L’occasione di rileggere con occhi nuovi il documento fondativo del nostro vivere civile, nonché di riflettere su quale sia la strada da imboccare per costruire una società più giusta.
Il 1° gennaio 1948 l’entrata in vigore della Costituzione inaugura per l’Italia l’inizio di una nuova era, ponendo le basi di quella che, nell’articolo 1, viene definita per la prima volta una «Repubblica democratica». Nella definizione dei 139 articoli che la compongono, i padri e le madri costituenti si sono posti l’obiettivo di ridefinire il DNA del nostro Paese dopo l’esperienza del fascismo, della seconda guerra mondiale e della Resistenza. Eppure, se è vero che il testo della Costituzione riconosce nella realizzazione della pari dignità universale e nella tutela dei diritti i propri obiettivi, è altrettanto evidente quanto spesso i suoi principi non trovino applicazione nella vita di tutti i giorni. Rilevando la distanza tra teoria e prassi, Gherardo Colombo riscrive in modo provocatorio alcuni dei principali articoli del nostro statuto, ne smaschera le mancate promesse, ne illumina i punti ciechi. E offre così l’occasione di rileggere con occhi nuovi il documento fondativo del nostro vivere civile, nonché di riflettere su quale sia la strada da imboccare per costruire una società più giusta.
Citazione tratta dal libro “Anticostituzione” di Gherardo Colombo
ARTICOLO 1
L’Italia è una Repubblica democratica
a tendenza monarchico-feudale,
fondata sul lavoro e sulla rendita.
La sovranità appartiene al popolo che
tende a evitare di esercitarla
per non esser chiamato a risponderne.
Magistrato attualmente fuori servizio, è noto per aver condotto, o contribuito a condurre, inchieste importanti sul crimine organizzato, la corruzione, il terrorismo e la mafia, tra cui la scoperta della Loggia P2 e Mani Pulite. Oggi è vicepresidente della casa editrice Garzanti. Ha pubblicato diversi libri nei quali mette la sua esperienza di magistrato al servizio di una divulgazione attenta e scrupolosa dei concetti di democrazia, giustizia e cittadinanza. Fra i più noti, ricordiamo Sulle regole (Feltrinelli 2008), Il vizio della memoria (Feltrinelli, 1998), Sei stato tu? La costituzione attraverso le domande dei bambini (Salani, 2009), Il legno storto della giustizia (Garzanti 2017, con Gustavo Zagrebelsky) e Il perdono responsabile. Perché il carcere non serve a nulla (Ponte alle Grazie, 2011). Democrazia (2011) inaugura la collana di Bollati Boringhieri I sampietrini. È coautore con Licia di Blasi e Anna Sarfatti di Sono stato io! (Salani, 2016). Nel 2021 ha scritto con Liliana Segre La sola colpa di essere nati (Garzanti).
Gherardo Colombo ha combattuto l’Italia delle trame e della corruzione. Oggi presiede la casa editrice Garzanti e vanta un’amicizia con Liliana Segre. A Riflessi spiega perché siamo un paese che fatica a conservare la memoria, e perché è così difficile essere liberi
Dottor Colombo, vorrei iniziare questa intervista da una frase e da un libro. La frase è quella pronunciata dal Procuratore nazionale antimafia, Melillo, in occasione della cattura del latitante mafioso Matteo Messina Danaro: “una democrazia non deve avere paura della propria storia”; il libro è quello, tra pochi giorni in libreria, con cui lei commenta e “traduce” alcuni articoli della nostra Costituzione (“Anticostituzione. Come abbiamo riscritto (in peggio) i principi della nostra società”, Garzanti). La prima domanda dunque è questa:l’Italia secondo lei è una democrazia matura?
Come sa, l’art. 1, della Costituzione recita: “L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione”. Nel libro che lei ha avuto la cortesia di ricordare, ho confrontato questo articolo con quel che avviene nel nostro paese e con la nostra storia; il risultato è che a me è venuto da riscriverlo così: “L’Italia è una Repubblica democratica, a tendenza monarchico-feudale; fondata sul lavoro e sulla rendita. La sovranità appartiene al popolo, che tende a evitare di esercitarla per non essere chiamato a risponderne”. Ecco, mi sembra proprio che sì, siamo un po’ indietro rispetto a quello che avevano previsto i Padri costituenti.
Nei suoi anni trascorsi in magistratura, a suo giudizio quanto contano i cosiddetti “poteri occulti” nella storia italiana?
Al di là delle singole associazioni e dei casi concreti, parlerei “dell’occulto”. Credo, cioè, che nel nostro paese siano da sempre presenti queste relazioni, queste forme di associazionismo segreto, questa pratica del mettersi insieme di nascosto, magari senza organizzarsi attraverso regole dedicate. Ci si mette insieme in questo modo per tanti motivi, spesso per fare qualche cosa che non potrebbe essere fatta palesemente. È emerso per esempio che un magistrato, eletto in passato al CSM, fosse il crocevia di una serie di accordi conclusi fuori dalle sedi istituzionali per le nomine di maggior peso ai vertici degli organi giudiziari: di cose se ne facevano, però senza farle apparire. Nelle indagini sulla corruzione abbiamo scoperto che quasi tutte le grandi imprese avevano fondi occulti, per fare evidentemente cose occultamente; precedentemente, negli anni ottanta, mi sono occupato dei fondi occulti di due società del gruppo IRI (per un totale di 360 miliardi di lire)… Poi magari di nascosto si fanno anche delle cose lecite (comunque per non far sapere che si fanno), tuttavia ritengo che in molti casi l’occulto serve a coprire azioni illecite che si fanno attraverso delle trame sotterranee, che passano per una specie di consociativismo, anche attraverso deviazioni delle istituzioni. Vediamo ad esempio la P2. Dentro questa organizzazione segreta c’erano i vertici dei servizi di sicurezza, c’erano quasi tutti coloro che hanno depistato le indagini sulle stragi; Licio Gelli possedeva il fascicolo personale che i servizi avevano prodotto sul suo conto, conosceva tutti i dettagli possibili che i servizi avevano su di lui.
Solo poche settimane fa abbiamo sentito la premier dichiarare che il Movimento sociale italiano ha contribuito a costruire la democrazia in questo paese. Posso chiederle la sua idea al riguardo?
Secondo me scontiamo un problema culturale. Voglio dire che in Italia c’è una cultura particolarmente diffusa che in qualche misura coinvolge la cittadinanza nel suo complesso. Se si guarda a quel che accade nel 1946, quando gli italiani scelgono la Repubblica, si vede che questa scelta prevalse di un soffio. In larghe parti d’Italia si votò per il mantenimento della monarchia; e questo nonostante il fascismo, nonostante la guerra, nonostante le leggi razziali, nonostante che il re avesse abbandonato Roma dopo l’armistizio.
Che indicazione possiamo trarne?
Io credo che a molti italiani la responsabilità non piaccia. E allora, se c’è qualcuno che è responsabile al posto nostro, siamo molto contenti. Noi la democrazia facciamo fatica a digerirla, perché la democrazia comporta necessariamente l’assunzione di responsabilità. Se ricorda quel capitoletto dei “Fratelli Karamazov” dedicato al Grande inquisitore, direi che lì c’è la chiave di lettura: è questa paura, questa sofferenza della scelta. Oggi ci sono tanti ragazzi che nel corso dell’adolescenza, un tempo in cui ancora non si rendono conto di quanto alla fine costi la libertà, entrano in crisi, perché sono disorientati dalla scoperta dell’ “Aut-Aut”. La democrazia presuppone la libertà, e la libertà significa scegliere. E la scelta comporta anche rinuncia. O di qua, o di là. E allora questa necessità di scegliere produce sofferenza, anche perché ci piacerebbe tanto essere onnipotenti. E, per tornare alla sua domanda, a me proprio non pare che il Movimento sociale fosse per riconoscere la libertà di tutti. Insomma, credo che remasse contro (così come, peraltro, hanno remato contro coloro che, dall’altra parte, negavano rappresentanza a chi non la pensava come loro).
Gherardo Colombo (al centro), con Antonio Di Pietro (a sinsitra) e Fracesco Saverio Borrelli) a destra) negli anni di “Mani pulite”
Perché si è dimesso dalla magistratura? La considera la sconfitta di chi tentava di applicare la Costituzione?
Mi sono dimesso nel febbraio del 2007, sono ormai quasi sedici anni. Non è stata una resa. Piuttosto, è stato l’effetto dell’accorgersi che lo strumento che stavo usando, proprio per l’attuazione della Costituzione, non era idoneo ad ottenere il risultato. Naturalmente la Costituzione si realizza nei limiti del possibile, perché noi siamo molto imperfetti e quindi al modello di società disegnato dalla Costituzione si può arrivare solo vicino. Ma, a parte questo, ho capito che la democrazia costituzionale si realizza soltanto se si modifica profondamente la cultura, e che la cultura non si può modificare tanto attraverso l’imposizione. Bene o male, io facevo proprio questo, perché il giudice comunque si colloca nell’area della repressione; il giudice penale ha il compito di garantire che la repressione sia esercitata in modo corretto, seguendo la legge sostanziale e quella processuale.
Oggi lei è presidente della casa editrice Garzanti; si è portato dietro qualcosa del proprio bagaglio di magistrato?
Colombo e Pier Camillo Davigo, ai tempi di Mani pulite (anni 90)
Credo di sì. Io sono molto curioso e cerco sempre di soddisfare la mia curiosità. Da giovane, prima di iscrivermi a giurisprudenza, c’era una parte di me attratta dalla fisica. Anche lì lo scopo è scoprire, ci si interroga sul perché delle cose. Direi perciò che dalla magistratura mi sono portato dietro questa curiosità. Certo, il presidente di una casa editrice ha un ruolo soprattutto di rappresentanza, mentre al direttore editoriale spettano le scelte su quello che si pubblica, però nel mio ruolo mi occupo anche di alcuni altri aspetti. Sa, una casa editrice è un animale molto complesso, che ha tante sfaccettature, e questa è una cosa che a me piace molto.
Una casa editrice può aiutare a custodire la memoria?
Caspita, altro che. Garzanti ha un catalogo molto ampio, che risale nel tempo. Io credo che il libro sia uno strumento essenziale per fare memoria, e secondo me la memoria è a sua volta essenziale per poter essere consapevoli del presente. Se non sappiamo da dove veniamo, è molto difficile orientarci. Senza memoria assomigliamo allo smemorato di Collegno, la figura di chi, avendo perso la memoria, quasi non esiste più, perché non può avere relazioni che non si esauriscano in un attimo. Naturalmente, la memoria non si costruisce solo con i saggi o i libri storici. Anche in un racconto c’è sempre comunque qualche pezzo di memoria, perché nella narrativa si presuppongono o ci si riferisce comunque ad esperienze vissute o apprese. Prima ho citato il Grande inquisitore: nei “Fratelli Karamazov” è affascinante vedere le scelte che fa Dostoevskij, per esempio come riesce a fare in modo che sia impossibile, nel processo, individuare l’autore dell’omicidio del padre. La lettura del romanzo stimola ad immaginare il disappunto dell’inquirente, o dello storico, che non riescono a ricostruire i fatti oggetto delle loro attenzioni.
Ma in che modo possiamo oggi tutelare la conoscenza della storia e del passato, in un modo sempre più liquido e frammentato?
Se vogliamo fare una riflessione molto generale sui tempi che stiamo vivendo, a volte mi sembra che stiamo andando verso la fine dell’Illuminismo, cioè verso la fine dell’età in cui si dà rilievo ai diritti della persona. Mi sembra che ci siano tanti indizi che portano verso una considerazione del genere: siamo nel mezzo di una rivoluzione di portata secondo me ben maggiore di quella industriale. Mi riferisco alle innovazioni tecnologiche, a Internet, alla conseguente velocizzazione e alla sovrapposizione delle sensazioni e dei rapporti, una novità veramente immensa. Quindi siamo necessariamente un po’ confusi, ci stiamo trasformando in una società in cui c’è sempre meno tempo per qualsiasi cosa, soprattutto per la riflessione. Questo rende molto problematico guardarsi indietro, e rende più problematico accorgersi degli altri. Se non ci si riconosce, progressivamente si negano i diritti, anche quelli fondamentali.
Come si può reagire?
Secondo me sarebbe necessario che la scuola si impegnasse molto sull’argomento. Per esempio, ci sarebbe da invertire il punto di partenza. Mi spiego: invece che cominciare dalla preistoria per andare in avanti, rischiando di non giungere mai al nostro tempo, si dovrebbe partire dall’oggi, e poi procedere all’indietro. Se si vuole comprendere come siamo oggi è necessario sapere come eravamo ieri, e per capire come eravamo ieri sapere dell’altro ieri, e così via fino – se c’è tempo – ai Sumeri, e non il contrario. Le cosiddette materie umanistiche – storia, letteratura, arte e filosofia – dovrebbero mantenere la contestualità dei periodi storici, in modo che i ragazzi possano comprendere i modi di stare insieme che si sono succeduti nel tempo. Infine, e soprattutto, bisognerebbe riuscire ad affascinare i ragazzi, e ciò si verifica molto raramente. Bisognerebbe che i ragazzi fossero riconosciuti per davvero.
E come si fa? NOTA UNO IN FONDO SU ” LO STATO PARALLELO “, IO PUNTATE
Bisognerebbe far loro sentire di essere ascoltati; vuol dire anche mettersi nei loro panni. Oggi a me pare che la scuola faccia grandissima fatica a svolgere il suo compito, perché si sta indirizzando sempre di più verso la preparazione professionale piuttosto che verso la preparazione dell’uomo. La scuola dovrebbe aiutare a diventare capaci di gestire la propria libertà. Se non siamo capaci di essere liberi, ci illudiamo di scegliere quel che vogliamo ma andiamo sostanzialmente a caso (quante volte ognuno di noi si è detto “se l’avessi saputo non avrei fatto così!”).
Il calendario delle festività civiche – tra cui anche il 27 gennaio – a suo avviso è un modo utile per salvaguardare la conoscenza del passato?
Se vogliamo che le giornate siano significative ce ne devono essere poche, perché altrimenti diventano una routine, una specie di scadenziario. Inoltre, non è sufficiente avere un Giorno della memoria se poi non gli diamo un seguito. Ad esempio, mi chiedo perché in Italia ancora non ci sia un museo della Shoah. Un museo della Shoah dovrebbe servire a riconoscere la nostra storia; magari a vederla per davvero per come è stata. Se noi pensiamo al periodo più buio della storia italiana, quello che va dalle leggi fascistissime del 1926 al 1943, e oltre fino al 1945, beh ci accorgiamo che tante persone, compromesse con quel periodo, poi sono rimaste sostanzialmente ai loro posti. Quando è scoppiata la bomba in piazza Fontana, il 12 dicembre 1969, il questore di Milano (Marcello Guida, n.d.a.) era lo stesso che durante il fascismo era stato direttore del carcere di Ventotene. Questa continuità era forte, al punto che alla fin fine non stupiva. Io sono nato quando gli italiani hanno deciso di vivere in una Repubblica, nel 1946; le dirò che alle elementari, primi anni cinquanta, la scuola era ancora a mio parere fascista, con le marcette e le canzoni e gli inni riferiti alla prima guerra mondiale, con l’esaltazione della Roma Imperiale, come se i disastri del fascismo non si fossero mai verificati. Quindi bisognerebbe essere consapevoli del nostro passato, altrimenti il Giorno della memoria serve a poco, se non a lavarsi la coscienza, senza sapere però che si ha la coscienza sporca.
Come è nato il rapporto con Liliana Segre?
Nell’ottobre 2019 fui invitato all’inaugurazione della risistemazione del Giardino dei giusti a Milano. Al termine della cerimonia vidi Liliana, e così provai ad avvicinarmi e a salutarla. Poi ci siamo visti un’altra volta, quando 600 sindaci fecero a Milano una manifestazione per esprimerle solidarietà. A me sarebbe piaciuto molto storicizzare le leggi razziali e la persecuzione degli ebrei, per far comprendere davvero il rapporto tra le leggi e gli effetti che hanno prodotto. Ho contattato Liliana, le ho chiesto la disponibilità a scrivere un libro insieme, ha detto di sì e il progetto si è realizzato (La sola colpa di essere nati, Garzanti, 2021, n.d.a.). Il suo racconto ci fa vedere non solo la vita (se così si può dire) nel campo di concentramento, ma anche il progressivo avvicinarsi allo sterminio proprio per via dell’emanazione delle leggi (e della disponibilità di tanti cittadini ad applicarle). Non basta parlarne in astratto, occorre farle vedere nel loro quotidiano, collegare gli articoli delle leggi con la vita delle persone.
Cosa ha pensato quando dal testo è stata ricavata una traccia per le prove di maturità del 2022?
Beh, io sono stato molto contento che venisse preso questo brano di Liliana, perché secondo me, come dicevo, è assolutamente essenziale che se ne parli. Ne sono stato contentissimo perché è un libro a cui tengo moltissimo, anche perché la sua scrittura ha consentito che Liliana, una donna veramente eccezionale, ed io diventassimo amici.
Consigliere della Corte costituzionale, scrittore. Consigliere CER dal 2019. Eletto al Consiglio UCEI per Menorah. Componente della delegazione italiana presso IHRA
NOTA : LO STATO PARALLELO – 10 EPISODI
Ne “Lo Stato Parallelo” – un podcast in 10 episodi rilasciato da RaiPlay Sound e prodotto da Frame-Festival della Comunicazione – Gherardo Colombo, protagonista di quegli anni di inchieste, ripercorre la storia di un oscuro puzzle politico, editoriale, finanziario e geopolitico e delle difficili indagini che di fatto scoperchiarono il “vaso di Pandora” di anni di misteri italiani.
Sentendo parlare Gherardo Colombo viene voglia di conoscere di più la storia recente dell’Italia, quella storia che anche noi abbiamo attraversato, a volte indignati, sovente inconsapevoli,
Sentendo parlare Gherardo Colombo viene voglia di conoscere di più la storia recente dell’Italia, quella storia che anche noi abbiamo attraversato, a volte indignati, sovente inconsapevoli,