ansa.it — 5 maggio 2019 — Salone del Libro: dopo Raimo rinunciano Wu Ming e Ginzburg—- Si estende la protesta per presenza casa editrice ‘sovranista’–

 

 

La casa editrice Altaforte è guidata da Francesco Polacchi, attivista di CasaPound dal 2004, e pubblica titoli come “Diario di uno squadrista toscano” e “Il cinema tedesco del Terzo Reich” ( wired ), e l’intervista a Salvini

 

 

 

ansa.it — 5 maggio 2019

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Salone del Libro: dopo Raimo rinunciano Wu Ming e Ginzburg

Si estende la protesta per presenza casa editrice ‘sovranista’

 

Salone del Libro: dopo Raimo rinunciano Wu Ming e Ginzburg © ANSA

 

La polemica sulla presenza dell’editore ‘sovranista’ Altaforte tra gli stand del Lingotto scuote i giorni di vigilia del Salone del Libro di Torino. Dopo le dimissioni, ieri, dello scrittore e insegnante Christian Raimo dal ruolo di consulente editoriale per i commenti a un suo post in cui definiva “neofascisti e razzisti” alcuni editori e giornalisti, spingendo per un “Salone militante e antifascista”, oggi sono arrivate le defezioni del collettivo di scrittori Wu Ming e del saggista Carlo Ginzburg.
“Mai gomito a gomito con i neofascisti: Altaforte è di fatto la casa editrice di Casapound”, ha spiegato la band letteraria nata nel 2000. E Ginzburg ha sottolineato, di “condividere pienamente” le motivazioni di Wu Ming: “Annullo la mia partecipazione, per una scelta politica, che non ha nulla a che fare con la sfera della legalità. E esprimo la mia solidarietà a Raimo”.
Il collettivo Wu Ming è critico con il comitato d’indirizzo del Salone: “Nel comunicato (diffuso ieri, ndr) hanno detto in sostanza che Casapound non è fuorilegge, dunque può stare al Salone, basta che paghi. Come spesso accade, ci si nasconde dietro il «legale» per non assumersi una responsabilità politica e morale”.
Il comitato d’indirizzo, presieduto da Maurizio Rebola, direttore della Fondazione Circolo dei Lettori, aveva difeso il “diritto per chiunque non sia stato condannato per la propaganda di idee fondate sulla superiorità e l’odio razziale di acquistare uno spazio al Salone e di esporvi i propri libri”, rivendicando allo stesso tempo “l’altrettanto indiscutibile diritto di chiunque di dissentire, in modo anche vibrante, dalla linea editoriale perseguita da un editore”.

 

Fra le novità editoriali che Altaforte presenterà al Salone c’è il libro-intervista “Io sono Matteo Salvini”. Venerdì scorso, annunciando che quella sarebbe stata “l’unica partecipazione a un dibattito che non ci appartiene”, la casa editrice aveva precisato: “Rappresentiamo operatori puri del campo editoriale, senza alcun riferimento a soggetti di natura politica o partitica. Ciò non impedisce che la nostra attività si svolga con particolare attenzione alla rappresentazione dell’area culturale oggi riferita – nella sintesi comunicativa – come ‘sovranismo’”.
Entrando nella polemica con un lungo post il direttore del Salone, Nicola Lagioia, aveva fatto notare come lo stand di Altaforte occupa 10 metri quadri su 60 mila e che la sua partecipazione non rientra “in nessun incontro nel programma ufficiale su 1200 previsti”, ribadendo però di credere “che la comunità del Salone possa sentirsi offesa e ferita dalla presenza di espositori legati a gruppi o partiti politici dichiaratamente o velatamente fascisti, xenofobi, oppure presenti nel gioco democratico allo scopo di sovvertirlo”.

 

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1 risposta a ansa.it — 5 maggio 2019 — Salone del Libro: dopo Raimo rinunciano Wu Ming e Ginzburg—- Si estende la protesta per presenza casa editrice ‘sovranista’–

  1. Donatella scrive:

    Penso che si tratti di una questione molto delicata: da un lato c’è la libertà di espressione, dall’altro la condanna della propagazione di idee ( che sono diventate già dei fatti concreti e non solo parole) di tipo nazista e fascista. Chi ha la responsabilità del Salone avrebbe dovuto prendere una decisione politica, senza trincerarsi dietro il qualunquistico ” chi paga può esporre al salone”. Il rifiuto di una parte della cultura italiana di esporre a fianco di una casa editrice che appoggia il nazifascismo sia una testimonianza di “resistenza” culturale. Non è in gioco la libertà di esporre le proprie idee, ma non mi va di partecipare ad un evento con gente che, se appena possibile, toglierebbe a me la facoltà di esporre il mio pensiero. Come ente autonomo, gli organizzatori del Salone del libro forse avrebbero dovuto essere più coraggiosi e ricordarsi di chi i libri li bruciava.

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