INVECE CONCITA, REPUBBLICA / 8-11-2018, pag. 31 ::: CLIZIA SAVARESE, 37 ANNI, DI ROMA, CHE VIVE A CAP TOWN (CITTA’ DEL CAPO), MA VIVE A META’…se si fosse sentita più tutelata dal proprio paese, non sarebbe mai partita…

 

 

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CITTA’ DEL CAPO

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REPUBBLICA 8 NOVEMBRE 2018 / pag. 31

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Invece Concita Ero esausta di lottare, chiedo scusa

Concita De Gregorio

Grazie a Clizia Savarese, romana, che vive a Cape Town

 

Sono arrivate decine di lettere in risposta a quella di Sonia Cappelli, madre di due figli espatriati in cerca di lavoro. Succede ogni volta che in questa rubrica si affronta il tema dei ragazzi che se ne vanno, da ogni punto di vista ( genitori, figli, nonni, chi decide di restare, chi di partire, chi di tornare). È senza dubbio l’argomento che più di ogni altro descrive il tempo in cui viviamo. Questa è Clizia, figlia di Sonia.

«Cara Concita, seguo da lontano le vicende italiane e familiari. Mi chiamo Clizia, vivo in Sud Africa, ho 37 anni e sono la figlia di Sonia. Concordo in pieno su quanto scritto sia da mia madre che da Jessica, la ragazza che il giorno dopo ha commentato la sua lettera. Mi rammarica molto leggere invece alcune delle repliche scritte sul sito da alcune persone che non capiscono e continuano a voler ignorare la realtà in cui versa l’Italia di oggi. Un paese che punta il dito verso il diverso ricercando nel razzismo la soluzione di ogni male, dimenticandosi di aver cura dei propri figli non garantendo loro un futuro dignitoso, è un paese che ha già perso. Sembra che abbiamo dimenticato il nostro passato, eppure senza un passato non c’è un futuro.

Io non sono più una ragazzina quindi per me la decisione di espatriare è stata molto sofferta e meditata. Non avendo un compagno/marito né dei figli ovviamente la scelta è stata più facile ma ho dovuto comunque abbandonare la mia famiglia, gli amici e la mia comfort zone.

Ho lasciato la casa dove vivevo da anni, ho regalato vestiti e oggetti, ho dato in beneficenza e ho svenduto (praticamente quasi regalato) tutti i mobili.

A Roma ero docente universitaria, ricercatrice per un sindacato, mi occupavo di comunicazione e organizzazione. Ma non ho mai avuto un contratto stabile e sicuro. Ogni volta in attesa del rinnovo, in attesa dei soldi, in attesa dei cambiamenti dell’aliquota e soprattutto in attesa di poter respirare e poter riprogrammare la vita, gli affetti e gli impegni da lì ai prossimi 2, 3, 6 mesi. E poi i periodi senza lavoro e le peripezie per fare domanda per l’ indennità di disoccupazione.

Il mancato rinnovo di uno di questi contratti è stato la classica goccia che ha fatto traboccare il vaso. Ho voluto lasciare tutto ciò e il provincialismo mentale in cui sta versando l’Italia da anni. Volevo guardare il mio, il nostro Paese da lontano. Cape Town non è stata una mia scelta, ma il fato. Mesi fa mandai il mio curriculum in giro e mi dissi che la prima offerta decente che fosse arrivata l’avrei presa,voilà! Oggi insegno lingua italiana. Sto combattendo con una realtà molto diversa e non facile, i ritmi di vita, la lingua… Mi sento divisa a metà, sono qui ma sono anche costantemente a Roma tramite Skype e WhatsApp. Se mi fossi sentita maggiormente tutelata e amata dal mio Paese non sarei mai andata via. Sogno di tornare un giorno ma in un’Italia migliore. Forse sarei dovuta restare e avrei dovuto lottare di più sia per me che per tutti noi, ma ero esausta, vi chiedo scusa! Forse ho solo bisogno di disintossicarmi e rafforzarmi un po’. Forse, però, con questa lettera lotto ancora».

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