Lee Konitz ( Chicago, 1927 – News York, 15 aprile 2020 ) – At Storyville 1954 (full album)- 48.08 ++ LUIGI ONORI, Lee Konitz e l’etica del jazz.  Addio al leggendario sassofonista americano + video — IL MANIFESTO DEL 17 APRILE 2020

h

Lee Konitz – alto saxophone

Ronnie Ball – piano

Percy Heath – bass

Alan Levitt – drums

 

 

Lee Konitz: «Se è libero, allora è jazz»

Flipboard: Lee Konitz 1927-2020

Lee Konitz (Chicago, 13 ottobre 1927 – New York, 15 aprile 2020) è stato un sassofonista e compositore statunitense di musica jazz.

 

 

 

00:00 A1 – Hi Beck (introduction by John Mclelland)

08:23 A2 – If I Had You

19:45 A3 – Subconscious Lee

25:22 B1 – Sound-Lee

31:59 B2 – Foolin’ Myself

37:57 B3 – Ablution (introduction by John Mclelland)

43:24 B4 – These Foolish Things

 

 

IL MANIFESTO DEL 17 APRILE 2020

https://ilmanifesto.it/lee-konitz-e-letica-del-jazz/

 

 

VISIONI

Lee Konitz e l’etica del jazz

 

Musica. Addio al leggendario sassofonista americano, uno stile unico che fondeva rigore e improvvisazione. Una carriera fitta di collaborazioni, con Miles Davis in «Birth of Cool»

Un giovane Lee KonitzUn giovane Lee Konitz

 

Luigi Onori

EDIZIONE DEL 17.04.2020

PUBBLICATO17.4.2020, 0:20

AGGIORNATO16.4.2020, 22:14

 

Una serata del dicembre 1997 Lee Konitz con il suo sax alto suonava al Jazz Bakery di Culver City, in California. Si esibiva con un trio di forti personalità: Konitz 70enne, il contrabbassista Charlie Haden 60enne e il pianista Brad Mehldau 27enne.

Verso la fine della ballad Everything Happens to Me (standard battutissimo, da Chet Baker e Keith Jarrett) il trio tacque e l’alto restò come sospeso, in solitudine, a tratteggiare armonia, melodia, improvvisazione e ritmo: il sassofonista sapeva smontare e rimontare ed estrarne nuove, inedite, toccanti melodie.

Uno dei momenti magici (è nell’album Another Shade of Blue) delle migliaia di concerti che Lee Konitz ha tenuto in settantacinque anni di carriera, iniziata a sedici anni nel gruppo di Jerry Wald e conclusasi il 15 aprile scorso, al Lenox Hill Hospital di New York.

 

IL 92ENNE jazzman (nato nel 1927), artisticamente attivo fino all’ultimo, era stato ricoverato per una polmonite aggravatasi a causa del Covid-19.

É il quarto jazzista vittima del coronavirus, dopo il chitarrista Bucky Pizzarelli (classe 1926), il pianista-didatta Ellis Marsalis (1934) e il trombettista Wallace Roney (1960).

 

E pensare che, mentre Konitz si spegneva, al Lincoln Center – sempre a Ny – Wynton Marsalis dava il via ad una maratona jazz contro la pandemia (Worldwide Concert for our Culture) collegandosi con artisti di tutto il mondo, tra cui Stefano Di Battista.

 

In Lee Konitz molti sono i tratti, non solo biografici, che lo identificano con gran parte della vicenda e dell’estetica del jazz. Fondamentale il suo imprinting giovanile con Lennie Tristano, conosciuto negli anni ’40 a Chicago e frequentato poi nella sua domestica scuola newyorkese.

 

È qui che Konitz entra nel laboratorio creativo del pianista, conosce il tenorista Warne Marsch suo «gemello» strumentale (assoluti i loro unisoni), impara ad improvvisare su armonie complesse ma anche in aree pantonali e libere (Intuition, Digression), elabora le idee che lo portano al primo, maturo album, Subconscious Lee (1949).

L’altosassofonista è presente, in modo qualificante, in molti degli snodi del jazz: è nel nonetto di Miles Davis che sancisce la nascita del cool (1948-’50), collabora spesso con maestri della composizione e dell’arrangiamento (Gerry Mulligan, Gil Evans), milita nell’orchestra dei Stan Kenton (1952-’54) e quando può è sempre al fianco di Lennie Tristano negli anni ’50 e ‘60. Nel 1985 dichiarò alla rivista statunitense «Down beat» di «essere fedele a quelli che ritengo i saldi principi (di Tristano), e questo significa soprattutto offrire sempre un prodotto etico».

 

INTERROGATO in proposito da Andy Hamilton (autore del volume, costruito su interviste con l’altista e i molti che incrociarono la sua carriera, Lee Konitz. Conversazioni sull’arte di improvvisare, Edt 2010) il jazzista chicagoano spiegò che «è un qualcosa legato alla mia musicalità, che esploro ogni giorno. Per un verso , tenere conto delle persone per cui sto suonando, ma suonare soprattutto per me e per quelli che suonano insieme a me, e in qualche modo aspettarmi da loro lo stesso. Se la musica arriva con chiarezza a persone che la possono sentire e possono reagire, allora credo di aver perseguito e ottenuto un risultato etico». Rigore, comunicativa, ispirazione, ricerca, disponibilità, dialogo. Tutto questo è presente nell’intera parabola di Konitz mentre il suo suono, da affilato e flautistico, diventò nel tempo più corposo e materico senza perdere l’aroma bluesy e la inesausta capacità di inventiva melodico-ritmica che ha eguali solo, probabilmente, in Paul Bley.

 

4.28

 

Lee Konitz per tutta la vita non ha mai smesso di essere interessato alle novità praticando l’insegnamento, imparando il flauto, utilizzando un sassofono elettrico (Varitone), cimentandosi in un numero quasi incalcolabile di duetti, autentici incontri/confronti con altre personalità sonore.

Qualche nome che rende l’idea della gamma espressiva-stilistico-generazionale dei duos konitziani: Derek Bailey, Stefano Battaglia, Karl Berger, Harold Danko, Hal Galper, Jimmy Giuffre, Elvin Jones, Jim Hall, Joe Henderson, Ray Nance, Michel Petrucciani, Martial Solal…

 

Konitz lo si trova nei Primordial Jazz Five di Roswell Rudd, a fianco di Mingus, con Bill Evanse in tanti altri organici per la sua capacità dialettica, di ricerca di un terreno comune senza rinunciare alla propria personalità, di scavo di proprie e altrui composizioni o degli amati standard.

 

DI FREQUENTE in Europa, spesso in Italia, l’altosassofonista ha suonato con pianisti da Renato Sellani a Stefano Bollani passando per Franco D’Andrea e Enrico Pieranunzi come con giovani formazioni quali la veneziana orchestra Il suono improvviso (1993).

«Una volta – ha raccontato ad Hamilton Pieranunzi – subito prima di salire sul palco, Konitz disse a me, al bassista e al batterista: ‘Ok, ragazzi, siete pronti a improvvisare davvero?’. Ci ha dato una scossa. Ci siamo sentiti molto liberi, anche di suonar le note sbagliate, di andare ovunque». Questo è il jazz, questo era Lee Konitz.

 

 

SULL’AUTORE DELL’ARTICOLO::

 

Luigi Onori

Luigi Onori

Storia ed Estetica del Jazz

 

Laureato in Lettere Moderne nel 1981 presso l’Università La Sapienza di Roma con la tesi La nascita della III pagina nei quotidiani italiani.

Docente incaricato di “Storia del jazz, delle musiche improvvisate e audiotattili” (già “Storia della Musica Jazz – Storia e analisi del repertorio jazzistico”) dall’anno accademico 2006-2007 presso il Conservatorio Statale “Licinio Refice” di Frosinone.

Nel 2014-2015 e 2015-2016 corsi di Storia ed estetica del jazz (per il biennio) presso Saint Louis Music School.

Dal 2011 fa parte della giuria dell’European Jazz Contest.

Collabora continuativamente con  «il manifesto»,  «Il giornale della musica ” 2008-2013, con «The Jazz Yearbook» 2010-2011,  “A proposito di jazz”, «Musica Jazz» dal novembre 1985 al febbraio 2001. Collabora anche con riviste  da «Musica/Realtà» (diretta da Luigi Pestalozza) a «Lettera dall’Italia» (Istituto dell’Enciclopedia Treccani).

 

Le pubblicazioni le trovi nel link da cui le informazioni sopra::

 

Luigi Onori

Condividi
Questa voce è stata pubblicata in GENERALE. Contrassegna il permalink.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *