Il reportage
A Chemnitz, perla industriale della Sassonia
I neonazisti all’ombra di Marx nella città che non vuole stranieri
TONIA MASTROBUONI,
Dalla nostra inviata
CHEMNITZ
Sotto l’enorme testa del padre del comunismo è tornata la pace. Tre punkabbestia rollano sigarette, indisturbati; i loro cani abbaiano al nulla.
La teppaglia neonazista che ha assediato il centro di Chemnitz per due giorni è sparita. Sotto alla statua di Karl Marx non si ferma più nessuno. Solo Simone sembra incerta: tanto basta per fermarla per un commento. E sì, lei c’era alla manifestazione dei saluti nazisti, dei petardi e degli insulti xenofobi. Sia domenica, sia lunedì. « Perché era ora che succedesse qualcosa » .
Simone ha 55 anni, i capelli ossigenati, gli occhi impastati di mascara e un cuore sghembo tatuato su una mano. Si tortura un polso arrossato mentre ci racconta che « in questo quartiere non si può più camminare di sera, lo hanno ridotto un suq » . Di fronte alla statua di Marx, c’è il parco incriminato. « Pullula di profughi che si ubriacano, che molestano le donne a ogni ora del giorno e della notte.
Adesso che c’è stato l’accoltellamento, adesso che tutto il mondo ha le prove che questi profughi sono dei selvaggi, finalmente anche i cittadini moderati sono scesi in piazza per protestare contro quell’orrendo assassinio e tutti questi stranieri » .
Domenica mattina, a pochi metri dalla statua più famosa di Chemnitz, una rissa ha lasciato a terra un tedesco 35enne, accoltellato a morte da un siriano e un iracheno.
Tanto è bastato per i siti neonazisti e gli ambienti degli hooligan per organizzare in poche ore un inferno. E chiamare in piazza non solo feccia bruna; anche gente come Simone, che fa la cameriera, dice di non essere di destra ma « solo preoccupata » e di « non poterne più » .
Da domenica pomeriggio, le immagini crude dalla perla industriale della Sassonia, dalla città dove una volta si concentrava un quinto della produzione industriale della vecchia Germania comunista, hanno fatto il giro del mondo.
E le foto dei neonazisti sbronzi sotto la statua di Marx, dal vago sapore apocalittico, sono diventate l’occasione per un nuovo, generico allarme sulla situazione in un Land che lo scrittore Thomas Brussig chiama “ il Texas della Germania”.
In Sassonia, secondo gli ultimissimi sondaggi, l’Afd è ormai il secondo partito e la Spd fatica a ottenere un risultato a due cifre. La tradizionale roccaforte della Cdu, governata da una grande coalizione ormai evaporata nei sondaggi, rischia di cadere, alle prossime elezioni. E il mantra delle interviste che si riescono a fare a Chemnitz dopo 48 ore di manifestazioni violente, di bracci tesi al saluto nazista filmati da telecamere di tutto il mondo, di idranti e petardi, finiscono tutte con la stessa frase, « Merkel deve andare via » .
Lo dice anche Peter, un tassista sessantaduenne infuriato perché la moglie non può portare il cane a spasso lungo il fiume. « Portava il nostro labrador nel parco da quattordici anni. È stata molestata tre volte da migranti, adesso non ci va più. Ha paura » .
Il bilancio degli scontri di lunedì è pesante, per una città di duecentocinquantamila abitanti piombata nell’ennesima, irreale psicosi anti- profughi che ormai dilaga in Europa. Diciotto feriti tra i manifestanti, due tra i poliziotti, 47 denunce tra cui dieci per il saluto hitleriano. Pensare che a Chemnitz i richiedenti asilo sono cinquemila, il due per cento. Ma dopo l’assassinio del falegname 35enne per mano di due migranti, sui social media è partito il tam tam e secondo la polizia sassone moltissimi dei teppisti che hanno assediato il centro per un giorno e mezzo — i neonazisti si erano dati appuntamento proprio sotto alla statua di Marx — erano venuti da altre parti della Germania. Richiamati dalla prospettiva di scatenare una caccia al migrante che ha dominato le cronache tra domenica e lunedì e getta un’ombra su Chemnitz che difficilmente sarà dimenticata.
La cancelliera, il presidente della Repubblica Steinmeier e una miriade di politici di primo piano hanno condannato con parole ferme i fatti di Chemnitz, della città che fu intitolata negli anni del comunismo a Marx per onorare la sua lunga tradizione industriale, operaia. Hanno ricordato che « è lo Stato e solo lo Stato a occuparsi dei diritti e della sicurezza » ( Steinmeier), hanno espresso il loro « disgusto » o la loro indignazione per un’inaccettabile « giustizia- fai- da- te » ( Merkel), ma l’impressione nella città che diede i natali a un grande poeta come Stefan Heym, è che siano voci inascoltate.
Persino Holger non vuole rivelarci il suo cognome perché non si fida dei giornalisti. Un’attitudine diffusa, qui. È un medico in pensione con la giacca da cacciatore marroncina, le scarpe bucherellate da farmacia, lo incrociamo nel luogo in cui hanno ucciso il falegname. A pochi metri dalla statua di Marx i casermoni dell’era comunista si affacciano su uno dei principali vialoni del centro come quinte minacciose. Sul luogo dell’accoltellamento, fiori e candele, qualche messaggio di cordoglio. E Holger ci confessa di essere venuto « a onorare il morto » .
Minimizza, sulle manifestazioni: « Non sono andato. Ma i neonazisti erano pochi, conosco molte persone perbene che ci sono venute » .
Minimizza anche sulla presenza dei profughi.
« Ovvio, laggiù nel parco sono in tanti, di sera creano qualche guaio, ma il problema non sono neanche loro. È la politica che li ha portati qui.
L’altr’anno una mia amica è finita per caso in una rissa tra siriani e si è rotta il femore. È stata in ospedale per settimane. Pensa che qualcuno delle autorità locali si sia affacciato, che qualcuno sia venuto a trovarla?
Nessuno. Qui a Est i cittadini non contano più nulla » .
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