MARIO JOSÉ CEREGHINO
GIOVANNI FASANELLA
NERO DI LONDRA
NEL CENTENARIO DELLA MARCIA SU ROMA, UN’INCHIESTA DIROMPENTE PER L’UNICITÀ DOCUMENTALE E LA FORZA DELLE RIVELAZIONI SUL SOSTEGNO DELL’INTELLIGENCE E DEI CONSERVATORI DEL REGNO UNITO A BENITO MUSSOLINI
“The Project”: è questo il nome che i servizi militari britannici danno al loro piano segretissimo per il controllo totale dell’Italia a partire dall’autunno 1917, subito dopo la catastrofe di Caporetto.
L’artefice di quel progetto eversivo è il tenente colonnello Sir Samuel Hoare, il capo del Directorate of Military Intelligence (Dmi) nel nostro Paese. La sua è una missione al limite dell’impossibile: impedire che l’Italia esca dalla guerra contro gli imperi centrali e, al contempo, porre le premesse di un sistema occulto basato su gruppi di potere trasversali fedeli alla Corona dei Windsor, garantendo così gli interessi vitali dell’Impero britannico nel Mediterraneo e nel Vicino Oriente.
Con l’assenso di Londra, dunque, Sir Hoare crea l’archetipo di un movimento politico e paramilitare che sfocia ben presto nei Fasci italiani di combattimento guidati da Benito Mussolini.
È il prototipo della “strategia della tensione” come modello terroristico.
Finanziato dal Secret Service sin dall’inizio del 1918 con il nome in codice di “The Count”, il futuro duce conquista il potere nell’ottobre 1922 e instaura un regime autoritario di massa che influenzerà lo scenario internazionale nel corso del Novecento.
Grazie alle carte dell’archivio personale di Sir Samuel Hoare – declassificate nel 2001 e conservate nella biblioteca dell’Università di Cambridge, in Inghilterra –, Cereghino e Fasanella ricostruiscono in Nero di Londra una storia che, a cent’anni dalla Marcia su Roma, evidenzia per la prima volta le connessioni segrete tra Mussolini e i servizi d’intelligence di sua maestà, e le gravi responsabilità dell’establishment conservatore del Regno Unito.
IN QUESTO LINK, POTETE LEGGERE L’INTRODUZIONE E DUE CAPITOLI BREVI PIU’ L’INIZIO DEL TERZO —
RECENSIONE :
LA GAZZETTA DEL MEZZOGIORNO, 27 OTTOBRE 2022
https://www.lagazzettadelmezzogiorno.it/news/cultura-e-spettacoli/1364307/quel-sottile-filo-nero-tra-il-duce-e-gli-inglesi.html
IN LIBRERIA
Quel sottile «filo nero» tra il duce e gli inglesi
La tesi: l’«intelligence» britannica creò il fascista Mussolini
27 Ottobre 2022
Fulvio Colucci
Del rapporto tra Mussolini e gli inglesi son piene le pagine (dei libri di storia). La tradizione divide in due fasi, uguali e contrarie, i rapporti tra il leader del fascismo e l’establishment anglosassone: dalla nascita dei fasci di combattimento nel 1919 fino alla vigilia della guerra, le relazioni erano addirittura idilliache se un personaggio come Neville Chamberlain, primo ministro britannico dal 1937 al 1940, passato alla storia per la sua politica «morbida» (l’appeasement) nei confronti della Germania nazista e dell’Italia fascista, all’indomani di un viaggio a Roma nel 1924, definisce «amabile incontro» quello avuto con Mussolini. Il 1924 non è un anno qualsiasi: il 10 giugno viene rapito e ucciso a Roma il deputato socialista Giacomo Matteotti. Il suo assassinio farà vacillare il nascente regime, finendo, causa gli errori delle opposizioni, per rafforzarlo.
Poi scoppia il secondo conflitto mondiale, l’Italia è alleata della Germania e un altro 10 giugno, del 1940, dichiara guerra alla Gran Bretagna e alla Francia. Mussolini diventa l’arcinemico dell’impero britannico perché, non meno di Hitler, rappresenta il male assoluto. E però anche in questo secondo tempo della partita Mussolini-Inghilterra si tende silente, sotterraneo, quel «sottile filo nero» che nemmeno con la morte del duce si sarebbe spezzato, anzi.
Un «filo» che, come in un labirinto squassato dal conflitto, dai suoi odi e dai suoi lutti, conduceva dritto al famoso, fantomatico e mai troppo citato «carteggio» tra Benito Mussolini e il primo ministro britannico Winston Churchill, l’uomo che, nell’ora più buia, guidò l’impero britannico, prima nella resistenza solitaria contro i nazifascisti, poi fino alla vittoria della Seconda guerra mondiale nel 1945 (insieme ad americani e russi). Quelle lettere sono realmente esistite? Finirono in mano inglese quando i partigiani arrestarono Mussolini? Il duce tentò di utilizzarle (come il genero Galeazzo Ciano tentò di utilizzare i suoi Diari con i tedeschi per evitare la fucilazione), negoziando la salvezza con gli alleati?
Di una cosa siamo certi: il 20 gennaio del 1927, durante un discorso tenuto di fronte alla stampa italiana a Roma, Churchill, presente Mussolini, dichiarò: «Non posso fare a meno di essere affascinato, come è accaduto a tanta altra gente, dalle semplici e naturali maniere di Mussolini». E ancora: «Se fossi un italiano, sono sicuro che sarei stato con voi (Mussolini) con tutto il mio cuore, dall’inizio alla fine della trionfante lotta contro gli appetiti bestiali e le passioni del leninismo». Cos’altro aggiungere?
Che questi passaggi e, complessivamente, una profonda analisi dei rapporti tra Mussolini e gli inglesi, con documenti rilevanti, ce la offrono il saggista ed esperto di archivi anglosassoni Mario Josè Cereghino e il giornalista e scrittore Giovanni Fasanella, nel recente Nero di Londra (Chiarelettere, pp. 256, euro 18).
Il sottotitolo è eloquentissimo. Recita così: «Da Caporetto alla marcia su Roma: come l’intelligence militare britannica creò il fascista mussolini». Non è Churchill il personaggio principale del libro, ma Samuel Hoare politico inglese che ricoprì cariche importanti come quella di ministro degli Esteri. Prima di far carriera politica, Hoare, da militare, tenente colonnello, capo dell’«intelligence» militare britannico in Italia, durante la Prima guerra mondiale, dopo il disastro di Caporetto nel 1917, incontrò Mussolini gettando le basi, come sostengono i due autori, per la nascita di un movimento politico paramilitare, il fascismo appunto, che intercettasse lo scontento, soprattutto dei reduci di guerra, diventando braccio armato della reazione borghese. L’obiettivo di Hoare, cioè degli inglesi, era chiaro: evitare che il bolscevismo – ricordiamo le parole di Churchill – dilagasse nel Mediterraneo, all’epoca «lago» britannico.
Gli autori parlano di un progetto, «The Project», nome in codice del segretissimo piano per destabilizzare l’Italia al fine di stabilizzarla, garantendo gli interessi inglesi. «The Count» è il nome in codice, sulla base della carte in possesso di Cereghino e Fasanella, con il quale i servizi britannici definivano Mussolini nell’operazione di finanziamento dell’attività politica.
I due autori dipanano quel «filo nero» con una ricostruzione rigorosa e ferrea. Fa riflettere il passaggio nel quale evidenziano come ciò sia stato possibile perché nel Regno Unito gli studiosi possono accedere, ogni anno, a nuovi documenti mentre «duole ammettere che è un privilegio di cui gli studiosi non godono ancora in Italia».
Mussolini rappresenta anche per gli inglesi un elemento col quale fare i conti psicanaliticamente, freudianamente, facendo appello alla (cattiva coscienza). Molto interessante è la rievocazione del pamphlet The Trial of Mussolini, Il processo a Mussolini, scritto nel 1943, all’indomani della caduta del regime, dal sulfureo giornalista Michael Foot. Un libello nel quale si addensano – a mo’ di testimonianze- tutte le «dolcissime» parole proferite dai politici inglesi nei confronti del capo del fascismo. E soprattutto un testo dove – al di là delle similitudini con la più recente «strategia della tensione» che secondo gli autori affonderebbe le sue radici nell’operazione dei britannici di sostegno al fascismo – viene luminosamente espressa (dagli inglesi) la teoria dell’eterno fascismo: «L’Italia ha dimostrato che vi è un modo di combattere le forze sovversive, un modo in grado di convocare le masse del popolo, opportunamente guidate, ad apprezzare e desiderare di difendere l’onore e la stabilità della società civile. L’Italia ha fornito l’antidoto necessario al veleno russo e, di qui in avanti, nessuna grande nazione sarà sprovvista di un mezzo fondamentale di protezione contro il crescente cancro del bolscevismo». Parole (tremende) e sempre attuali.
Sì, proprio: parole tremende e sempre attuali.