GUERRA IN BOSNIA ERZEGOVINA E MASSACRO DI SREBRENICA ::: qualche elemento per leggere :: ++ GUIDO RAMPOLDI ( notizie in fondo ) :: “Scontro tra civiltà”: una fake news nata dopo Srebrenica — IL FATTO QUOTIDIANO – 15 LUGLIO 2020

 

 

 

«In Bosnia ed Erzegovina viene condotta una guerra mondiale nascosta, poiché vi sono implicate direttamente o indirettamente tutte le forze mondiali  e sulla Bosnia ed Erzegovina si spezzano tutte le essenziali contraddizioni di questo e del terzo millennio.»

 

(Kofi Annan, Report of the Secretary-General, p 503)

 

 

 

 

BOSNIA

 

CIMITERO A SARAJEVO

 

 

 

La guerra in Bosnia ed Erzegovina è stato un conflitto armato svoltosi tra il 1º marzo 1992 e il 14 dicembre 1995, fino alla stipula dell’accordo di Dayton, che pose ufficialmente fine alle ostilità.

 

Sarajevo, 1993

 

 

 

 

 

La guerra in Bosnia ed Erzegovina è strettamente connessa con la dissoluzione della Jugoslavia iniziata con l’indebolimento del governo post-comunista. Infatti, nel caso della Jugoslavia, il comunismo perse la sua forza ideologica e fece strada al rafforzamento del nazionalismo alla fine degli anni ottanta.

 

Il conflitto si inserisce all’interno delle guerre jugoslave svoltesi tra il 1991 e il 2001, all’indomani della dissoluzione della Repubblica Socialista Federale di Jugoslavia.

 

Il violento conflitto vide il coinvolgimento dei tre principali gruppi nazionali: serbi, croati e bosniaci

 

La Bosnia ed Erzegovina, ex-provincia ottomana, è stata storicamente uno Stato multietnico. Secondo il censimento del 1991, il 44% della popolazione si considerava musulmana, 32,5 % serba e il 17 % croata e il 6 % come jugoslava.

 

Già nel marzo 1991 i presidenti Franjo Tuđman (Croazia) e Slobodan Milošević (Serbia) si incontrarono informalmente per discutere sulla spartizione della Bosnia tra Croazia e Serbia.

 

L’embargo

Il 25 settembre 1991 il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite approvò la risoluzione 713 imponendo l’embargo sulle armi su tutti i territori dell’ex-Jugoslavia. L’embargo colpì maggiormente l’Armata della Repubblica di Bosnia ed Erzegovina poiché la Serbia ereditò la quasi totalità dell’arsenale dell’Armata Popolare Jugoslava e l’esercito croato contrabbandava le armi con i gruppi mafiosi attraverso la costa dalmata. Oltre il 55 % degli arsenali e caserme della ex-Jugoslavia si trovavano in Bosnia (erano da sempre posizionate li per sfruttate il vantaggio difensivo del terreno montuoso, prestandosi anche a base strategica in caso di invasione lampo della Jugoslavia), ma molte di quelle fabbriche erano sotto controllo serbo (come la fabbrica UNIS PRETIS in Vogošća), e altri erano inutilizzabili a causa di mancanza di energia elettrica e di materie prime.

Il governo bosniaco aveva fatto pressioni per ottenere la revoca di questo embargo ma Regno Unito, Francia e Russia posero il loro veto a questa richiesta. Le proposte americane per perseguire questa politica erano conosciuti come “Lift and Strike“. Il Congresso degli Stati Uniti approvò due risoluzioni che chiedevano di alleviare l’embargo, ma entrambe furono soggette del veto dal presidente Clinton per paura di creare una spaccatura tra gli Stati Uniti ed i paesi sopra citati. Tuttavia, gli Stati Uniti usarono canali illegali per infiltrare gruppi terroristi islamici (spesso legati ad Al-Qaida) e massicce munizioni contrabbandando armi alle forze musulmane.

 

 

wikipedia, guerra in Bosnia Erzegovina

https://it.wikipedia.org/wiki/Guerra_in_Bosnia_ed_Erzegovina

 

 

 

 

 

 

Il massacro di Srebrenica (IPA: [srêbrenit͡sa]) è stato un genocidio di oltre 8 000 musulmani bosniaci, per la maggioranza ragazzi e uomini, avvenuto nel luglio 1995 nella città di Srebrenica e nei suoi dintorni, durante la guerra in Bosnia ed Erzegovina.

 

IL GENERALE RATKO MLADIC

 

La strage fu perpetrata da unità dell’Esercito della Repubblica Serba di Bosnia ed Erzegovina guidate dal generale Ratko Mladić, con l’appoggio del gruppo paramilitare degli “Scorpioni”, in quella che al momento era stata dichiarata dall’ONU come zona protetta e che si trovava sotto la tutela di un contingente olandese dell’UNPROFOR.

 

Una sentenza della Corte internazionale di giustizia del 2007, nonché diverse altre del Tribunale penale internazionale per l’ex-Jugoslavia (ICTY), hanno stabilito che il massacro, essendo stato commesso con lo specifico intento di distruggere il gruppo etnico dei bosgnacchi, costituisce un “genocidio”.

 

 

RADOVAN KARADZIVC, PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA DI BOSNIA ERGEGOVINA

 

 

Tra i vari condannati, in particolare Ratko Mladić e Radovan Karadžić (all’epoca presidente della Repubblica Serba di Bosnia ed Erzegovina) sono stati condannati in due momenti diversi dall’ICTY, il primo all’ergastolo ed il secondo a 40 anni di reclusione. La Corte penale internazionale dell’Aia ha poi applicato la pena dell’ergastolo anche a Karadžić.

 

 

 

775  BARE  DEI 775 BOSNIACI IDENTIFICATI NEL 2010

 

 

 

 

ESUMAZIONE DELLE VITTIME

 

 

PARETE CON I NOMI DELLE VITTIME

 

 

 

IL FATTO QUOTIDIANO – 15 LUGLIO 2020

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/07/15/scontro-tra-civilta-una-fake-news-nata-dopo-srebrenica/5868428/

 

 

“Scontro tra civiltà”: una fake news nata dopo Srebrenica

 

 

 

di Guido Rampoldi 

| 15 LUGLIO 2020

 

 

Il venticinquesimo anniversario del massacro di Srebrenica poteva essere l’occasione per tentare di rispondere alla domanda implicita che ci lasciò l’Alto rappresentante Onu Paddy Ashdown: “Avremmo potuto evitarlo. Ma non lo facemmo”. Perché? Se l’argomento non appassiona le opinioni pubbliche è anche per cattiva coscienza.

L’inazione europea fu il prodotto di pregiudizi, pavidità, ipocrisie in parte tuttora acquattati nella destra e nella sinistra. Alla maggior parte dei governi non piaceva l’idea di un Paese a maggioranza musulmana in Europa (quando chiesi all’ex premier bosniaco Hasan Muratovic se le cose sarebbero andate diversamente qualora i musulmani si fossero chiamati “cristiani”, mi rispose: “Sicuramente”).

Inoltre la Serbia aveva relazioni storiche con Francia e Italia, perciò disponibili ad accordare a Belgrado una certa segreta tolleranza; e la sua alleanza tradizionale con la Russia incuteva timore.

Con maggiore impudicizia Austria, Germania e Italia proteggevano la Croazia. L’avevano spacciata per una democrazia liberale, finsero di non sapere che le milizie dirette da Zagabria ( Croazia ) erano coinvolte nell’aggressione alla Bosnia.

Jadranko Prlić.jpg

Jadranko Prlić in 2017– Leader dell’autoproclamata Repubblica Croata dell’Erzeg-Bosnia durante la guerra di Bosnia, e condannato nel 2013 dal Tribunale penale internazionale per l’ex-Jugoslavia a 25 anni di prigione per crimini di guerra e pulizia etnica contro la popolazione bosgnacca e serbo-bosniaca, in una “impresa criminale congiunta” assieme a, tra gli altri, l’ex presidente croato Franjo Tudjman e l’ex leader politico croato-bosniaco Mate Boban, entrambi già morti.

(valga in proposito la sentenza contro Jadranko Prlic del Tribunale internazionale per i crimini nell’ex Jugoslavia).

 

 

L’effetto combinato di tutto questo fu un embargo Onu sulle armi che colpiva soltanto gli aggrediti; e una missione Onu tanto vile quanto intenzionalmente inefficace.

E quando l’unico comandante Onu dotato di senso dell’onore, il generale britannico Smith, propose di sbloccare con i suoi mortai l’assedio di Sarajevo, l’inviato speciale delle Nazioni Unite lasciò cadere quella proposta.

Srebrenica cambiò tutto, l’opinione pubblica americana insorse e Clinton fu costretto controvoglia a lanciare l’aviazione Usa sulle postazioni serbe. Tuttora il pacifismo depreca quella settimana di bombardamenti che costrinse i serbi alla resa. Ma per quanto 500 uccisi siano una cifra spaventosa, è infinitamente più bassa delle vittime che avrebbe fatto la guerra se fosse proseguita.

Nei tre anni e mezzo della sua durata era costata la vita a quasi centomila esseri umani, per l’80 per cento musulmani uccisi dalle milizie serbe e croate; queste ultime assassinarono anche un significativo numero di anti-nazionalisti della propria etnia.

(lo scrittore Predrag Matvejevic mi raccontò di suo nipote, fucilato a Mostar perché rifiutava di arruolarsi nelle milizie croate). Se a questo aggiungiamo che nelle maggiori città bosniache la percentuale di matrimoni misti era alta, e che le milizie etniche di fatto nacquero per impulso degli stati maggiori serbo e croato, non è difficile comprendere che il conflitto non fu affatto una spontanea deflagrazione di “odii atavici”, di animosità tra religioni e civiltà.

Ma all’Europa conveniva credere allo scontro tra forze inarrestabili che risalivano dal profondo della storia. Se il conflitto era ineluttabile come un terremoto non si poteva fare molto per arrestarlo, tanto più perché tutti risultavano colpevoli, tutti vittime di un odio incomprensibile, metafisico. Su questa narrativa il politologo americano Samuel Huntington ricavò una tesi di straordinario successo, lo “scontro tra civiltà”, che tuttora va fortissimo, non solo a destra. L’ultimo a farvi riferimento è stato Massimo D’Alema.

Ma il primo che mi introdusse ad Huntington fu, nel 1997, un imam di Giacarta. Aveva allestito nella sua moschea una mostra sulla persecuzione dei musulmani nel mondo: lo “scontro tra civiltà” si confaceva perfettamente alle sue mistificazioni.

 

 

QUALCOSA SULL’AUTORE DELL’ARTICOLO :: GUIDO RAMPOLDI –Da WIKIPEDIA

 

Rampoldi: la raccolta “Il Calendario civile europeo” ripercorre ...

Guido Rampoldi (Roma, 1952) è un giornalista e scrittore italiano, vincitore del Premio Bagutta, sezione opera prima, nel 2009.

 

Dal 1987 al 2011 ha seguito tutti i più importanti eventi di politica estera, prima per “La Stampa” e poi per “La Repubblica”. Inviato speciale, editorialista e war-correspondent, ha vinto alcuni tra i maggiori premi di giornalismo, tra i quali il Barzini e il Mad David. Laureato in Filosofia, ha pubblicato saggi sullo sterminio come pratica ‘politica’ dal dopoguerra ad oggi (L’innocenza del Male, Laterza 2004) e sull’uso politico degli idrocarburi nel mondo contemporaneo (I giacimenti del potere, Mondadori 2006). Un suo romanzo ambientato in Afghanistan (La mendicante azzurra, Feltrinelli 2008) ha vinto il Premio Bagutta opera prima. Il suo successivo romanzo (L’acrobata funesto, Feltrinelli 2012) è stato letto come una satira del giornalismo corrente. Dal 2015 collabora con “Il Fatto quotidiano”.

Condividi
Questa voce è stata pubblicata in GENERALE. Contrassegna il permalink.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *