PHILIPPE JACCOTTET ( Moudon, 1925- Grignan, 2021 ) – ALCUNE POESIE- TESTO E TRADUZIONE DI FABIO PUSTERLA CHE FA ANCHE UN COMMENTO — DAL BLOG : ” I POETI SONO VIVI. COM “, che ringraziamo moltissimo- + LINK AL FONDO

 

 

18 settembre 2014

 

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Parler est facile, et tracer des mots sur la page /

antologia, Philippe Jaccottet

Pubblicato: 18 settembre 2014 |

Autore: rc |

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Parler est facile, et tracer des mots sur la page,
en règle générale, est risquer peu de choses:
un ouvrage de dentellière, calfeutré,
paisible (on pourrait même demander
à la bougie une clarté plus douce, plus trompeuse),
tous les mots sont écrits de la même encre,
«fleur» et «peur» par exemple sont presque pareils,
et j’aurais beau répéter « sang » du haut en bas
de la age, elle n’en sera pas tachée,
ni moi blessé.
Aussi arrive-t-il qu’on prenne ce jeu en horreur,
qu’on ne comprenne plus ce qu( M’on a voulu faire
en y jouant, au lieu de se risquer dehors
et de faire meilleur usage de ses mains.
Cela,
c’est quand on ne peut plus se dérober à la douleur,
qu’elle ressemble à quelqu’un qui approche
en déchirant les brumes dont on s’enveloppe,
abattant un à un les obstacles, traversant
la distance de plus en plus faible – si près soudain
qu’on ne voit plus que son mufle plus large que le ciel.
Parler alors semble mensonge, ou pire: lâche
insulte à la douleur, et gaspillage
du peu de temps et de forces qui nous reste.
Parler alors semble mensonge, ou pire: lâche
insulte à la douleur, et gaspillage
du peu de temps et de forces qui nous reste.

Philippe Jaccottet (Moudon, 1925), Chants d’en bas (Payot, 1974; traduzione italiana: P. Jaccottet, Alla luce d’inverno. Pensieri sotto le nuvole, a c. di Fabio Pusterla, Marcos y Marcos, 1997).

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Parlare è facile, e tracciare parole sulla pagina
vuol dire, per lo più, rischiare poca cosa:
lavoro da merlettaia, ovattato,
tranquillo (perfino alla candela si potrebbe
domandare una luce più dolce, più ingannevole),
le parole sono tutte scritte con lo stesso inchiostro,
«fetore» e «fiore» per esempio sono quasi uguali,
e quando avrò ricoperto di «sangue» l’intera pagina,
lei non ne sarà macchiata,
o io ferito.

Capita dunque di provare orrore per questo gioco,
di non capire più cosa si voleva fare
giocandoci, invece di arrischiarsi fuori,
e di fare un uso migliore delle proprie mani.

Questo
è quando non ci si può più sottrarre al dolore,
quando il dolore somiglia a qualcuno che viene,
strappando il velo di fumo in cui ci si avvolge,
abbattendo uno per uno gli ostacoli, colmando
la distanza sempre più lieve – d’improvviso così vicino
che non si vede più che il suo muso più largo
del cielo.

Parlare allora sembra menzogna, o peggio: vigliacco
insulto al dolore, e inutile spreco
del poco di tempo e forze che ci resta.

Questa poesia della piena maturità apre una breve suite composta di sette testi e intitolata Parler.

Si tratta di una serie memorabile, forse uno dei punti più alti dell’arte di Jaccottet, qualcosa che si potrebbe definire una ars poetica; l’origine è il lutto, il dolore per la perdita di una persona cara e la meditazione dunque sulla morte. Ma, sin dal titolo d’assieme, questa meditazione riguarda anche la poesia stessa, il suo senso e i suoi limiti.

Di fronte al male, al dolore proprio e soprattutto altrui, al disfacimento dei corpi: cosa può fare, con che diritto può ancora provare a proporsi la parola poetica?

Scrivere (cioè «parlare») è un atto positivo, il gesto che prova a trovare un senso dietro l’apparenza delle cose, o un atto di rinuncia, quasi una viltà di fronte alla pienezza della vita?

Ho incontrato questa poesia e quelle che la seguono molti anni fa, quando ancora non conoscevo nulla di Jaccottet, in un volumetto acquistato a Losanna, e intitolato Chants d’en bas (titolo ben comprensibile, ma non facile da tradurre bene in italiano con tutte le sue risonanze: canti che provengono dal basso, che riguardano ciò che si trova sotto, e così via). Dopo avrei letto il resto. Ma forse, senza questo incontro sconvolgente, non avrei neppure pensato di tradurre Jaccottet.

(Fabio Pusterla)

 

 

 

L’ignorant / antologia, Philippe Jaccottet

Pubblicato: 17 settembre 2014 |

 Autore: rc |

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Plus je vieillis et plus je croîs en ignorance,
plus j’ai vécu, moins je possède et moins je règne.
Tout ce que j’ai, c’est un espace tour à tour
Enneigé ou brillant, mais jamais habité.
Où est le donateur, le guide, le gardien?
Je me tiens dans ma chambre et d’abord je me tais
(le silence entre en serviteur mettre un peu d’ordre),
et j’attends qu’un à un les mensonges s’écartent:
que reste-t-il? que reste-t-il à ce mourant
qui l’empêche si bien de mourir ? Quelle force
le fait encore parler entre ses quatre murs?
Pourrais-je le savoir, moi l’ignare et l’inquiet?
Mais j’entends vraiment qui parle, et sa parole
pénètre avec le jour, encore que bien vague :
«Comme le feu, l’amour n’établit sa clarté
que sur la faute et la beauté des bois en cendres… »

 

Philippe Jacccottet (Moudon, 1925), L’Ignorant (Gallimard, 1958; traduzione italiana: Philippe P.Jaccottet, Il Barbagianni. L’Ignorante, con un saggio di Jean Starobinski, a c. di Fabio Pusterla, Einaudi, 1992)

L’ignorante

Più invecchio e più io cresco in ignoranza,
meno possiedo e regno più ho vissuto.
Quello che ho è uno spazio volta a volta
innevato o lucente, mai abitato. E il donatore
dov’è, la guida od il guardiano? Io rimango
nella mia stanza, e taccio (entra il silenzio
come un servo che venga a riordinare),
e attendo che a una a una le menzogne
scompaiano : cosa resta? Cosa rimane a questo moribondo
che gli impedisce ancora di morire? Quale forza
lo fa ancora parlare tra i suoi muri?
Potrei saperlo, io, l’ignaro e l’inquieto? Ma la sento
parlare veramente, e ciò che dice
penetra con il giorno, anche se è vago:
«Come il fuoco, l’amore splende solo
sulla mancanza, e sopra la beltà dei boschi in cenere…»

La poesia è tratta dall’omonima raccolta, ed è subito diventata proverbiale, come se nei suoi versi l’autore, ancora giovane, riuscisse a delineare un’immagine netta di sé e della propria scrittura poetica. In effetti, nel corso della modernità europea, e in particolare francese, l’immagine del poeta era spesso stata accostata a significati illustri e veementi; e forse quella più celebre, che risale a Rimbaud, è quella del voyant (cioè il « veggente »), che sa per vie misteriose prevedere il corso degli avvenimenti e illuminare la realtà di una luce inedita e sconvolgente. La parola ignorant  fa rima, quasi ironicamente, con voyant, ma sembra indicare l’esatto opposto: il poeta registra ora lo smarrimento, la solitudine di un mondo da cui le grandi voci si sono allontanate, l’assenza delle guide, dei guardiani, l’inquietudine. E tuttavia, benché possa a prima vista sembra un paradosso, proprio dalla mancanza, dalla rovina nasce una nuova energia, quella della bellezza selvaggia e dell’amore che resiste.

(Fabio Pusterla)

 

 

 

 

Portovenere / antologia, Philippe Jaccottet

Pubblicato: 16 settembre 2014 |

Autore: rc |

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La mer est de nouveau obscure. Tu comprends,
c’est la dernière nuit.
Mais qui vais-je appelant ?
Hors l’écho, je ne parle à personne, à personne.
Où s’écroulent les rocs, la mer est noire, et tonne
dans sa cloche de pluie. Une chauve-souris
cogne aux barreaux de l’air d’un vol comme surpris,
tous ces jours sont perdus, déchirés par ses ailes
noires, la majesté de ces eaux trop fidèles
me laisse froid, puisque je ne parle toujours
ni à toi, ni à rien. Qu’ils sombrent, ces « beaux jours »!
Je pars, je continue à vieillir, peu m’importe,
sur qui s’en va la mer saura claquer la porte.

Philippe Jaccottet (Moudon, 1925), da L’Effraie (Gallimard, 1953) – Traduzione italiana: P. Jaccottet, Il Barbagianni. L’Ignorant (con un saggio di Jean Starobinski, a c. di Fabio Pusterla, Einaudi, 1992)

Portovenere

Di nuovo cupo il mare. Tu capisci,
è l’ultima notte. Ma chi chiamo ? A nessuno
parlo, all’infuori dell’eco, a nessuno.
Dove strapiomba la roccia il mare è nero, e rimbomba
in una campana di pioggia. Un pipistrello
urta come stupito sbarre d’aria,
e tutti questi giorni sono persi, lacerati
dalle sue ali nere, a questa gloria
d’acque fedeli resto indifferente,
se ancora non parlo né a te né a niente. Svaniscano
questi « bei giorni »! Parto, invecchio, che importa,
il mare dietro a chi va sbatte la porta.

Questa è, a mio avviso, una delle poesie più belle e più intense di Philippe Jaccottet ; e anche uno dei tentativi di traduzione che mi sembrano meno insoddisfacenti. La situazione è topica : l’io deve affrontare la fine di qualcosa, un abbandono, la conclusione probabilmente di una storia d’amore, e il tu che appare quasi disperatamente verso la fine è già solo un ricordo, il segno di un dialogo ormai impossibile, l’oggetto di un rimpianto senza soluzioni. Ma questa condizione esistenziale, nota a molti di noi, è potenziata dallo scenario particolare, già annunciato dal titolo : siamo in un luogo di grande e per così dire ufficiale bellezza, Portovenere, dove i grandi poeti inglesi dell’Ottocento come Byron amavano soggiornare; e questa bellezza imponente e marmorea, proprio come il mare in tempesta e la violenza degli elementi, si rendono ora per l’io ancora più insopportabili nella loro indifferenza. Rendono più netto e più vivo il dolore individuale. Tutto questo, che riguarda fin qui l’argomento e le immagini, si può ritrovare nella trama di suoni e di ritmi che attraversa la poesia, che va prima di tutto ascoltata come una musica cupa. Una curiosità conferisce infine al testo una profondità particolare : il pipistrello che si agita frenetico ha cominciato a volare circa un secolo prima, in uno degli Spleen di Charles Baudelaire, compresi nelle Fleurs du mal. E quel distico finale: che forza !

(Fabio Pusterla)

 

 

 

Les nuages se bâtissent en lignes de pierres

Pubblicato: 14 dicembre 2013 |
Autore: rc | –
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Les nuages se bâtissent en lignes de pierres
l’une sur l’autre
légère voûte ou arche grise.

Nous pouvons porter per des chose,
à peine une couronne de papier doré;
à la première épine
nous crions à l’aide et nous tremblons.

 

Philippe Jacottet (Moudon, 1925) da Alla luce dell’inverno (Marcos y Marcos, 1997)

 

Le nuvole si costruiscono in linee di pietra

Le nuvole si costruiscono in linee di pietra
l’una sull’altra
leggera volta o arco grigio.

Noi possiamo portare poco peso
appena una corona di carta dorata;
e poi alla prima spina
gridiamo aiuto e tremiamo.

 

ABBIAMO INCONTRATO QUESTO POETA POCHI GIORNI FA::

MASSIMO RAFFAELI : Il ritmo di un diario ininterrotto- Philippe Jaccottet. La scomparsa, a 95 anni, del poeta, scrittore e critico letterario — IL MANIFESTO DEL 26 FEBBRAIO 2021

 

 

 

 

Jaccottet nel 1991

 

Philippe Jaccottet è nato nel 1925 a Moudon, nella Svizzera francese, ed è morto a Grignan nel 2021. Dal 1953 ha vissuto in Francia. Ha tradotto Hölderlin, Musil, Rilke (cui ha dedicato una monografia critica) e poeti italiani, tra cui Ungaretti, Montale, Bertolucci, Sereni. Nel 1953 ha pubblicato Il barbagianni e altre poesie, cui sono seguite Poesie (1971), con prefazione di J. Starobinski, Alla luce d’inverno (1994), E tuttavia (2001). La sua attività di prosatore e saggista trova l’espressione più alta nei taccuini di Appunti per una semina (1984), seguiti da La seconda semina (1996) e dal saggio La parola Russia (2002).

 

biografia da : AVAMPOSTO POESIA. COM

DOVE TROVATE UNA SERIE DI POESIE TRADOTTE DA FABIO PUSTERLA

https://www.avampostopoesia.com/poeti/philippe-jaccottet

 

 

ALTRO BELL’ARTICOLO SUL POETA: 

Alberto Fraccacreta giovedì 25 febbraio 2021. 

Poesia. Addio a Philippe Jaccottet, poeta in ascolto della presenza e della natura

https://www.avvenire.it/agora/pagine/addio-a-philippe-jaccottet-poeta-della-natura-e-dello-spirito

 

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1 risposta a PHILIPPE JACCOTTET ( Moudon, 1925- Grignan, 2021 ) – ALCUNE POESIE- TESTO E TRADUZIONE DI FABIO PUSTERLA CHE FA ANCHE UN COMMENTO — DAL BLOG : ” I POETI SONO VIVI. COM “, che ringraziamo moltissimo- + LINK AL FONDO

  1. Donatella scrive:

    Grazie per avermi fatto conoscere questo poeta. La poesia non può essere un gran conforto nella solitudine dell’universo, ma forse è l’unica cosa che ci allontana dalla disperazione.

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