LIRIO ABBATE, Dal delitto Mattarella alla strage di Bologna: la trama oscura che lega mafia e terrorismo nero– REPUBBLICA — 25 MAGGIO 2023

 

 

REPUBBLICA — 25 MAGGIO 2023
https://www.repubblica.it/cronaca/2023/05/25/news/dal_delitto_
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Dal delitto Mattarella alla strage di Bologna: la trama oscura che lega mafia e terrorismo nero

 

Sergio Mattarella prende tra le braccia il corpo del fratello Piersanti, appena dopo l'attentato in cui perse la vita (Foto di Letizia Battaglia)Sergio Mattarella prende tra le braccia il corpo del fratello Piersanti, appena dopo l’attentato in cui perse la vita (Foto di Letizia Battaglia)

 

Dietro alcuni attentati e delitti eccellenti si nasconde una regia ancora occulta

C’è una convergenza di interessi tra mafiosi ed estremisti di destra su alcuni delitti eccellenti e stragi, manovrata da una regia ancora occulta che mette in collegamento Cosa Nostra, ‘Ndrangheta e terroristi neri. Storie macchiate dal sangue di vittime innocenti su cui si attende ancora una verità, non solo giudiziaria ma anche politica.

Il tema centrale, come scrivono i giudici della Corte d’assise di Bologna nell’ultima sentenza sulla strage del 2 agosto, “è il collegamento tra Cosa Nostra, l’eversione terroristica di destra e i collegamenti con il gruppo di potere coagulatosi intorno alla P2 e a Licio Gelli“.

Ci sono una serie di legami che dimostrano che tra i “neri” dei Nuclei armati rivoluzionari, di cui faceva parte anche Massimo Carminati, e Cosa Nostra, vi fossero scambi operativi, “mediati da altri soggetti”. Le inchieste giudiziarie documentano come in diverse vicende i boss calabresi sono andati a braccetto con i neri. E comprendere lo sviluppo di questo intreccio è compito pure della Commissione parlamentare antimafia.

 

Lo scorso aprile sono state rese pubbliche le motivazioni della sentenza della Corte d’assise di Bologna, da cui si legge che è stato un attentato, quello del 2 agosto 1980 alla stazione, eseguito da neofascisti.

I giudici mettono in collegamento la strage con l’omicidio a Palermo del presidente della RegionePiersanti Mattarella, fratello del Capo dello Stato.

Per quel delitto sono stati assolti i neri Fioravanti Cavallini. Nel processo di Bologna sono stati recuperati elementi che hanno indotto i giudici a ritenere che “l’eliminazione di Mattarella dopo quella di Aldo Moro, al quale si apprestava a succedere, secondo ragionevoli interpretazioni della fase storica, era indispensabile per eliminare un irriducibile ostacolo ai piani della P2 e al contempo a quelli di Cosa nostra, convergenti sull’obiettivo data l’azione che Mattarella aveva avviato in Sicilia per sottrarre il suo partito all’alleanza con la mafia”.

 

 

Pierluigi Concutelli, 1977
Pierluigi Concutelli (Roma3 giugno 1944 – Roma15 marzo 2023) è stato un terrorista italiano, militante neofascista attivo durante gli anni di piombo.
https://it.wikipedia.org/wiki/Pierluigi_Concutelli

 

 

I sicari di Mattarella non hanno ancora un nome, ma sono stati condannati come mandanti i componenti della cupola. I neri rivendicarono il delitto: “Qui Nuclei Fascisti Rivoluzionari, rivendichiamo l’uccisione dell’onorevole Mattarella in onore ai caduti di Acca Larentia” ( Nota 1 ). Seguita da comunicati di rivendicazione di Br e Prima linea ritenuti depistanti, quasi a correggere quella prima incauta rivendicazione.

 

L’assoluzione in primo grado nel 1995 scaturisce dalle dichiarazioni di Buscetta Marino Mannoia, i quali assicuravano che i killer erano uomini di Cosa Nostra, senza tuttavia saperli identificare. Fioravanti e Cavallini erano stati processati in base alle accuse rivolte da Cristiano Fioravanti, fratello di Valerio, che li indicava come autori dell’agguato; la testimonianza della moglie di Piersanti Mattarellache vide in faccia il killer e ne descrisse l’andatura ballonzolante di Fioravanti; e infine la presenza di Valerio Fioravanti a Palermo nei giorni in cui Mattarella fu ucciso.

 

 

Su questo delitto la procura della Repubblica di Palermo sta ancora indagando. E poi c’è lo stesso modello di pistola che uccide Mattarella e il giudice Mario Amato, organizzato e portato a termine dai terroristi dei Nar. In questo caso spara Gilberto Cavallini. La perizia sulla pistola risulta “coincidente” con quella utilizzata per uccidere Mattarella. Ci sono “punti di collimazione” e poi la Colt utilizzata dai “neri” per uccidere Amato aveva “un difetto di funzionamento”, come quella che i testimoni oculari hanno detto per l’arma utilizzata nell’agguato al presidente della regione siciliana. Gli specialisti del Racis ( Raggruppamento carabinieri investigazioni scientifiche ) sono riusciti a comparare i proiettili dell’omicidio Mattarella con la Cobra usata dai Nar a Roma. Il risultato è “coincidente”: significa che c’è una probabilità molto alta che l’arma sia la stessa.

 

 

Sulla saldatura tra mafia e Nar indagava pure Giovanni Falcone, lui non era il solo a credere nella pista “fascio-mafiosa”. La commissione antimafia presieduta da Bindi ha tolto il segreto alla relazione sul delitto Mattarella del 1989 firmata Loris D’Ambrosio, allora in servizio all’Alto commissariato, in cui spiega che “l’inesistenza di piste mafiose per gli autori materiali non implica, sia ben chiaro, l’esclusione della matrice mafiosa dell’omicidio”.

Per D’Ambrosio non era solo mafia. Mattarella viene ucciso come “nemico dell’anti-Stato”. E proprio la scelta di affidare l’esecuzione a terroristi neri permette ai capi di Cosa Nostra di “disorientare l’opinione pubblica e l’apparato investigativo” e dimostrare “alla stessa organizzazione quanto devastante ed estesa sia la capacità di espansione e controllo che l’anti-Stato è in grado di esercitare”. Una storia fascio-mafiosa che è materia per un’attenta inchiesta di una commissione parlamentare. Magari quella dell’Antimafia.

 

 

 

NOTA 1 —

STRAGE DI ACCA LARENZIA

DA :

https://it.wikipedia.org/wiki/Strage_di_Acca_Larenzia

 

sul luogo dell’attentato: si riconoscono Giorgio Almirante,
Pino Romualdi e Domenico Gramazio

 

 

Strage di Acca Larenzia è la denominazione giornalistica del pluriomicidio a sfondo politico avvenuto a Roma il 7 gennaio 1978 nel quale furono uccisi due giovani attivisti del Fronte della Gioventù, Franco Bigonzetti e Francesco Ciavatta, assassinati davanti alla sede del Movimento Sociale Italiano in via Acca Larenzia, nel quartiere Tuscolano. A tali fatti è strettamente legata la morte di un terzo attivista della destra sociale, Stefano Recchioni, ucciso qualche ora dopo negli scontri con le forze dell’ordine avvenuti durante una manifestazione di protesta organizzata sul luogo stesso dell’agguato.

 

Verso le 18:20 del 7 gennaio 1978 cinque giovani militanti missini, che si apprestavano a uscire dalla sede del Movimento Sociale Italiano in via Acca Larenzia per pubblicizzare con un volantinaggio un concerto del gruppo di musica alternativa di destra Amici del Vento, furono investiti dai colpi di diverse armi automatiche sparati da un gruppo di fuoco formato da cinque o sei persone. Uno dei militanti, Franco Bigonzetti, ventenne iscritto al primo anno della facoltà di medicina e chirurgia, rimase ucciso sul colpo.

Il meccanico Vincenzo Segneri, ferito a un braccio, rientrò nella sede del partito e, assieme agli altri due militanti rimasti illesi – Maurizio Lupini, responsabile dei comitati di quartiere, e lo studente Giuseppe D’Audino – riuscì a chiudere dietro di sé la porta blindata, sfuggendo in questo modo all’agguato.

 

La sede del MSI in via Acca Larenzia dopo l’agguato

Lo studente diciottenne Francesco Ciavatta, pur ferito, tentò di fuggire lungo la scalinata situata a lato dell’ingresso della sezione ma, inseguito dagli aggressori, fu colpito nuovamente alla schiena; morì in ambulanza durante il trasporto in ospedale.

Nelle ore seguenti, col diffondersi della notizia dell’agguato tra i militanti missini, una folla sgomenta di attivisti organizzò un sit-in di protesta sul luogo della tragedia. Qui, forse per il gesto distratto di un giornalista che avrebbe gettato un mozzicone di sigaretta nel sangue rappreso sul terreno di una delle vittime, nacquero tafferugli e scontri che, fra l’altro, danneggiarono le apparecchiature video dei giornalisti Rai e provocarono l’intervento delle forze dell’ordine, con cariche e lancio di lacrimogeni. Uno di questi colpì anche l’allora segretario nazionale del Fronte della GioventùGianfranco Fini.

Secondo alcune testimonianze, smentite molti anni dopo da perizie balistiche, i Carabinieri spararono alcuni colpi in aria mentre il capitano Eduardo Sivori sparò mirando ad altezza d’uomo, ma la sua arma s’inceppò; l’ufficiale si fece quindi consegnare la pistola dal suo attendente e sparò di nuovo, questa volta centrando in piena fronte il diciannovenne Stefano Recchioni, militante della sezione di Colle Oppio e chitarrista del gruppo di musica alternativa Janus.

Questa versione si rivelò completamente priva di fondamento tanto che diversi anni dopo l’ufficiale fu assolto per non aver commesso il fatto. Il giovane sarebbe morto dopo due giorni di agonia.

Inizialmente i compagni di partito delle vittime tentarono di raccogliere le firme per denunciare l’ufficiale ma i dirigenti del MSI rifiutarono di testimoniare per non pregiudicare i loro buoni rapporti d’immagine con le forze dell’ordine.

L’ufficiale venne indagato in seguito a una denuncia presentata individualmente in questura da Francesca Mambro.

Alcuni mesi dopo, il padre di Francesco Ciavatta, portiere di uno stabile in via Deruta 19, si uccise per la disperazione bevendo una bottiglia di acido muriatico.

Anni dopo Francesco Cossiga, all’epoca dei fatti Ministro dell’interno, avrebbe rivelato che l’allora capitano (poi arrivato al grado di generale), dopo aver sparato, sarebbe caduto in stato confusionale e avrebbe temuto ritorsioni per la sua famiglia. In seguito Sivori in base a una perizia balistica fu definitivamente scagionato con sentenza di proscioglimento definitivo nel febbraio del 1983. In un’occasione l’ufficiale sostenne che il colpo che uccise Recchioni fosse stato sparato da brigatisti lì presenti.

Il raid fu rivendicato alcuni giorni dopo tramite una cassetta audio, fatta ritrovare accanto a una pompa di benzina, in cui la voce contraffatta di un giovane, a nome dei Nuclei Armati per il Contropotere Territoriale, leggeva il seguente comunicato:

« Un nucleo armato, dopo un’accurata opera di controinformazione e controllo alla fogna di via Acca Larenzia, ha colpito i topi neri nell’esatto momento in cui questi stavano uscendo per compiere l’ennesima azione squadristica. Non si illudano i camerati, la lista è ancora lunga. Da troppo tempo lo squadrismo insanguina le strade d’Italia coperto dalla magistratura e dai partiti dell’accordo a sei. Questa connivenza garantisce i fascisti dalle carceri borghesi, ma non dalla giustizia proletaria, che non darà mai tregua. Abbiamo colpito duro e non certo a caso, le carogne nere sono picchiatori ben conosciuti e addestrati all’uso delle armi.»

(Rivendicazione della strage di Acca Larenzia a nome dei “Nuclei Armati di Contropotere territoriale”)

 

Le indaginiapri qui

 

Franco Bigonzetti, Francesco Ciavatta e Stefano Recchioni

 

Le conseguenze– apri qui

 

Secondo lo storico Giorgio Galli sarebbe addirittura legittimo il dubbio che l’agguato sia stato “commissionato” da elementi esterni al terrorismo politico, proprio con la finalità di elevare il livello dello scontro ideologico di piazza.

Per molti militanti neofascisti, comunque, le cose cambieranno totalmente dopo quel 7 gennaio 1978: molti di loro, proprio dopo gli avvenimenti di quel giorno, decisero infatti di intraprendere il percorso della lotta armata. Come racconta, ad esempio, Francesca Mambro, militante missina in quegli anni, e futura terrorista dei Nuclei Armati Rivoluzionari, giunta sul posto del doppio omicidio per partecipare al sit-in di protesta:

«Eravamo pochi, ci conoscevamo più o meno tutti. Con Francesco Ciavatta, poi, avevamo militato insieme nel circolo di via Noto. La reazione immediata, mia e di tanti, fu la paralisi, come quando ti muore un parente. Ci guardavamo in faccia senza capire e senza sapere che fare, mentre dalle varie sezioni della città affluivano gli altri. Il Movimento sociale italiano non ebbe alcuna reazione nei confronti dei carabinieri, probabilmente per difendere interessi e posizioni che non avevano nulla a che fare con la nostra militanza. Noi ragazzini venivamo usati per il servizio d’ordine ai comizi di Almirante, quando serviva gente pronta a prendere botte e a ridarle, ma in quell’occasione dimostrarono che se per difenderci bisognava prendere posizioni scomode, come denunciare i carabinieri e il loro comportamento, allora non valeva la pena. Per la prima volta i fascisti si ribellarono alle forze dell’ordine. Acca Larenzia segnò la rottura definitiva di molti di noi con il Msi. Quell’atteggiamento tiepido e imbarazzato nei confronti di chi aveva ucciso Stefano (Recchioni, ndr) significava che erano disposti a sacrificarci pur di non mettersi contro le forze dell’ordine. Non poteva più essere casa nostra. Per la prima volta e per tre giorni i fascisti spareranno contro la polizia. E questo segnò un punto di non ritorno. Anche in seguito, per noi che non eravamo assolutamente quelli che volevano cambiare il Palazzo, rapinare le armi ai poliziotti o ai carabinieri avrà un grande significato. Che lo facessero altre organizzazioni era normale, il fatto che lo facessero i fascisti cambiava le cose di molto, perché i fascisti fino ad allora erano considerati il braccio armato del potere.»

Mambro: lì decisi di cominciare con la lotta armata, 8 gennaio 2008 – Il Corriere della Sera

 

La memoria– apri qui 

 

Nel primo anniversario del 10 gennaio 1979, l’agente di polizia in borghese Alessio Speranza uccise il diciassettenne Alberto Giaquinto, che era presente insieme con l’amico Massimo Morsello durante gli scontri con le forze dell’ordine nel quartiere Centocelle a Roma. ( SEGUE NEL LINK SOPRA )

 

 

IL FATTO QUOTIDIANO DEL 7 GENNAIO 2012
https://www.ilfattoquotidiano.it/2012/01/07/roma-camerati-ricordano-acca-larentia-polemica-sulla-targa-lodio-comunista/182189/

 

 

Roma, i ‘camerati’ ricordano Acca Larentia
Polemica sulla targa e l’”odio comunista”

Franco Bigonsetti, Francesco Ciavatta e Stefano Recchioni assassinati dell’odio comunista e dei servi dello Stato”. Questa la nuova lapide commemorativa della sparatoria avvenuta 34 anni fa nella Capitale. Alemanno: “Più corretto mantenere la dicitura ‘vittime della violenza politica”

 

Dopo 34 anni una nuova targa, in via Acca Larentia a Roma per dire che la sparatoria avvenuta il 7 gennaio del 1978 è colpa “dell’odio comunista e dei servi dello Stato”. A cambiarla i militanti dell’ex sede storica del Movimento sociale italiano in memoria dei tre ragazzi morti: Franco Bigonsetti, Francesco Ciavatta e Stefano Recchioni. La targa, come quella che è stata sostituita, è a firma “i camerati”.

“Fini e il suo gruppo – ha spiegato Carlo Giannotta, responsabile della sede Acca Larentia – tra cui Gasparri e La Russa, fecero la promessa di una Italia migliore quando nel ’78 misero la vecchia targa. Promessa poi non rispettata. Per questo noi l’abbiamo sostituita e abbiamo specificato l’ideologia che ha assassinato quei tre ragazzi”.

A deporre una corona d’alloro di fianco all’entrata dell’ex sede dell’Msi è andato l’assessore ai Lavori pubblici di Roma Capitale Fabrizio Ghera, accompagnato tra gli altri dall’ex ministro della Gioventù Giorgia Meloni e dal presidente della Commissione capitolina Cultura Federico Mollicone. “Questo è il modo della città per ricordare i tragici fatti del ’78 e i ragazzi uccisi dal commando terrorista. Al di là di ogni polemica è importante che questo sia un momento unificante e che il loro ricordo viva. Acca Larentia non fu uno scontro ma un attacco”.

Davanti all’ingresso dell’ex sede del partito, dove ormai la vernice nera ha coperto del tutto i colori della fiammella dell’Msi e su cui sventola una bandiera nera con croce celtica bianca, sono tanti i mazzi di fiori deposti a firma ‘i camerati’ come anche una grande corona di alloro che svetta attaccata a un muro su cui è dipinto un soldato romano e una croce celtica.

Polemico nei confronti del cambio di targa il sindaco di Roma Gianni Alemanno: ”E’ corretto mantenere su queste lapidi la dicitura ‘vittime della violenza politica”, ha dichiarato il primo cittadino perché “andare più nello specifico significa rischiare di ripercorrere una strada di carattere ideologico. Noi dobbiamo condannare a prescindere la violenza ideologica”. “Acca Larentia – ha ricordato – è stata una strage terribile degli anni ’70, uno dei momenti più tragici della nostra città, che ha determinato un salto di livello nella violenza politica e nell’odio contrapposto di quegli anni”. “Mi auguro che la giornata di oggi si svolga nel modo più composto possibile e che tutti coloro che vogliono ricordare i tre ragazzi uccisi lo facciano in modo sereno, senza rinfocolare nuovo odio”.

Maurizio Gasparri, capogruppo Pdl al Senato si è chiesto perché i magistrati “non vogliano far luce” su questo episodio: “A 34 anni dalla strage di via Acca Larentia invece di negare il diritto al ricordo, come ha sostenuto qualcuno accecato dalla faziosità, ci si dovrebbe indignare perché ancora non hanno un nome i militanti della sinistra che assassinarono i ragazzi”. Ma, tra i magistrati, possibile che nessuno – domanda – voglia far luce su quella strage, anche se avremmo voluto la verità allora e non a decenni di distanza?”.

 

A Palermo però, secondo quanto denunciato dal comitato promotore della manifestazione organizzata da Giovane Italia, CasaPound Italia, Gioventù Italiana, Spazio Libero Cervantes e l’associazione TemerariaMente, sono apparse nuove scritte “intimidatorie”: “Fascisti carogne”, “Più foibe, meno fasci”. Nei giorni scorsi erano apparse scritte con la frase “10, 100, 1000 Acca Larentia” e la sede di Giovane Italia era stata attaccata con il lancio di una bottiglia molotov.

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2 risposte a LIRIO ABBATE, Dal delitto Mattarella alla strage di Bologna: la trama oscura che lega mafia e terrorismo nero– REPUBBLICA — 25 MAGGIO 2023

  1. roberto scrive:

    brava!
    mai dimenticare.

    • Chiara Salvini scrive:

      grazie, mio bel Roberto, come stai? Noi siamo agli ultimi giorni del trasloco definitivo da Milano a Sanremo– se hai esperienza, ti puoi immaginare..

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