FABIO ISMAN, 1938 ITALIA RAZZISTA, IL MULINO 2018–SIMONETTA FIORI, REPUBBLICA 22-11-2018, pag. 34-35

 

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VILLA OLEANDRA IN LAGLIO-COMO

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REPUBBLICA 22-11-2018 / pag.

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La storia

Quelle vite espropriate degli ebrei italiani

SIMONETTA FIORI

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1938, l’Italia razzista. I documenti della persecuzione contro gli ebrei

di Fabio Isman

  • Editore:Il Mulino
  • Data di Pubblicazione:novembre 2018
  • Pagine:275–22 euro, meno online

Descrizione del libro

La tragedia della Shoah rischia spesso di lasciare sullo sfondo le altre gravissime persecuzioni che hanno colpito gli ebrei italiani dal 1938 al 1945. Le leggi razziali, precedute da un subdolo censimento che era in realtà una vera e propria schedatura e anticipate da una violenta campagna antisemita, esclusero gli ebrei dalla scuola, dal mondo del lavoro, dalla vita civile. Dal 1938, oltre 400 provvedimenti di crescente gravità: alla fine, gli israeliti non potevano possedere una casa, un’impresa, un lavoro, neppure degli oggetti. Una spoliazione sistematica e minuta, confische equivalenti a oltre 150 milioni di euro odierni. Gli archivi restituiscono le vicende di questa Grande razzia, e storie, spesso ignote, di vita e, purtroppo, anche di morte. Il nostro Paese le ha indagate soltanto dal 1998, costituendo una Commissione presieduta da Tina Anselmi. Ma troppo resta ancora sconosciuto. Le stesse restituzioni agli originari proprietari sono state tardive e soltanto assai parziali. Come gli indennizzi, e i riconoscimenti a chi è stato perseguitato. Con una capillare ricerca tra i dati e gli allegati al Rapporto Anselmi e in numerosi archivi, negli ottant’anni dalla più importante tra le leggi razziali che furono l’anticamera della Shoah, Fabio Isman racconta vicende spesso ancora ignorate o troppo poco esplorate, che ci restituiscono lo spaccato di un’Italia non sempre composta da «brava gente».

 

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Fabio Isman (Monza, 1945) è un giornalista italiano.  Dopo essersi occupato per decenni di politica, scandali politici, processi e terrorismo, ed aver seguito importanti eventi in Italia e all’estero, due guerre in Medio Oriente, e l’elezione di due papi, da trenta anni scrive soprattutto di arte e cultura, anche al di fuori del nostro Paese, argomenti ai quali ha dedicato numerosi libri e pubblicazioni. Da sei anni, è particolarmente attento al saccheggio dell’archeologia clandestina in Italia, che dal 1970 ha portato allo scavo illegale di oltre un milione di pezzi, uno e mezzo secondo calcoli dell’Università di Princeton, coinvolgendo circa diecimila persone.

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ARTICOLO DI SIMONETTA FIORI, SU REPUBBLICA

 

Il nuovo saggio di Fabio Isman racconta le persecuzioni seguite alle leggi razziali e la macchina pubblica che si impadroniva dei beni delle vittime Dai piccoli oggetti alle case, tra cui la villa che ora appartiene a George Clooney

 
il pittore Emilio Vitali, Milano, 1901-1980

Lo saprà George Clooney? La sua villa sul Lago di Como, quella a cui si accede dalla darsena privata, è una delle dimore più sontuose della Grande razzia. Potrebbe esserne il simbolo oltre che la location per un film a sfondo storico. È facile immaginarne la prima scena: l’approdo a Villa Oleandra del divo hollywoodiano, con contorno glamour di amici e collaboratori. E poi si va a ritroso nel tempo, fino ad arrivare all’intellettuale che l’abitava negli anni Trenta del Novecento, Emilio Vitali, pittore provvisto di passione per la musica. I suoi ritratti di Renata Tebaldi e Franco Corelli sono tuttora esposti in diversi musei. Ogni estate Emilio amava trascorrere i giorni più caldi nella sontuosa magione settecentesca, ricevuta in eredità dal nonno. Ma il 10 novembre del 1944 fu espropriato di tutto, anche dei due conti correnti e delle ottantuno azioni della Banca Popolare di Milano. Derubato dallo Stato fascista, come i quasi cinquantamila ebrei colpiti dalle leggi razziali.

Quella orchestrata tra il 1938 e il 1945 – con un progressivo incrudelimento di leggi, decreti, circolari, disposizioni – fu una spoliazione sistematica e minuziosa mossa dallo Stato fascista con l’intenzione esplicita non soltanto di espungere gli ebrei dalla vita civile ma di ridurli alla fame, «di annullarne qualsiasi potenziale economico», di vessarli sul piano morale oltre che materiale. Un gigantesco saccheggio di aziende, attività, beni mobili e immobili, conti correnti, case, appartamenti, arredi, gioielli, rimasto per svariati decenni in penombra, spinto ai margini della memoria collettiva dal ricordo più lancinante dei lager, delle carneficine, del sangue versato. E su quella razzia contribuisce oggi ad allagare il fascio di luce il prezioso saggio di Fabio Isman, 1938, l’Italia razzista (il Mulino). I documenti della persecuzione contro gli ebrei, frutto del lavoro sulla sterminata mole di carte raccolte dalla commissione parlamentare istituita nel 1998 per indagare sulle proprietà sottratte.

Seppure impressionanti, le cifre non bastano a quantificare il grande bottino: la somma complessiva derubata, calcola Isman, si aggira intorno ai 150 milioni di euro. Ma più degli espropri milionari, dei ladrocini commessi sulle grandi aziende del Nord o sui palazzi pregiati o sulle collezioni d’arte, colpiscono la ruberia minuta, le liste delle piccole cose dettagliatamente compilate dai saccheggiatori mandati dalle province, dalle prefetture o dalle varie articolazioni dello Stato fascista, elenchi che includono “mutandine sporche”, “lettini di ferro” “una carrozzina”, “una camicia strappata”, “quaranta bottiglie vuote”, “una bicicletta Bianchi senza ruote”. «Nessuno fu risparmiato», sintetizzò vent’anni fa la presidente della commissione Tina Anselmi. «Né i ricchi né i poveri, né i commercianti né le aziende industriali, né chi disponeva di pacchetti azionari né chi aveva un modesto conto bancario». O per dirla con Elie Wiesel a proposito dei nazisti «fu strappata la ricchezza ai ricchi e ai poveri la povertà». Non si trattò solo di un affare di denaro, ma di una mortificazione collettiva che non aveva precedenti: insieme alle case si perdevano ricordi, vissuti, intimità.

La Grande razzia poté contare su un apparato amministrativo che ruotava intorno all’Egeli  (Ente gestione e liquidazione immobiliare )– l’ente responsabile della gestione e delle vendite delle proprietà sequestrate – ma fu favorita anche dalla cattiva coscienza di chi vi colse occasione d’affari e dall’indifferenza di coloro che assistettero alla spoliazione senza fiatare.

I carnefici italiani. Scene dal genocidio degli ebrei, 1943-1945

Simon Levis Sullam

Editore: Feltrinelli
Anno edizione: 2016

 Pagine: 147 p., Brossura, 8,50 euro

E se la catena di responsabilità nella persecuzione degli ebrei italiani è stata illustrata con grande efficacia da Simon Levi Sullam – dai travet che redigevano gli stati civili ai dattilografi che riportavano gli ordini – Isman ripercorre la galleria dei burocrati di Stato che beneficiarono delle vendite, degli antiquari pronti a far commercio con gli aguzzini, dei privati cittadini che non esitarono a entrare in possesso di case, biancheria, pellicce, stoviglie argenteria, quadri, tappeti o anche solo a partecipare al libero assalto di un negozio ebreo (capitò a Trieste nel negozio di abiti del padre di Fiorella Kostoris, dove sopravvisse al furto solo un bottone). O anche di quanti facevano domanda al ministero delle Finanze per essere nominati amministratori dei beni sottratti alle vittime: che carriera! Sono innumerevoli le storie di corruzione, cinismo, tradimento e torpore morale in un Paese in cui la classe intellettuale – quella che dovrebbe maggiormente tenere a freno gli istinti ventrali – si precipita a ricoprire con soavità le cattedre lasciate dai professori ebrei espulsi. E Isman fa bene a ricordare che, su 896 docenti universitari chiamati a sostituire gli ebrei, Massimo Bontempelli fu l’unico a opporre un rifiuto. E che ci sono voluti ottant’anni perché l’università italiana chiedesse scusa (è accaduto quest’anno nell’ateneo di Pisa).

Storie di vita – moltissime quelle di morte – senza un epilogo confortante. Perché nel dopoguerra sarebbe stata restituita solo una parte di quel patrimonio. E a prezzo di estenuanti trafile che ebbero anche un costo in danaro. Con un particolare che acquista un sapore grottesco: agli ebrei depredati l’Egeli richiese le spese di gestione, come se un bandito presentasse all’ostaggio liberato anche il conto dei pasti consumati durante il sequestro (la faccenda si chiuse solo nel 1962). E per fotografare le difficoltà con cui lo Stato democratico fece i conti con questa mostruosa ruberia, può bastare una data: l’Egeli è stato soppresso solo nel 1997, praticamente ieri.

Il libro di Isman è molto bello non solo per la mole della documentazione, ma per la passione che vi palpita. Dietro ogni carta, provvedimento, esproprio c’è una esistenza spezzata, o comunque privata della libertà e dell’identità.

Come quella dei suoi genitori che furono salvati dal tenente Giorgio Cevoli: il suo nome ora figura allo Yad Vashem tra i Giusti.

Quanto a Clooney, può godersi sereno la sua villa. Nel dopoguerra fu restituita al pittore Vitali, che vi trascorse parte della vecchiaia. Non sappiamo se negli ultimi mesi di guerra abbia ospitato qualche divisa nazista, ma questo può essere lasciato alla libera immaginazione dell’attore-regista dal quale non ci resta che attendere il film.

Potrebbe essere anche l’occasione per un nostro atto pubblico di scuse. In Italia ancora non c’è stato.

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