Il mondo questa settimana
La rassegna geopolitica degli ultimi 7 giorni.
a cura di
VENECUBA, CRISI E DIALOGO
La settimana caraibico-sudamericana è stata segnata dalle stoccate fra Usa e Venezuela, la cui incancrenita crisi economica si scarica anche sull’alleato cubano.
A partire dalla mossa con cui il leader delle opposizioni venezuelane Juan Guaidó ha istruito il proprio rappresentante a Washington a esplorare una cooperazione con il Southern Command statunitense (competente per America Latina e Caraibi) per risolvere il braccio di ferro con il governo di Nicolás Maduro.
Dal canto suo, Caracas ha fatto sfoggio della nuova tornata di aiuti umanitari ricevuta dalla Cina per rimarcare la “cooperazione strategica” bilaterale. Mentre il Tribunale supremo (fedele a Maduro) ha privato dell’immunità altri 4 deputati del parlamento (unica istituzione in mano alle opposizioni) accusati di tradimento. Una mossa condannata dall’Occidente, Ue inclusa, cui ha fatto seguito il bocco dei collegamenti aerei con il Venezuela da parte statunitense.
Intanto Cuba ha annunciato nuovi razionamenti di beni primari, su tutti quelli alimentari. Il peggioramento del quadro economico dell’Avana è frutto sopratuttto dell’offensiva Usa anti-Venezuela, la quale dall’insediamento di Chávez ha progressivamente svolto il ruolo di finanziatore dell’isola. Caracas fornisce quotidianamente centinaia di migliaia di barili di petrolio in cambio dell’invio di migliaia di figure professionali tra cui consiglieri militari e d’intelligence.
Quanto alla Cina, per difendere i propri interessi economici e rientrare degli investimenti e dei prestiti effettuati, Pechino (nell’ultimo decennio principale finanziatore e creditore dello Stato bolivariano) continua a offrire a Maduro la propria protezione, soprattutto diplomatica e umanitaria. Ma a fronte dell’inasprimento delle condizioni finanziarie venezuelane non pare intenzionata ad aprire nuove linee di credito al successore di Hugo Chávez.
Gli apparati militari Usa hanno un margine di manovra nell’influenzare le decisioni di Casa Bianca e Congresso, ma difficilmente in questo caso premeranno per la guerra. Vista la ritrosia a impantanare la superpotenza in un momento in cui i fronti si moltiplicano e la cronica carenza di leve in Venezuela. Le manovre dell’attuale amministrazione statunitense – che bolla Maduro come “marionetta” dell’Avana e i governi di Venezuela, Cuba e Nicaragua come “troika della tirannia” – sono volte a stroncare l’asse “anti-imperialista” nell’arco sudamericano-caraibico forgiato da Chávez e Fidel Castro tramite una “massima pressione” che punta alla demolizione delle finanze dei due paesi e al loro isolamento politico.
Costretto all’angolo dall’offensiva degli Stati Uniti, da un lato Maduro continua a trincerarsi dietro le Forze Armate e dall’altro si mostra incline al dialogo. Delegazioni del governo e delle opposizioni del Venezuela si sono recate in Norvegia per trattare un’uscita dall’impasse con il governo di Oslo, mentre il Gruppo di contatto internazionale ha incontrato il presidente venezuelano a Caracas. L’apertura ai negoziati è stata usata da Maduro negli ultimi anni per prendere tempo e approfondire le fratture tra le diverse anime delle opposizioni, divise sull’opportunità di trattare con l’esecutivo. Se davvero negoziato sarà, potrebbe fare la differenza il peso delle sanzioni contro il paese che restringono il raggio d’azione del capo di Stato venezuelano.
Finché si tratta, un filo di speranza c’è.