DA DONATELLA –IL CANTO DI CACCIAGUIDA — PARADISO, XV – DANTE ALIGHIERI ( Firenze, 1265 – Ravenna, 1321 )

 

 

Dante Alighieri - Enciclopedia della storia del mondo

Dante Alighieri di Domenico di Michelino. La scena, dipinta nel 1465 d.C., mostra il poeta di fronte alla montagna del Purgatorio come descritto nella sua Divina Commedia, di cui tiene in mano una copia. Sulla destra si può vedere anche il Duomo di Firenze, dove risiede il dipinto.

 

 

IL CANTO XV 

 

Cacciaguida, progenitore di Dante, morto crociato in Terrasanta, ricorda che al tempo della “cerchia antica” (quando la città medievale era prevalentemente racchiusa entro il perimetro delle mura carolingie) la vita dei fiorentini era onorata e serena, scandita dai rintocchi delle campane della Chiesa di Badia, uno degli edifici più antichi della città (su cui questa lapide è murata). La lapide si trova in corrispondenza dell’entrata della Badia da via Dante Alighieri.

 

FIORENZA, DENTRO DALLA CERCHIA  ANTICA, OND’ ELLA TOGLIE ANCORA E TERZA E NONA, SI STAVA IN PACE SOBRIA E PUDICA ( vv. 97-99 )

 

https://www.feelflorence.it/it/node/43505

Testo

Benigna volontade in che si liqua
sempre l’amor che drittamente spira,
come cupidità fa ne la iniqua,

silenzio puose a quella dolce lira,
e fece quïetar le sante corde
che la destra del cielo allenta e tira.

Come saranno a’ giusti preghi sorde
quelle sustanze che, per darmi voglia
ch’io le pregassi, a tacer fur concorde?

Bene è che sanza termine si doglia
chi, per amor di cosa che non duri
etternalmente, quello amor si spoglia.

Quale per li seren tranquilli e puri
discorre ad ora ad or sùbito foco,
movendo li occhi che stavan sicuri,

e pare stella che tramuti loco,
se non che da la parte ond’ e’ s’accende
nulla sen perde, ed esso dura poco:

tale dal corno che ’n destro si stende
a piè di quella croce corse un astro
de la costellazion che lì resplende;

né si partì la gemma dal suo nastro,
ma per la lista radïal trascorse,
che parve foco dietro ad alabastro.

Sì pïa l’ombra d’Anchise si porse,
se fede merta nostra maggior musa,
quando in Eliso del figlio s’accorse.

«O sanguis meus, o superinfusa
gratïa Deï, sicut tibi cui
bis unquam celi ianüa reclusa?».

Così quel lume: ond’ io m’attesi a lui;
poscia rivolsi a la mia donna il viso,
e quinci e quindi stupefatto fui;

ché dentro a li occhi suoi ardeva un riso
tal, ch’io pensai co’ miei toccar lo fondo
de la mia gloria e del mio paradiso.

Indi, a udire e a veder giocondo,
giunse lo spirto al suo principio cose,
ch’io non lo ’ntesi, sì parlò profondo;

né per elezïon mi si nascose,
ma per necessità, ché ’l suo concetto
al segno d’i mortal si soprapuose.

E quando l’arco de l’ardente affetto
fu sì sfogato, che ’l parlar discese
inver’ lo segno del nostro intelletto,

la prima cosa che per me s’intese,
«Benedetto sia tu», fu, «trino e uno,
che nel mio seme se’ tanto cortese!».

E seguì: «Grato e lontano digiuno,
tratto leggendo del magno volume
du’ non si muta mai bianco né bruno,

solvuto hai, figlio, dentro a questo lume
in ch’io ti parlo, mercé di colei
ch’a l’alto volo ti vestì le piume.

Tu credi che a me tuo pensier mei
da quel ch’è primo, così come raia
da l’un, se si conosce, il cinque e ’l sei;

e però ch’io mi sia e perch’ io paia
più gaudïoso a te, non mi domandi,
che alcun altro in questa turba gaia.

Tu credi ’l vero; ché i minori e ’ grandi
di questa vita miran ne lo speglio
in che, prima che pensi, il pensier pandi;

ma perché ’l sacro amore in che io veglio
con perpetüa vista e che m’asseta
di dolce disïar, s’adempia meglio,

la voce tua sicura, balda e lieta
suoni la volontà, suoni ’l disio,
a che la mia risposta è già decreta!».

Io mi volsi a Beatrice, e quella udio
pria ch’io parlassi, e arrisemi un cenno
che fece crescer l’ali al voler mio.

Poi cominciai così: «L’affetto e ’l senno,
come la prima equalità v’apparse,
d’un peso per ciascun di voi si fenno,

però che ’l sol che v’allumò e arse,
col caldo e con la luce è sì iguali,
che tutte simiglianze sono scarse.

Ma voglia e argomento ne’ mortali,
per la cagion ch’a voi è manifesta,
diversamente son pennuti in ali;

ond’ io, che son mortal, mi sento in questa
disagguaglianza, e però non ringrazio
se non col core a la paterna festa.

Ben supplico io a te, vivo topazio
che questa gioia prezïosa ingemmi,
perché mi facci del tuo nome sazio».

«O fronda mia in che io compiacemmi
pur aspettando, io fui la tua radice»:
cotal principio, rispondendo, femmi.

Poscia mi disse: «Quel da cui si dice
tua cognazione e che cent’ anni e piùe
girato ha ’l monte in la prima cornice,

mio figlio fu e tuo bisavol fue:
ben si convien che la lunga fatica
tu li raccorci con l’opere tue.

97-99
Fiorenza dentro da la cerchia antica,
ond’ ella toglie ancora e terza e nona,
si stava in pace, sobria e pudica.

Non avea catenella, non corona,
non gonne contigiate, non cintura
che fosse a veder più che la persona.

Non faceva, nascendo, ancor paura
la figlia al padre, ché ’l tempo e la dote
non fuggien quinci e quindi la misura.

Non avea case di famiglia vòte;
non v’era giunto ancor Sardanapalo
a mostrar ciò che ’n camera si puote.

Non era vinto ancora Montemalo
dal vostro Uccellatoio, che, com’ è vinto
nel montar sù, così sarà nel calo.

Bellincion Berti vid’ io andar cinto
di cuoio e d’osso, e venir da lo specchio
la donna sua sanza ’l viso dipinto;

e vidi quel d’i Nerli e quel del Vecchio
esser contenti a la pelle scoperta,
e le sue donne al fuso e al pennecchio.

Oh fortunate! ciascuna era certa
de la sua sepultura, e ancor nulla
era per Francia nel letto diserta.

L’una vegghiava a studio de la culla,
e, consolando, usava l’idïoma
che prima i padri e le madri trastulla;

l’altra, traendo a la rocca la chioma,
favoleggiava con la sua famiglia
d’i Troiani, di Fiesole e di Roma.

Saria tenuta allor tal maraviglia
una Cianghella, un Lapo Salterello,
qual or saria Cincinnato e Corniglia.

A così riposato, a così bello
viver di cittadini, a così fida
cittadinanza, a così dolce ostello,

Maria mi diè, chiamata in alte grida;
e ne l’antico vostro Batisteo
insieme fui cristiano e Cacciaguida.

Moronto fu mio frate ed Eliseo;
mia donna venne a me di val di Pado,
e quindi il sopranome tuo si feo.

Poi seguitai lo ’mperador Currado;
ed el mi cinse de la sua milizia,
tanto per bene ovrar li venni in grado.

Dietro li andai incontro a la nequizia
di quella legge il cui popolo usurpa,
per colpa d’i pastor, vostra giustizia.

Quivi fu’ io da quella gente turpa
disviluppato dal mondo fallace,
lo cui amor molt’ anime deturpa;

e venni dal martiro a questa pace».

 

 

 

Parafrasi

La voglia di far del bene in cui si scioglie
sempre quell’amore che ispira giustamente,
come la cupidità la fa ingiusta,

 

 fece tacere quel dolce strumento,
e riposare quelle sante corde
suonate dalla mano del cielo.

 

 Come possono esser sorde alle preghiere dei giusti
queste anime che, per spingermi
a pregarle, tacquero tutte insieme?

 

 È bene che soffra senza tregua
chi, per inseguire cose che non durano
eternamente, rifiuta l’amor divino.

 

 Come i cieli notturni e tersi
sono di tanto in tanto attraversati da luci improvvise,
attirando lo sguardo che prima era fermo,

 

 e sembra che una stella cambi posto,
ma in quella parte in cui prende fuoco
nessun astro scompare, e la fiamma è rapida:

 

 così dal braccio destro che si tende
fino alla base di quella croce scese una stella
dalla costellazione che in quel cielo splende;

 

 e la gemma non si separò dal suo nastro,
ma per tutto il suo raggio la percorse,
come una fiamma dietro l’alabastro.

 

 Come l’anima di Anchise si mostrò pietosa,
se si vuol dar fede al nostro più grande poeta,
quando s’accorse della presenza di Enea nei Campi Elisi.

 

 «O sangue mio, o abbondante
grazia di Dio, a chi altri come te
per due volte viene aperta la porta del cielo?»

 

 Così fece quell’anima, quando mi avvicinai a lei;
poi mi rivolsi a Beatrice,
e da una parte e dall’altra fui stupito;

 

 perché nei suoi occhi ardeva una letizia
tale, che io pensai di toccare con i miei il massimo
della mia gioia e del mio paradiso.

 

 Quindi, bello da ascoltare e vedere,
l’anima aggiunse al suo discorso delle cose,
che io non capii, tanto erano profonde;

 

 non me le nascose per scelta,
ma per necessità, poiché il suo discorso
oltrepassava quanto umanamente comprensibile.

 

 E quando l’arco di quell’ardore di carità
si fu sfogato, al punto che il suo parlare si abbassò
fino al livello dell’intelletto umano,

 

 la prima cosa che compresi fu,
«Che tu sia benedetto, uno e trino,
che nella mia discendenza sei stato così generoso!».

 

 E continuò: «Un gradito e atteso desiderio,
derivato dalla lettura del grande volume
in cui tutto è fisso,

 

 hai esaudito, figlio mio, in questa luce
dal quale io ti parlo, grazie a colei
che ti diede le ali per questo volo.

 

 Tu credi che i tuoi pensieri mi arrivino
da quello divino, così come s’irradi
dall’uno, se lo si conosce, il cinque e il sei;

 

 e perciò non mi chiedi chi io sia e
perché sembri più felice di vederti,
di qualunque altra tra queste anime felici.

 

 Ciò che credi è vero; sia le meno che le più
elevate tra le anime beate guardano in quello specchio
per cui, prima che tu lo pensi, manifesti il tuo pensiero;

 

 ma per far si che l’amore di carità che io guardo
in perpetua contemplazione e che mi asseta
di dolce desiderio, si compia meglio,

 

 con la tua voce sicura, ardita e lieta
esprima ciò che vuole e desidera,
perché a ciò la mia risposta è già pronta!».

 

 Guardai Beatrice, e lei mi udì
prima che io parlassi, e mi annuì con un sorriso
che fece volare il mio desiderio.

 

 Così cominciai a parlare:« Il sentimento e la ragione,
appena vi apparve l’uguaglianza perfetta,
sono per voi divenute la stessa cosa,

 

 poiché il sole che vi illuminò e scaldò,
ha una sapienza e un amore tanto simili,
che tutte le altre somiglianze sono inesatte.

 

 Ma la ragione e il sentimento nei mortali,
per ragioni che a voialtri sono ovvie,
hanno ali che non si assomigliano.

 

 E io, che sono mortale, soffro di
questa disuguaglianza, perciò posso ringraziare
solo con i sentimenti a questa festa paterna.

 

 Ora ti supplico, vivo topazio
che sei gemma di questa croce,
di dirmi il tuo nome».

 

 «Oh, mia discendenza di cui mi compiaccio
solo per l’attesa, io fui un tuo antenato»:
la sua risposta cominciò così.

 

 Poi mi disse: «Colui dal quale
prendi il tuo nome e che da più di cent’anni
gira per la prima cornice del Purgatorio,

 

 fu mio figlio e tuo bisnonno:
sarebbe doveroso che quella penitenza
tu gliela accorci con le tue preghiere.

 

97-99

Firenze nelle sue antiche mura,
da cui ancora sente suonare l’ora terza e la nona
stava in pace, sobria e pudica.

 

 Non indossava collane o corone,
non gonne ricamate, né cinture
che all’occhio fossero più appariscenti della persona.

 

 Ancora, quando nasceva, non faceva
paura la figlia al padre, poiché l’età e la dote
del matrimonio non erano spropositate.

 

 Non c’erano case con poche famiglie;
ancora non era arrivato Sardanapalo
a mostrare ciò che si può fare in camera da letto.

 

 Ancora non era stato battuto Montemario
dal vostro Uccellatoio, che così com’è vinto
nella fortuna, così lo sarà nella rovina.

 

 Vidi Bellincione Berti portare una cinta
di cuoio e d’osso, e sua moglie
allontanarsi dallo specchio senza trucco;

 

 e vidi membri della famiglia Nerli e dei Vecchietti
accontentarsi di vesti di pelle semplice,
e le loro donne cucire la lana.

 

 Donne fortunate! Ciascuna sicura
d’esser sepolta nella sua città, e ancora nessuna
era stata abbandonata per i commerci in Francia.

 

 Una vegliava con cura sulla culla,
consolando il bimbo con quell’idioma infantile
che per primi diverte i padri e le madri;

 

 l’altra, lavorando al telaio,
raccontava alla sua famiglia le storie
dei Troiani, di Fiesole e di Roma.

 

 Sarebbe al tempo risultato uno scandalo
una Cianghella, un Lapo Salterello,
come ora lo sarebbero un Cincinnato o una Cornelia.

 

 In un così pacifica, così civile
vita cittadina, in una così concorde
cittadinanza, in una così dolce dimora,

 

 mi fece nascere Maria, gridando ad alta voce;
e nel vostro antico Battistero
fui allo stesso tempo cristiano e Cacciaguida.

 

 Moronto ed Eliseo furono miei fratelli;
mia moglie venne dalla Val Padana,
e il suo cognome divenne il tuo.

 

 Poi seguii l’imperator Corrado;
che mi fece uno dei suoi cavalieri,
tanto gli piacque il mio operare.

 

 Lo seguii per combattere l’ingiustizia
di quella legge osservata da quella gente che usurpa,
per colpa dei papi, ciò che è vostro di diritto.

 

 E lì io, da quel popolo infedele,
fui liberato dal mondo materiale,
l’amore per cui travia molte anime;

 

 e dal martirio venni a questo luogo di pace».

 

 

 

 

 

BADIA FIORENTINA

 

 

 

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© Marie-Lan Nguyen / Wikimedia Commons

La Torre della Badia Fiorentina vista da Palazzo Vecchio

 

“Badia” è una contrazione popolare della parola abbazia. A Firenze e dintorni sono esistite cinque abbazie benedettine, situate come ai punti cardinali della città: a nord la Badia Fiesolana, a ovest la Badia a Settimo, a sud l’abbazia di San Miniato, a est la Badia a Ripoli e al centro la Badia fiorentina.
Antichissima esisteva in questo luogo la chiesa di Santo Stefano detta “del popolo”, che è ricordata già nel 960. L’abbazia fu fondata invece nel 978.
Grazie ad altre ingenti donazioni e anche ai privilegi concessi da papi e imperatori, l’abbazia acquistò o ereditò varie proprietà ad essa circostanti, ove poi aprirono le loro attività cartolai, miniatori, legatori, librai, che connotarono la zona con una produzione legata alla realizzazione di libri e pergamene.
Nel 1071 fu annesso un ospedale al monastero. Fra le attività dei monaci c’era anche la viticoltura, come suggeritoci anche dal nome della vicina via della Vigna Vecchia.

 

 

 

dal Codece Rustici ( manoscritto illustrato )
 Marco di Bartolomeo Rustici – Opera propria– 1450

 

 

 

Abbazia di Santa Maria e il Palazzo del Bargello
Chabe01 – Opera propria

 

 

Abbazia di Santa Maria
Chabe01 – Opera propria

 

 

 

Entrata della Badia di Firenze e il Portale di Benedetto da Rovezzano
Sailko – Opera propria

 

 

 

 

Portale
I, Sailko

 

 

 

Citazione di Dante, Paradiso, XV- vv. 97-99

 

 

 

Sailko – Opera propria

 

Antonello Ruberto

https://www.studenti.it/canto-xv-del-paradiso-testo-parafrasi-commento-e-figure-retoriche.html

 

 

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Il Chiostro degli Aranci
Sailko – Opera propria

 

 

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Chiostro degli Aranci
Sailko – Opera propria

 

 

 

 

Nel Chiostro si sono ritrovati affreschi di Monaci Benedettini: ” Storie di San Benedetto “

 

Tondo con un monaco benedettino

Tondo con un monaco benedettino§
Sailko – Opera propria

 

 

 

Storie di San Benedetto

Storie di san Benedetto
Sailko – Opera propria

 

 

Storie di San Benedetto

Storie di San Benedetto  — stupendo —
Sailko – Opera propria

 

 

ALTRE FOTO :

 

Badia fiorentina, stemma pandolfini nel loggiato vicino 

 

 

Badia fiorentina, stemma Ugo di Toscana
I, Sailko

 

Firenze
I, Sailko

 

Codice Rustici

 

 

 

Statua di Dante alla Badia Fiorentina
Cjareda – Opera propria

 

 

 

 

 

 

 

Sailko – Opera propria

 

 

Sailko – Opera propria

 

 

è bellissimo —
Sailko – Opera propria

 

da : https://commons.wikimedia.org/wiki/Category:Badia_fiorentina?uselang=it

 

 

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