Quota è un paese nel Comune di Poppi a 680 metri di altitudine. Distante sei chilometri dal capoluogo è posto sulle pendici orientali del Pratomagno. In prossimità del borgo, lungo l’unica strada carrabile che vi arriva dal fondovalle casentinese (che unifica le due provenienti da Poppi e da Ortignano), possiamo godere di una sua vista panoramica incorniciata dalle piante che ci fa ben capire come il paese sia posto sul monte e quale architettura andremo a visitare. Quota, in origine Coita, nasce nel XVI e XVII secolo sui resti di un castello medievale. Questo percorso edificativo che troviamo anche in altri borghi presenti sulle pendici del Pratomagno sia casentinesi che valdarnesi da origine ad architetture molto simili tra loro.
Il motivo principale per cui Quota merita una visita è senza dubbio la sua architettura con borghi e vicoli perfettamente lastricati e ordinati che s’intrecciano in un continuo saliscendi
REPUBBLICA DEL 30 OTTOBRE 2019–pag. 37
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Invece Concita
La trattativa di mio nonno
di Concita De Gregorio
«Settantacinque anni fa, nell’estate del ’44, la guerra si è fermata sull’Appennino.
Quota è un piccolissimo borgo arrampicato sul versante orientale del Pratomagno, in Casentino, a poca distanza da Poppi e da Bibbiena. Nemmeno 300 anime, tra uomini, donne, bambini.
In quei mesi diventa il rifugio di quanti rifiutano l’alternativa tra la guerra con i fascisti o il lavoro coatto con i nazisti. A essi si sono aggregati via via prigionieri alleati scappati dai campi, ebrei in fuga dalla “soluzione finale”, irregolari e sbandati vari.
Domenica 9 luglio un attentato giù lungo il fiume, al Ponte delle Lame, fa tre morti tra i tedeschi.
La reazione è immediata: si bruciano case, capanne, pagliai e si uccide una donna. È solo l’inizio.
Martedì 11, guidati dai fascisti, i tedeschi circondano il paese, alla fine riuniscono nella minuscola piazzetta centrale una trentina di uomini, decisi a eliminarli.
A questo punto interviene uno “sfollato”, un anziano professore dell’Università di Firenze, che fiancheggiato dalla figlia e dalla maestra del paese, Emilia Bonarini, apre una singolare trattativa con i tedeschi, cercando di convincere il comandante a non ammazzare nessuno. La trattativa va avanti per ore. Addirittura, solo per guadagnare tempo una donna del paese prepara da mangiare per i quattro o cinque ufficiali. Poi, alla fine, chissà come i tedeschi si convincono: scelgono cinque uomini tra quelli che non hanno figli, li portano dove finisce il paese e comincia il bosco, e uno a uno, a cinque minuti di distanza, li uccidono. Così muoiono Anselmo Giorgioni 25 anni, Giovanni Madiai 59, Ettore Maggi 46, Oreste Valenti 36. E così muore Amedeo Spinelli 43, lui che non ha figli e che si offre al posto del fratello Emilio, che ne ha sei, tutti piccoli.
La strage è stata rievocata in un libro di Pandolfo Pandolfi e nel Castello di Poppi dove, del tutto immeritatamente, mio cugino Glauco e io diventiamo degli eroi locali, unici nipoti presenti del nonno Ranieri e della zia Livia, i due sfollati fiorentini protagonisti della trattativa. Eroi locali perché, in una comunità così esigua, la perdita di trenta uomini giovani ne avrebbe segnata la fine. Sono passati 75 anni, e io mi sono trovato davanti a una anziana signora che mi ha chiesto di salutarle mia sorella Maria Grazia, sua coetanea, con la quale aveva giocato in quel terribile anno. Peccato che mia sorella sia morta venti anni fa».
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