Un grandissimo pittore danese, Vilhem Hammershoi (1864-1916) — notizie sul pittore in fondo + uno scritto su di lui

 

l’avevamo già conosciuto in questo link, in cui c’è una testimonianza su Umberto Galimberti preziosa per chi, come noi, lo ama…

 

ROSSANA ROLANDO, PERSONA E COMUNITA’, 07-2016 ::: LA MOGLIE E LA FIGURA DEL TESTIMONE/ IL MARITO E LA FIGURA DEL TESTIMONE::: è quello sguardo in cui ti ri-conosci e che ti fa sentire ” insieme “… —VILHEM HAMMERSHOI E UMBERTO GALIMBERTI, un dialogo perfetto– GRAZIE AL BLOG !

 

 

 

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Ida con un vestito bianco

 

 

 

Autoritratto, 1895 —Vilhelm Hammershøi – Sotheby’s–olio su tela,  33.4 x 28.2 cm

 

 

Vilhelm Hammershøi (Copenaghen15 maggio 1864 – Copenaghen13 febbraio 1916) è stato un pittore danese.

Figlio di un mercante, studiò pittura dall’età di otto anni, frequentando anche l’Accademia delle Belle Arti di Copenaghen.

Lavorò soprattutto nella sua città di origine, eseguendo ritratti, dipinti di architetture e interni. Si riporta che Auguste Renoir avesse ammirato i dipinti di Hammershøi.

I suoi dipinti, di un realismo rarefatto e silenzioso, sono conservati in musei internazionali. Sue retrospettive sono state organizzate al Museo d’Orsay a Parigi e al Museo Guggenheim di New York

 

(wikipedia )

 

 

+++ nel link sotto, lo scritto da me copiato è intervallato da immagini da noi già riprodotte e perciò saltate, ma che forse aiutano a seguire il testo…

 

VILHELM HAMMERSHØI, IL MISTERO DELLA CASA SILENZIOSA

 

Vilhelm Hammershøi (1864-1916), definito “il poeta del silenzio”, è uno degli enigmi più misteriosi e affascinanti della storia dell’arte. I suoi interni dall’atmosfera ipnotica e sospesa ne fanno un caso pressoché unico. Si rimane incerti se considerarlo un lontano discendente di Johannes Vermeer o un anticipatore di Edward Hopper. Ma nelle sue opere l’eco della linearità borghese del pittore fiammingo del Seicento sembra affievolita, e il silenzio e la solitudine dei suoi personaggi hanno un incanto e un’enigmaticità lontani dalla luce raggelante e dagli sguardi alienati dei quadri del pittore statunitense.

Nato a Copenaghen da una famiglia medio borghese, Vilhelm Hammershøi compie dei regolari studi accademici, conduce un’esistenza monotona e compie vari viaggi in Europa. Più tardi conoscerà Ida Ilsted, che diventerà sua moglie e modella.
Pur essendo ben informato sulle ultime tendenze dell’arte contemporanea, Hammershøi rimane sempre fedele alla sua maniera di dipingere, al di fuori di ogni moda e di ogni tentativo di classificazione.

Mentre in tutta l’Europa le prime avanguardie sconvolgono totalmente il modo di concepire e fare pittura, scomponendo e frantumando colore, prospettiva e soggetti rappresentati, Hammershøi continua a dipingere, con il suo stile immutabile, i suoi soggetti preferiti: qualche paesaggio, la sua famiglia, ma, soprattutto, le stube, le stanze della sua casa.

Le definizioni del suo stile vanno dal “realismo malinconico” al simbolismo, ma di fatto l’originalità della sua opera difficilmente si lascia inquadrare in alcuna rigida classificazione. La sua pittura può essere accostata a un altro danese suo contemporaneo, Georg Nicolaj Achen, ma è Hammershøi ad essere considerato il capostipite dell’arte d’interni danese, che annovera tra i suoi esponenti Carl Vilhelm Holsøe e Peder Ilsted (fratello di Ida).

Gran parte dell’opera di Hammershøi potrebbe apparire monotona: la stessa casa (nel quartiere di Christianshaven a Copenhagen), le stesse porte e finestre, lo stesso personaggio femminile, ripreso quasi sempre di spalle. Ma il vero elemento comune a queste opere è il silenzio, che pervade enigmaticamente ogni spazio della casa.
Gli interni sono spogli, disadorni e immacolati: pochi mobili, pochissimi quadri alle pareti, porte rigorosamente bianche. Il soggetto ricorrente dei suoi dipinti è la moglie Ida, una donna vestita in austeri abiti neri, rappresentata quasi sempre di spalle nei pressi di una finestra o di una porta, intenta a cucire o leggere o suonare il piano, nell’apparente attesa di qualcosa o qualcuno.

 

E non c’è nulla di più inquietante ed enigmatico di una figura vista di schiena, di un volto che non si mostra. Lo sguardo dell’artista osserva una femminilità non esibita, nascosta nell’intimità domestica, del tutto indifferente a quello sguardo. E lo spettatore rimane indeciso a chiedersi se quello è il ritratto di una solitudine e di un disagio o al contrario di una pienezza, la pienezza di una donna perfettamente a suo agio nel proprio mondo ordinato ed equilibrato, fatto di routine domestica, custode gelosa del proprio universo interiore che è reticente a rivelare, enigma vivente per il suo stesso marito pittore, che indugia un po’ impudicamente su quella nuca bianca come nel disperato tentativo di cogliere il mistero inaccessibile di quella donna che gli vive accanto.

A volta la luce spettrale dona a queste figure femminili un’impressione irreale, come se si trattasse di apparizioni o di allucinazioni.

 

Il cromatismo nelle opere di Hammershøi è ridotto al minimo; le tonalità sono sempre quelle: chiarori alternati a zone d’ombra, pochissimi oggetti, linee nette, rigorose composizioni geometriche, un silenzio pittorico indecifrabile. In alcune tele compare solo la stanza vuota, senza nessuna figura umana e l’unico elemento di vita è la luce che filtra dai vetri di una finestra chiusa. Le finestre sono sempre chiuse e, benché prive di battenti, raramente i vetri lasciano vedere il paesaggio esterno. Le porte interne, che mettono in comunicazione i vari ambienti della casa, sono invece quasi sempre aperte, lasciando vedere le stanze che si susseguono l’una all’altra, creando un effetto straniante.

Strandgade 30 è l’indirizzo della casa di Copenhagen dove Hammershøi e sua moglie vivono nel periodo 1899-1909.

Con o senza una figura, alla luce del sole o al chiaro di luna, con tende, mobili e altri segni di vita domestica o ridotto all’essenziale, in tutti i casi, lo sguardo del pittore si concentra sulla parete di fondo, dove sono presenti una porta e la finestra, che sigillano lo spettatore nel mondo ermetico di Hammershøi e forniscono l’ambiente ideale che consente all’artista di esplorare la luce e la linea.

 

In questo intimismo minimalista vibra una tensione, creata dallo spazio ermeticamente chiuso, un vuoto inquietante, un’assenza, un’angoscia esistenziale, che non si esplica in prospettive deformate o in rappresentazioni caotiche o in colori impazziti come avviene nelle opere espressioniste, ma in una fredda e composta perfezione geometrica e in un ordine meticoloso degli ambienti della casa, così linda, pulita e spoglia da sembrare quasi disabitata.

Come nei drammi di Ibsen, sfilano stanze deserte di oggetti, dipinte di non-colori, sature di incomunicabilità. Saranno i colori, oppure le inquadrature, la loro purezza ed essenzialità, o la luce obliqua e claustrale, ma sembra sempre che nei suoi quadri ci sia un qualche enigma da decifrare e che la calma e l’armonia apparente di quelle stanze possa nascondere un grande mistero.

 

E la stessa vita di Hammershøi è stata, per certi versi, un enigma: quasi coetaneo di Edvard Munch (1863 – 1944), tuttora è poco conosciuto fuori dalla Danimarca, spazzato via dalle avanguardie europee che hanno portato la pittura moderna verso direzioni del tutto diverse. È stato riscoperto solo da qualche decennio e molto ha influito la mostra che il Musée d’Orsay di Parigi gli ha dedicato nel 1997. Eppure il poeta Rainer Maria Rilke ha scritto bellissime riflessioni su di lui. Echi delle sue figure si ritrovano nei film del regista conterraneo Carl Theodor Dreyer, che dalla pittura di Hammershøi ha attinto l’ascetica sceneggiatura di alcuni film, come ad esempio “Getrud“.
L’intimità di una casa è assimilata simbolicamente all’intimità di una donna, per cui porte e finestre, in quanto luoghi di passaggio, rimandano alla volontà di trovare degli accessi a quel mondo interiore.

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