EMILY TASINATO, CON GAZA, MA NON CONTRO ISRAELE: LA GUERRA DIVIDE IL GOLFO — LIMESONLINE – 5 DICEMBRE 2023 + altro

 

 

LIMESONLINE – 5 DICEMBRE 2023
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CON GAZA, MA NON CONTRO ISRAELE: LA GUERRA DIVIDE IL GOLFO

 

 

 

 

Dettaglio di una carta di Laura Canali – 2023. La versione integrale è accessibile qui.

 

Il mondo arabo condanna il castigo israeliano sulla Striscia e rivendica uno Stato per i palestinesi, ma teme l’escalation regionale e la fine degli accordi di Abramo. Gli equilibrismi di sauditi ed emiratini. I distinguo di Oman, Bahrein e Kuwait. Doha gioca a tutto campo.

 

 

di Emily Tasinato

 

 

Pubblicato in: LE INTELLIGENZE DELL’INTELLIGENCE – n°11 – 2023


  1. A oltre un mese dall’inizio del conflitto tra Israele e amās,
     il mondo arabo-islamico si è riunito a Riyad l’11 novembre per dare prova della propria unità di fronte all’offensiva militare israeliana nella Striscia di Gaza. Eppure, la dichiarazione finale approvata congiuntamente dalla Lega Araba e dall’Organizzazione per la cooperazione islamica ci restituisce un quadro frammentato, in cui si constatano le diverse opinioni tra i partecipanti su come arrestare il conflitto e approcciarsi al dopoguerra. Rimanendo su un piano puramente diplomatico, rifiutando l’idea secondo cui lo Stato ebraico starebbe agendo per autodifesa e opponendosi a ogni futura soluzione politica che separi Gaza dalla Cisgiordania 1, il summit si è concluso senza l’adozione di misure incisive – economiche e politiche – contro Israele. Il documento finale non contempla alcuna proposta concreta, come l’interruzione delle relazioni diplomatiche con Tel Aviv, l’attuazione di un embargo petrolifero in stile 1973 o il divieto di trasferimento di armi allo Stato ebraico dalle basi militari statunitensi nella regione 2.

 


Interessi distinti e calcoli specifici di ciascun attore regionale portano a osservare il conflitto da angolazioni differenti, plasmando il tipo di approccio alla crisi.

Tra i membri del Consiglio di cooperazione del Golfo (Ccg), l’Arabia Saudita, gli Emirati Arabi Uniti (Eau) e il Bahrein si stanno muovendo su una linea molto sottile, bilanciando cautamente il sentimento filopalestinese dei propri cittadini e dell’opinione pubblica regionale con l’impegno a mantenere aperti i canali di comunicazione con Israele.

 

 

CSG E’ COMPOSTO DAI SEGUENTI PAESI:

 

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Stati membri del Consiglio di cooperazione del Golfo (Ccg)

 

 

In un momento di massima tensione geopolitica, Oman, Kuwait e Bahrein mantengono posizioni di basso profilo. Il Qatar sta invece facendo leva sul proprio capitale politico e finanziario per rafforzare ulteriormente il suo ruolo di mediatore regionale – elemento centrale nel pensiero strategico del paese – e consolidare il proprio valore dinanzi alle grandi potenze.

 

 

RYAD – CAPITALE DELL’ARABIA SAUDITA  — (vedi cartine seguenti )


2. Al vertice di Riyad, il principe ereditario e primo ministro saudita Muammād bin Salmān (MbS) ha condannato le operazioni militari israeliane a Gaza e il doppio standard della comunità internazionale nell’affrontare la questione palestinese. MbS ha sottolineato come l’attuale catastrofe umanitaria certifichi «il fallimento» del Consiglio di Sicurezza dell’Onu nell’impedire a Israele di agire contrariamente al diritto umanitario internazionale.

Oltre a richiedere il rilascio di tutti gli ostaggi e la cessazione degli attacchi contro i civili, il principe ereditario saudita ha ribadito la linea comune dei paesi arabo-islamici sottolineando l’importanza di inquadrare la crisi alla luce del più ampio contesto di negazione del diritto all’autodeterminazione del popolo palestinese e mettendo in guardia contro ogni tentativo di sfollamento forzato 3.

 


Anche gli Emirati – rappresentati a Riyad dal vicepresidente Manūr bin Zāyid, piuttosto che dal presidente Muammād bin Zāyid (MbZ): dettaglio di non poco conto se letto alla luce della crescente competizione tra Abu Dhabi e Riyad in termini di proiezione d’influenza regionale –hanno riaffermato il supporto a qualsiasi passo diplomatico per un cessate-il-fuoco immediato, alla creazione di corridoi umanitari nella Striscia e al raggiungimento di una soluzione politica per la creazione di uno Stato palestinese. Con l’espansione delle operazioni di terra israeliane e l’intensificarsi dei bombardamenti sulla Striscia contro strutture civili, gli Emirati – alla pari degli altri paesi del Gcc – hanno gradualmente adottato un linguaggio esplicito di condanna contro Israele. Il paese ha sfruttato il proprio seggio non permanente al Consiglio di Sicurezza dell’Onu per farsi portavoce delle istanze del mondo arabo, condannando in più occasioni l’inerzia internazionale dinanzi alla tragedia che si sta consumando a Gaza.

 


Ma Abu Dhabi, che ha normalizzato le relazioni con Israele nel 2020 e ha concluso con lo Stato ebraico un accordo di partenariato economico nel 2022, non ha finora intrapreso alcuna azione concreta che segnali un possibile collasso dei rapporti. Sui benefici economici, di sicurezza e di prosperità regionale derivanti dagli accordi di Abramo si è espresso il presidente del Comitato per la Difesa, l’Interno e gli Esteri del Consiglio nazionale federale emiratino 4, mentre il ministro di Stato per il Commercio estero, rispondendo a una domanda sulle implicazioni della guerra Israele-amās nei rapporti commerciali bilaterali, ha sottolineato l’impegno degli Eau a «non mischiare l’economia con la politica» 5. Gli Emirati sono stati l’unico paese tra i membri del Gcc ad aver nominato amās nella prima dichiarazione rilasciata all’indomani dell’Operazione Alluvione Al-Aqā, definendo gli attacchi commessi dal gruppo terroristico contro i civili israeliani «una grave escalation».

 

King Charles III Attends COP28 - Day 2

MbZ

 

Inoltre, MbZ, il presidente degli Emirati Arabi Uniti, Mohammed Bin Zayed Al Nahyan (Mbz) è stato il primo e finora unico leader arabo con cui il premier israeliano Binyamin Netanyahu abbia avuto un colloquio telefonico dall’inizio della guerra 6.

 


Casa Sa‘ūd  ( governa dal 1926 l’Arabia Saudita )– sul punto di stabilire rapporti diplomatici con Israele, ora congelati dopo gli eventi del 7 ottobre – ha invece lasciato intendere che il tavolo negoziale con Tel Aviv non è stato abbandonato 7.

Gli incentivi che avevano portato il regno saudita a considerare una normalizzazione dei rapporti con Israele non sono infatti venuti meno con lo scoppio della guerra. I benefici derivanti dall’apertura all’economia israeliana – una delle più dinamiche, tecnologiche e innovative della regione – rispondono agli ambiziosi obiettivi di Vision 2030 per una rapida diversificazione e modernizzazione dell’economia e della società saudite.

Se si considera, inoltre, la geografia dei piani di sviluppo del paese, come nel caso della città futuristica Neom sulla costa del Mar Rosso, si desume facilmente il potenziale economico derivante dall’eventuale normalizzazione 8.

A questo si aggiungono le concessioni richieste dall’Arabia Saudita agli Stati Uniti per la riuscita di quello che è, a tutti gli effetti, un triangolo negoziale: l’innalzamento del paese a partner strategico di Washington; un accordo di difesa simile a quelli stipulati dagli Usa con il Giappone e la Corea del Sud; il supporto statunitense allo sviluppo del proprio programma nucleare civile; un processo più semplificato per l’acquisto di armi americane. Come la guerra di Gaza non impedirà a Casa Sa‘ūd di avanzare nel negoziato con Israele, così – in linea con il pragmatismo della dirigenza saudita – non arresterà la normalizzazione in corso con l’Iran.

 

 

 

Carta di Laura Canali - 2023

Carta di Laura Canali – 2023

 

Con l’ascesa di MbS  ( Arabia Saudita ) ai vertici del potere, la narrazione saudita facente capo ai princìpi islamici – che ha dominato a lungo l’identità del paese – ha progressivamente lasciato spazio a un patriottismo, o ipernazionalismo, che ha mutato radicalmente la politica interna ed estera di Riyad. In tale quadro, il conflitto tra Israele e amās ha rimesso al centro la tensione tra le due facce del regno: quella dell’Arabia Saudita Vision 2030 e quella del paese quale custode delle due sacre moschee, nonché paladino della causa palestinese (si veda l’Iniziativa di pace araba del 2002).

Dal 7 ottobre è interessante notare come non si siano registrate manifestazioni pro Palestina nel paese, avendo le espressioni di solidarietà trovato spazio nella sfera privata piuttosto che in quella pubblica 9. Il responsabile degli Affari religiosi della Grande Moschea, ‘Abd al-Ramān al-Sudays, ha sottolineato l’importanza che il popolo non interferisca con quanto sta accadendo a Gaza, di competenza dei soli «governanti».

 


Pubblicamente, emiratini e sauditi stanno portando avanti una missione su tre fronti: lavorare alla risoluzione  del conflitto, garantire il ritorno sicuro degli ostaggi e fornire sostegno umanitario al popolo palestinese assediato. Appellandosi allo strumento diplomatico come unico mezzo per la cessazione delle ostilità, le due monarchie del Golfo sono mosse dal condiviso obiettivo di impedire una conflagrazione regionale, con l’apertura di un nuovo fronte al confine israelo-libanese e una maggiore mobilitazione dei gruppi affiliati all’Iran in territorio siriano e iracheno, ma soprattutto degli ūī in Yemen. Per via degli stretti legami con Washington e con Tel Aviv, gli Emirati sono stati minacciati da Alwiyat al-wa‘d al-aqq ( AWH ), gruppo legato alla milizia irachena Katā’ib izbullāh, di possibili attacchi alle basi militari americane ubicate sul loro territorio 10.

 

nota :

  1. Alwiyat al-Waad al-Haq ( AWH ) (– BRIGATE DEL VERO IMPEGNO )  attacca solo l’Arabia Saudita e Gli Emirati– è legato, come dice il testo, alla milizia  irachena
    da : https://www.washingtoninstitute.org/policy-analysis/profile-alwiyat-al-waad-al-haq

2.  Kata’ib Hezbollah ( Brigate del Partito di Dio ) è un gruppo paramilitare sciita iracheno che fa parte delle Forze di mobilitazione popolari sostenute dall’Iran. È stato attivo nella guerra civile irachena  ( marzo 2003 – dicembre 2011 ) e nella guerra civile siriana. ( 2011 / in corso)
da: https://it.wikipedia.org/wiki/Kata’ib_Hezbollah

 


MbZ e MbS sono consapevoli dei potenziali rischi di una regionalizzazione del conflitto, nonché dei potenziali danni di un simile scenario agli interessi geoeconomici e ai piani di diversificazione. Gli attacchi iraniani del 2019 alle infrastrutture petrolifere di Aramco a Buqaiq e a urai in Arabia Saudita, nonché quelli degli ūī del 2023 contro Abu Dhabi, sono ancora un vivido ricordo.

 


Un incremento delle attività degli ūī, che hanno dichiarato guerra a Israele attaccandolo con droni e missili, avrebbe ripercussioni negative sull’economia regionale, specie su quella saudita. Anche un evento isolato, come il recente sequestro della nave cargo Galaxy Leader, rischia di far aumentare i costi del trasporto marittimo nel Mar Rosso e lungo lo Stretto di Bāb al-Mandab. Benché consapevole dell’importanza di cooperare con l’Iran onde evitare un’escalation regionale, Riyad non è intenzionata a lasciare a Teheran il monopolio della questione palestinese e si sta sforzando di consolidare il proprio ruolo di leader naturale del mondo musulmano 11.

 

nota : gli ūī, sono un gruppo armato prevalentemente sciita zaydita dello Yemen, nato nell’ultimo decennio del XX secolo ma diventato fortemente attivo, in funzione anti-governativa, nel corso del XXI secolo. Hanno dato vita a un’organizzazione armata che si è definita Partigiani di Dio o Gioventù credente- Il fondatore si chiama  Hussein al-Houthi

 

 

 

Carta di Laura Canali - 2020

 

 

3. A livello di dichiarazioni ufficiali, le autorità in Oman, Bahrein e Kuwait ribadiscono la medesima linea adottata dagli altri attori regionali, inclusa la ferma convinzione che stabilità e prosperità in Medio Oriente non possano prescindere dalla risoluzione del conflitto israelo-palestinese e dalla creazione di uno Stato di Palestina secondo i confini del 1967, con capitale Gerusalemme Est. Nelle piazze e nelle strade bahreinite, omanite e kuwaitiane il popolo ha marciato per far sentire il proprio sentimento filopalestinese, manifestando profonda indignazione e condanna per quanto commesso da Israele a Gaza. A livello di opinione pubblica araba si registra anche una significativa ondata di sentimento antistatunitense per il supporto della Casa Bianca alla campagna militare israeliana 12. I manifestanti hanno urlato «morte a Israele» e mostrato immagini del presidente statunitense Joe Biden con la scritta «criminale di guerra» .

 

BAHREIN


Come gli Emirati, il Bahrein si ritrova in grande difficoltà verso la guerra Israe­le-amās a causa del consolidamento dei rapporti con Tel Aviv, specialmente nella sfera della sicurezza. Tale rafforzamento è funzionale in primo luogo al contenimento dell’Iran, le cui attività militari nella regione, dirette e dei suoi agenti di prossimità, continuano a influire sulle scelte di Manama ( capitale del Bahrein ).

Sarāyā Wa’d Allāh, milizia sciita bahreinita sostenuta dall’Iran e designata gruppo terroristico dal governo, ha recentemente annunciato il proprio sostegno alle operazioni di amās e invitato alla mobilitazione in Bahrein 14. Come le autorità emiratine, anche il Bahrein bilancia pertanto l’esplicita condanna dei «barbari» attacchi di amās con la forte denuncia della campagna militare israeliana e della conseguente situazione umanitaria a Gaza, come attesta il discorso d’apertura del

 

nel 2023  –wikipedia

principe ereditario bahreinita Salmān bin amad bin ‘Īsā Āalīfa all’ultimo Manama Dialogue. Il Mağlis al-Šurā, la Camera bassa del parlamento bahreinita che manca di potere legislativo, ha inoltre annunciato il ritiro dell’ambasciatore a Tel Aviv e la cessazione delle relazioni economiche tra i due paesi. Una notizia non ancora confermata ufficialmente 15.

NOTAMANAMA DIALOGUE–
Tenutosi in Bahrein dal 17 al 19 novembre 2023, l’IISS Manama Dialogue è un forum unico che consente ai ministri del governo e ai politici, nonché ai membri delle comunità di esperti, opinionisti e imprenditoriali, di discutere la politica estera più urgente del Medio Oriente, sfide per la difesa e la sicurezza. 

 


Il conflitto a Gaza continua a dominare anche il dibattito politico e pubblico in Kuwait e in Oman, nonostante i problemi interni dei due paesi. Nel sultanato ( L’Oman ), come testimoniato dall’account del gruppo attivista Omanis Against Normalization, migliaia di persone continuano a dimostrare pacificamente sostegno al popolo palestinese e al suo diritto all’autodeterminazione.

In Kuwait, campagne di raccolta fondi a supporto dei palestinesi di Gaza (come «We are all Gaza») si affiancano ad altre iniziative, tra cui il boicottaggio di alcune catene internazionali presenti nel paese in cui viene provocatoriamente domandato: «Hai ucciso un palestinese oggi?».

Anche il Gran mufti dell’Oman, Amad bin amad al-alīlī, ha definito un «dovere» della nazione il boicottaggio quale «arma più potente e di successo per sottomettere il nemico». Simili dichiarazioni si discostano dalla consueta «tolleranza» omanita nella conduzione della diplomazia regionale, saldamente radicata nell’adesione ufficiale all’islam ibadita.

 

 


4. Nel quadro degli sforzi diplomatici, è il Qatar a confermarsi leader regionale grazie al mantenimento di finestre di dialogo diretto e continuo con tutti i principali attori in campo. Se i legami ufficiosi con Israele e con il suo establishment di sicurezza risalgono agli anni Novanta, è l’embargo economico e il boicottaggio politico contro Doha ad opera del Quartetto arabo —Arabia Saudita, EAU, Bahrein ed Egitto–  (2017-21) che contribuisce all’avvicinamento del Qatar all’Iran.

I rapporti con amās si rafforzano invece nel 2012, quando su richiesta dell’amministrazione statunitense il piccolo emirato diventa la nuova sede dell’Ufficio politico del movimento palestinese, ospitando anche l’attuale leader Ismāīl Haniyya e l’ex capo ālid Maš‘al.

È su questo delicato equilibrio tra partner internazionali (Usa) e attori regionali, statali e non (amās), che il Qatar gioca la sua partita. Porsi quale facilitatore in dossier complicati è parte integrante della strategia qatarina, basata sull’idea che un «mediatore disposto a spendere capitale politico e finanziario sulle questioni diplomatiche più scottanti, che includano gli attori non statali politicamente più controversi, sia di grande valore per le potenze globali» 16.

 

 


La difficile trattativa mediata da Doha per il rilascio degli ostaggi di amās acquisisce, pertanto, una dimensione centrale. La complessità dei negoziati dipende, in primo luogo, dal fatto che il Qatar è in contatto prevalentemente con i leader di amās all’estero e non con gli operativi del gruppo a Gaza (le Brigate al-Qassām).

A ciò si aggiungono la continua escalation sul campo e il tema del chi detiene gli ostaggi, poiché secondo le fonti israeliane questi sono in mano a amās e anche ad altri gruppi, tra cui la Jihād islamica 17. In quella che è stata la prima svolta diplomatica dall’inizio delle ostilità, il 22 novembre il ministero degli Esteri qatarino ha comunicato il raggiungimento di un accordo tra le parti belligeranti per una tregua umanitaria di quattro giorni, potenzialmente prorogabile, in cui effettuare lo scambio reciproco di prigionieri (50 tra donne e bambini ostaggio di amās per 150 tra donne e bambini palestinesi detenuti nelle carceri israeliane) e permettere l’entrata di convogli umanitari e aiuti a Gaza, incluso il carburante.

 

 


Carta di Laura Canali - 2023

Carta di Laura Canali – 2023

 

 

Uno dei principali rischi per il Qatar è che la relazione con amās possa trasformarsi da componente essenziale della sua strategia di mediazione a fattore di debolezza. Il paese – che dall’inizio del conflitto ha ricevuto il segretario di Stato statunitense Antony Blinken, il coordinatore del Consiglio di sicurezza nazionale americano per il Medio Oriente e il Nord Africa Brett McGurk, il direttore della Cia William Burns e del Mossad David Barnea – non vuole in alcun modo compromettere le relazioni con gli Stati Uniti, di cui è diventato major non-Nato ally nel 2022.

Pertanto, non è da escludere che si mostri sensibile alle critiche in riferimento al suo rapporto con amās 18. Blinken, che in varie occasioni ha apprezzato «l’assistenza» di Doha nella trattativa in corso 19, durante la sua tappa qatarina di inizio novembre ha sottolineato che «non si può più fare affari con amās come al solito», evitando però di rispondere a una domanda sulla possibile richiesta di chiusura dell’ufficio politico di amās a Doha 20.

 


Non sono nemmeno sfuggite le critiche rivolte al Qatar (per le sue controverse, ingenti donazioni di denaro a Gaza) dall’ex direttore dell’intelligence saudita e membro della famiglia reale Turkī al-Fayal 21.

La presenza di gruppi islamisti come amās in Qatar è da sempre tra i principali elementi di contrasto con l’Arabia Saudita e gli Emirati, nonché tra le motivazioni addotte dai due paesi insieme a Bahrein ed Egitto per giustificare l’embargo contro Doha. Riyad e (ancor più) Abu Dhabi percepiscono l’islam politico, nello specifico i gruppi legati alla Fratellanza musulmana come uno dei principali fattori di destabilizzazione regionale, in quanto ideologia mirante a scalfire i princìpi di sovranità e integrità territoriale dei singoli Stati.

 


Se dietro le quinte sussistono significative divergenze sul ruolo di amās, con Emirati e Arabia Saudita interessati a vedere il gruppo indebolito politicamente e militarmente, in pubblico il linguaggio diplomatico e le posizioni del Qatar sulla guerra in corso riflettono quelli dei vicini regionali, impressi nel documento finale approvato al vertice di Riyad.

Dai fatti del 7 ottobre e con il peggioramento della situazione a Gaza, l’emirato ha condannato Israele per le sue «pratiche genocide» e i «crimini di pulizia etnica», ribadendo le priorità: cessate-il-fuoco e assistenza umanitaria immediati; condanna di ogni sfollamento forzato del popolo palestinese; protezione dei civili e rilascio dei prigionieri (si usa il termine captive, lasciando intendere tanto gli ostaggi di amās quanto i palestinesi detenuti nelle carceri israeliane). Le critiche alla comunità internazionale per la sua selettività e mancata condanna delle operazioni militari israeliane si accompagnano

 

Mohammed bin Abdulrahman bin Jassim Al Thani - Wikipedia

all’appello dell’emiro Tamīm bin amad Āānī  ( capo del Qatar ) all’audience arabo-islamica riunita nella capitale saudita sull’urgenza di adottare concrete «azioni di deterrenza» 22.

 

 


5. La guerra a Gaza ha fatto emergere con chiarezza le contraddizioni derivanti da un approccio di normalizzazione del mondo arabo con Israele disgiunto dalla questione israelo-palestinese. Sebbene né gli Emirati né il Bahrein abbiano mostrato di voler denunciare gli accordi di Abramo, non è da escludere che vi siano delle linee il cui superamento li spinga a interrompere le relazioni diplomatiche con lo Stato ebraico. Quanto all’Arabia Saudita, se prima del conflitto tra Israele e amās la monarchia sembrava prepararsi a riconoscere diplomaticamente Tel Aviv senza garanzia di uno Stato palestinese, dopo il 7 ottobre ha tutto l’interesse a riaffermare la propria leadership nel mondo arabo-islamico, raggiungendo un accordo politicamente valido che assicuri il diritto palestinese all’autodeterminazione.

 


Nel quadro degli sforzi diplomatici regionali per porre fine al conflitto e coordinare una politica coerente per il dopoguerra, è ancora presto per esprimere un giudizio accurato sul ruolo – simbolico o effettivo – della nuova commissione ministeriale arabo-islamica a guida saudita, istituita su volontà dei partecipanti al summit di Riyad.

Di certo, non è passata inosservata la scelta della Cina come prima tappa del tour internazionale di tale delegazione: segnale di fiducia verso Pechino e di riconoscimento del suo ruolo di mediatore imparziale nelle questioni mediorientali? O segnale a Washington affinché moderi il sostegno a Israele e faccia pressione sul paese affinché accetti un cessate-il-fuoco? L’unica certezza è che non è stato ancora raggiunto alcun consenso su un ordine post-bellico a Gaza.

 

 


Carta di Laura Canali - 2023

Carta di Laura Canali – 2023


Note:

1. «Arab-Islamic summit adopts resolution on Israeli aggression against the Palestinian people», Arab News, 12/11/2023; I. Naar, «Divided views as Arab-Islamic world demands end to Israel-Gaza war», The National, 12/11/2023.

2. «Saudi Arabia, other nations block proposal to cut all ties with Israel: Report», Wion, 14/11/2023.

3. «The speech of the Crown Prince at the Arab-Islamic summit», Saudi On Demand, 11/11/2023.

4. «UAE says Abraham Accords are not at risk in face of Hamas war», The Jewish Chronicle, 1/11/2023.

5. «UAE to “continue trade with Israel” despite deadly Gaza war, trade minister says», The New Arab, 11/11/2023.

6. R. Bassist, «Netanyahu speaks with UAE president in first call with Arab leader since Hamas attack», Al-Monitor, 16/10/2023.

7. K. Coates Ulrichsen, «Saudi plans to “de-risk” region have taken a hit with Gaza violence – but hitt­ing pause on normalization with Israel will buy kingdom time», The Conversation, 18/10/2023.

8. P. Salem, «The oncoming Saudi-Israeli normalization», Middle East Institute, 5/9/2023.

9. V. Nereim, K. Kelly, A. Al Omran, «As War Looms Over Mideast, Saudi Arabia Tries to Keep the Music Going», The New York Times, 26/10/2023.

10. M. Knights, «Kataib Hezbollah’s Facade Group Threatens Gulf States Again», The Washington Institute for Near East Policy, 24/10/2023.

11. A. Zaccour, «Pour ménager l’opinion publique, Riyad joue l’unité arabe et musulmane», L’Orient Le Jour, 08/11/2023.

12. P. Alvarez, A. Marquardt, «Biden administration privately warned by American diplomats of growing fury against US in Arab world», Cnn, 10/11/2023.

13. V. Yee, «Across Mideast, Protests Erupt Over “Horrific Scenes” in Gaza», The New York Times, 18/10/2023.

14. J. Truzman, «Bahraini militia celebrates Hamas-led invasion of Israel, calls for mobilization against Israelis», Foundation for Defense of Democracies, 9/10/2023.

15. «Has Bahrain cut off ties with Israel over the war on Gaza?», The New Arab, 03/11/2023.

16. C. Bianco, M. Legrenzi, Le monarchie arabe del Golfo: nuovo centro di gravità in Medio Oriente, Bologna 2023, il Mulino, p. 84.

17. «Heads of Mossad, CIA talks hostages in Qatar, terror group issues clips of 2 captives», The Times of Israel, 9/11/2023.

18. P. Wintour, «Qatar’s peacemaking ambitions face ultimate test in crucible of Israel-Hamas war», The Guardian, 28/10/2023

19. F. MacDonald, «Israel-Hamas War Escalation Puts Qatar’s Clout to the Test», Bloomberg, 30/10/2023.

20. G. Cafiero, «The Future of Hamas in Qatar», The Stimson Center, 2/11/2023.

21. B. Al Sayed, «Prince Turki Al Faisal Equates Hamas and Israel and Criticizes Qatar in a Television Interview», Watan, 19/10/2023.

22. «Qatar’s emir condemns silence on Gaza», canale YouTube di Al Jazeera, 11/11/2023.

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1 risposta a EMILY TASINATO, CON GAZA, MA NON CONTRO ISRAELE: LA GUERRA DIVIDE IL GOLFO — LIMESONLINE – 5 DICEMBRE 2023 + altro

  1. DONATELLA scrive:

    E’ estremamente difficile orientarsi in tutte queste differenziazioni politiche del mondo arabo nei confronti di Israele, Stati Uniti e Palestinesi. Mi sembra che questi ultimi siano i parenti poveri che, in fondo, danno solo fastidio e di cui si farebbe volentieri a meno.

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