Sendak torna nelle librerie con la sua opera più importante, inno alla caotica bruttura che è l’infanzia.

nel paese mostri selvaggi maurice sendak adelphi

Disegnato con un fitto tratteggio, il libro racconta di Max, un bambino messo in castigo dalla madre che vede crescere intorno a sé una landa abitata da creature mitiche di cui diventa il re. Ma dopo un pomeriggio di bisbocce, il piccolo sente nostalgia di casa e ritorna alla sua stanza in tempo per la cena.

Il libro di Sendak è inusuale. Max è un bambino che risponde alla madre, pestifero e discolo, che spaventa il cane e impicca gli orsacchiotti di pezza ma che alla fine del racconto non impara alcuna morale o lezione raddrizzaschiena.

Sendak non vuole impartire insegnamenti di vita o racconti cautelativi, non ci sono conseguenze alle azioni di Max perché le azioni di Max rientrano nella normalità, checché ne dicessero i libri dell’epoca affannati a promuovere un’idea del bambino ubbidiente, e quella di Sendak è solo la descrizione di un pomeriggio come tanti nella vita di un ragazzino.

L’unica nozione che il lettore si porta via, semmai, è che la polpa dell’infanzia è fatta di stranezza, di visioni peculiari che servono come catarsi ai bambini per metabolizzare ogni nuova, prima, esperienza che fanno. E facendo ciò inglobano tanto il loro interno quanto il loro esterno. Ecco perché le pareti della camera si aprono a foreste e oceani e perché, parlando con il fumettista e animatore Gene Deitch, che realizzò un breve adattamento animato del libro, Sendak disse che «Everything is Max!». ( tutto è Max)

L’atipicità de Nel paese dei mostri selvaggi prosegue sul piano formale: il protagonista è assente dalla copertina, al suo posto un mostro pensoso che non aiuta la comprensione del contenuto ma suggerisce quell’atmosfera malinconica che permea le pagine; nel mezzo del racconto c’è una lunga sequenza dove le parole lasciano progressivo spazio alle immagini, culminando in ampie vedute a tutta pagina di Max e dei mostri impegnati a ballare la “ridda selvaggia”. Senza un’onomatopea, senza una descrizione. Solo attraverso la scelta dei gesti e dei movimenti emerge il frastuono e il baccano del gruppo. La grandezza di Sendak sta qui.

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In effetti Sendak cercò di rendere tutti i suoi lavori musicali. In un articolo del 1964 per il Sunday Herald Tribune scrisse che «l’irruzione spontanea nel canto e nel ballo mi sembra una parte dell’infanzia naturale e istintiva. È forse il mezzo con cui i bambini esprimono al meglio l’inesprimibile».

Nel paese dei mostri selvaggi è il primo libro nella triade sull’evoluzione psicologica del bambino, ma si situa nel centro, è il secondo atto, quello in cui tutto va a rotoli e il caos attanaglia la scena. Il tratto morbido e consistente di Luca, la luna e il latte, che mischia Little Nemo, Oliver Hardy e Topolino in un racconto simbolico sull’Olocausto (a un certo punto della storia, i pasticceri, modellati sul faccione di Hardy, mettono il protagonista Mickey in un forno), ne Il paese dei mostri selvaggi perde le proporzioni infantili e diventa secco, ispido e coperto di ombreggiature, per poi farsi scultoreo e adulto in Outside Over There, in una crescita grafica al cui centro resta il tema della sopravvivenza del bambino. Sendak ci dice che solo i bambini possono sopravvivere all’infanzia, perché sono gli unici in grado di esercitare l’immaginazione, il ricordo, la rêverie.

All’epoca dell’uscita Publishers Weekly scrisse che «le illustrazioni incutono paura e sono accompagnate da una storia confusa e senza senso» e lo psicologo Bruno Bettelheim consigliò ai genitori di non lasciare il libro in camera dei figli la notte. Sendak non la prese bene, ma sarà solo la prima di tante piccole rimostranze che parte del pubblicò americano gli riserverà. Anche Luca, la luna e il latte desterà scalpore perché il bambino protagonista è nudo. Molti bibliotecari si improvvisarono novelli Braghettone e gli dipinsero addosso un pannolino.

Sendak crebbe tra i cartoni Disney, i musical di Busby Berkeley e i film di Stanlio e Olio, ma anche Herman Melville e William Blake. Blake in particolare sarà una forte ispirazione (esplicita) per i mostri del libro, insieme a tanti (probabili) rimandi alla pittura italiana, come ha fatto notare Anna Castagnoli, troppo precisi per essere casuali. Non il classico libro per bambini, insomma.

D’altronde Sendak non ha mai dichiarato di scrivere libri per bambini ma solo libri che poi gli altri definivano tali. «Penso che quello che ho offerto fosse diverso non perché disegnassi meglio degli altri o scrivessi meglio degli altri, ma perché sono stato più onesto degli altri» dirà in Tell Them Anything You Want. «Ho detto tutto quello che ho voluto perché non credo all’infanzia, alla demarcazione dell’infanzia. “Oh, non puoi dirgli questo! Oh, non puoi dirgli quello”. Puoi dire quello che vuoi, purché sia vero. Se è vero, dillo».

wildthings

Nella nuova edizione Adelphi la traduzione di Antonio Porta, quella originale del 1969 realizzata per Edizioni Emme e poi ripresa dalla successiva edizione Babalibri, è sostituita da quella di Lisa Topi. Per indole, Porta si mangia il testo, vuole farsi più grande delle parole cristalline di Sendak, tradisce spesso, usa un linguaggio alto (forse all’epoca lo era meno) e le occasionali ripetizioni che inserisce tradiscono il desiderio di far diventare la storia una cantilena. La pagina ne risulta più viva

La frase d’apertura e quella di chiusura sono due buoni esempi del pensiero che sta dietro a ognuna delle due traduzioni. «The night Max wore his wolf suit and made mischief of one kind / and another», con Porta diventa «Quella sera Max si mise il costume da lupo e ne combinò di tutti i colori / e anche peggio», con Topi «Quella sera Max indossò il costume da lupo e ne combinò una delle sue / e poi un’altra».

Con quel “di tutti i colori” Porta ha già colmato la misura formata da “one kind / and another” ma la suddivisione del testo lo obbliga a inserire una coda, “e anche peggio”, come giropagina. Non è la traduzione più letterale ma ha un’energia che la nuova traduzione, pur maggiormente fedele, non ha. Questo vale anche per le piccole scelte (che piccole non sono in un testo di 300 e rotte parole) come quella, in Topi, di rendere “wore” con un freddo e adulto “indossò” a cui Porta preferisce “si mise”, un’azione che evoca il caos, l’indefinitezza e la noncuranza di uno che non sta lì tanto a pensare, tutti elementi che si intonano bene con il protagonista (per una comparazione puntale vi rimando a questo bel pezzo di Lorenzo Alunni su il lavoro culturale).

Tuttavia, al netto delle differenze, quella di Topi pare una traduzione in linea con il progetto di un’edizione filologica. Infatti, oltre all’aspetto cartotecnico, su cui è stato fatto un lavoro ottimo – specie nella resa dei colori – sono stati recuperati i caratteri originali sia del titolo che del testo interno. Sembra di aprire un libro fresco di stampa che però reca sul colophon la scritta “finito di stampare nell’aprile 1963”.

Nel paese dei mostri selvaggi
di Maurice Sendak
traduzione di Lisa Topi
Adelphi, gennaio 2018
cartonato, 44 pp., colore
18,00 €

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