” REVERIE ” – ROBERTO RODODENDRO — senza data — Immagine di Bardelli, 1962

 

 

Evidentemente parlo di qualcuno, forse di qualcuno ma non lo so più. Non ho neppure una vaga collocazione di quando l’ho scritto.
Mezzanotte e stanco. Volevo mandarti una “cosa “ nuova ed è capitata questa. Non l’ho capita molto.
Il senso, intendo.
Comunque è qui e non ha un nome quindi potrebbe essere, in tutti i sensi, “L’innominata”:

 

 

 

bardelli, astratto 1962 001 RIT

bardelli, senza titolo, 1962, vernice industriale su carta.

 

 

 

è un gioco ed è un sogno.
tutto deve muoversi sul filo onirico e della memoria. la memoria è un falso.
Anche il tempo è un falso.
Se vediamo il sogno – ma la vita non è sogno – il tempo è tutto sullo stesso piano: quel che è accaduto accade, quello che accadrà è accaduto. C’è il presente, forse.
il sogno può essere sogno o incubo, a seconda di come vogliamo vederlo. siamo noi che creiamo il sogno o l’incubo. Siamo noi che mascheriamo l’incubo da sogno, rivestito di velluti, di tanti panni caldi, di veli su veli, fino ad ammorbidirlo, fino a volercelo immaginare sogno.
Guai a noi quando scopriamo che è un incubo.
L’età rende più fragili le nostre difese. Prima o poi tutti gli incubi vengono alla luce.
Quando finisce il gioco finisce la vita.
Quando finisce il gioco comincia l’incubo.
Tutte le cose, tutti gli accadimenti possono avere due facce.
tu che sorridi…Cosa vedo. vedo amore.
Tu che sorridi… cosa vedo. Non lo so più: posso vedere odio o scherno.
E’ la stessa situazione ma sono due momenti diversi.
Non è identità è situazione, è stato d’animo.
La nostra identità è nascosta. C’intravvediamo a volte. Abbiamo consapevolezza uno dell’altro, ma ci mascheriamo, siamo in difesa.
Coscienza o dubbio.
Incoscienza o realtà.
Gioco. dov’è il gioco.
Il gioco è allegria.
Il gioco è massacro.
Quando finisce il gioco può essere morte
può essere presa di coscienza.
Può esser fine della fanciullezza.
Tu non vuoi che la tua fanciullezza finisca.
Ci sei attaccata tenacemente.
Rifiuti la sua fine. Lotti con tutte le tue forze. Appresti tutte le tue difese
Le tue difese sono violenza.
violenza contro di te e contro gli altri
Rompere per evitare la fine della fanciullezza.

 

Non è solo l’identità. E’ il dubbio dell’identità che abbiamo di noi stessi. L’inconsistenza di noi stessi. L’interpretazione dei gesti. L’interpretazione di un sorriso, di una parola di una frase.
E’ come la vediamo?
o siamo noi che le diamo quell’interpretazione?

Almeno 5/6 episodi esemplari. concatenati che diano un filo logico alla storia.
Si comincia da metà, si riprende dall’inizio e quindi parte ultima. non fine. Fine non può esistere, se tutto è accaduto e accade.
Ma perchè tutto è accaduto e riaccade. Perchè noi utilizziamo solo in parte la memoria. In realtà non la vogliamo utilizzare, la nascondiamo. Le facciamo violenza e tutto può, anzi, e tutto riaccade.

 

Padre Ubù : Siete troppo buono. (esce) Si, re Venceslao, ma non di meno sarai massacrato.

Padre Ubù: Ah che porcheria! Il cattivo diritto non vale forse quanto il buono? E tu mi fai torto, Madre Ubù, adesso ti faccio a pezzettini.
( la madre Ubù fugge inseguita da padre Ubù) pag. 76

 

Rendiamo roboanti le tristezze, nei nostri dolori non abbiamo pudori,
minimizziamo invece le manifestazione di gioia, sempre per lo stesso pudore.

A volte agiamo al contrario, a seconda di come siamo noi.
Se amiamo il piacere lo nascondiamo, se amiamo la tristezza la mostriamo al mondo.

 

Il tempo.
Non esistono “tempi supplementari”. Il tempo è rigido. Va avanti, dimentica l’attimo precedente, divora il suo passato mentre va avanti.
Oppure, se vogliamo vedere il tempo come un susseguirsi di presente diciamo che è come una pellicola che, man mano che passa nella macchina, che la vediamo, si brucia.
Il risultato non cambia.
Il tempo è immutabile.
Non c’è diritto di replica.
Si può riprovare? Difficile. Lasciamo un margine di dubbio, per salvare la speranza.
E’ una commedia, lo sappiamo, ma non fino a quel punto. A volte è anche una farsa, il più delle volte.
Ma non cambia.
Non si possono fare le prove generali per vedere come andrà a finire.
Si recita all’impronta, momento per momento, e lì stà il casino.

 

L’errore è ammesso, grazie al cielo ed alla nostra religione, ma resta lì, ci guarda, lo guardiamo, ma non cambia.

Ci accorgiamo del tempo solo quando è passato. Non riusciamo a percepirlo mentre passa.
Lo vediamo con un attimo, un tremendo attimo di ritardo. Godiamo del momento passato, mai del presente.

 

 

 

Sai, sto pensando che è presuntuoso da parte mia parlare di te, come se sapessi tutto di te, come se ti conoscessi a fondo.
Forse è una difesa, forse è pura presunzione, forse è inadeguatezza. Forse è raccontare una storia così, come la conosco o come voglio che sia.
Forse è solo una storia.
Fatto stà che tu dipendi da me, come tutti i personaggi di una storia dipendono dall’autore ( ma perchè chiamarli personaggi? Non sono anch’essi persone, con tuttto quel chè di umano che comporta il termine”persona” al contrario di personaggio che appare posticcio mutabile e volubile.), lui, qui ha ogni potere su di loro ( ma allora sono personaggi!).
Il problema è : io sono l’autore?
O sono anch’io un personaggio costruito dall’autore per mascherare la sua presenza dietro un velo di un altro, per togliersi ogni responsabilità e restare nascosto? e lui, magari, a sua volta è un altro personaggio costruito dal vero autore, per gli stessi motivi, che a sua volta è un altro personaggio …..
L’autore, allora, è nascosto chissà dove, nei meandri dei vari personaggi, dietro una fitta rete di veli sottili, trasparenti ma talmente fitti da non permettere mai d’intravvederlo, una entità labile e sfuggente, una personalità multipla.
Ma quale può essere lo scopo?
Nel senso che siamo tutti personaggi, che siamo tutti persone che siamo tutti autori di noi stessi nel momento stesso in cui prendiamo corpo in una storia?
Nel momento stesso in cui sviluppiamo un nostro modo personale di prendere in mano la storia che qualcuno crede di costruire su di noi mentre siamo noi, che in realtà gli prendiamo la mano e lo forziamo, suo malgrado a scrivere di noi, quello che la forza della nostra persona o personaggio, impone?

 

In un cassetto, frugando, ho trovato delle fotografie dimenticate.
Alcune sono vecchie, altre più recenti.
Ammucchiano tutte ricordi .
Sono immagini ferme, forse false. Difficile riconoscere noi e gli altri nelle fotografie. Un attimo fermato sulla carta lucida. Ma cosa vuol dire quel sorriso ebete che hai sulle labbra?
Quella persona che ti sta affianco, che ti abbraccia con un sentimento trasparente di possesso, chi è?
E’ ormai morta. Quella persona non esiste più.
E’ sicuramente un’altra, anche se ti ha vissuto accanto fino ad oggi.
I ricordi non nascono dalle fotografie. Sono in noi. E come le fotografie, se non di più, in quanto più sfocati, ritoccati, sono false immagini.
Il ricordo non esiste se non per quello che vogliamo.

Mi guardo, in una di quelle fotografie. Non mi riconosco.
Mi ricordavo meglio. O meglio, diverso.
Quello che mi guarda dalla carta lucida, a colori forti non sono io, è una persona che ho conosciuto, una persona con la quale ho convissuto.
La ragazza che gli sta affianco, che si aggrappa la suo braccio con un senso di possesso, so che si chiamava Paola, anzi, so che se qualcuno, ancora oggi, la chiama con quel nome, lei risponde. Non so più come risponde.
Non so più se ha lo stesso sorriso.
So che non può più avere lo stesso sorriso di quando la chiamavo io, anzi, di quando quell’altra persona nella fotografia, la chiamava.
Già un attimo dopo quella fotografia, aveva cambiato, presumibilmente atteggiamento, impercettibilmente atteggiamento.
Quelle due persone, aggrappate l’una all’altra con reciproco sentimento di possesso, andavano già, inesorabilmente, verso una loro fine.
…………………..

 

Resta addosso la nostalgia, il senso delle cose passate, passate per sempre.