UN’INCHIESTA SULL’ORIGINE DELLE MALATTIE MENTALI E UNA PRIMA RISPOSTA

 

 

 

 

 

Chiamarla “inchiesta”! Ci vorrebbero ben altri mezzi!

L’ipotesi che la guida (formulata a seguito di varie osservazioni, ) è questa:

Credo che la stragrande maggioranza della popolazione, pur colta…con titoli universitari o colta di suo, non si interessi di sapere niente delle malattie mentali e della loro origine; come non fossero un argomento di cultura che ci riguarda e che ha dei tremendi effetti pratici su esseri umani esattamente come noi! Pensate solo ai manicomi criminali.

Aggiungo, inoltre, che questo disinteresse persiste anche in persone che hanno un malato in casa.

Questo mi è stato confermato da una signora che conosce da vicino ben due casi in cui, i parenti di un malato mentale, non si sono mai chiesti,  nè l’hanno chiesto allo psichiatra, da cosa si origina questa malattia.


Una prima risposta a questa inchiesta è venuta da un breve incontro tra Minnie, Alma e Chiara e  Diletta Luna che è stato registrato e che riporto testualmente.

 

 

In ordine dall’alto: Alma, Chiara, Diletta Luna, Minnie

 

Qual è secondo voi l’origine della malattia mentale?

 

Minnie = Secondo me è originata da un grande dolore.

Una mancanza … non ho niente da dire.

Ho così poco da dire.

 

Alma = Secondo me la malattia mentale ha origine da uno stress continuo, da un carico eccessivo di responsabilità, senza tregua e senza poter vedere la fine degli impegni o delle proprie responsabilità.

 

Minnie= Ognuno di noi pensa a se stesso. Se penso a mio cognato c’è il nucleo di un’infanzia molto difficile, con una figura paterna che lui non aveva visto per tanto tempo, essendo suo padre prigioniero di guerra: è ritornato dalla prigionia senza soldi e senza niente, con la responsabilità di mantenere la famiglia. E lo faceva giocando a carte finché poi è entrato nel casinò di Sanremo. Mio cognato, poi, era un bambino pauroso e questo suo padre non lo tollerava, non tollerava che avesse timore di salire sugli alberi o paura di un cane. E soprattutto era succube del padre e succube della paura: il che, in questo caso, è la stessa cosa. Non sapeva andare in bicicletta, a 6 7 anni. So che si faceva la pipì addosso quando sentiva suo padre che arrivava a casa.

A questo punto, però, è necessario spiegare la storia un po’ più precisamente: nei primi cinque anni della vita del bambino, mentre il padre era prigioniero dei tedeschi, accanto lui, nella stessa casa, c’era lo zio, una persona equilibrata, molto affettuosa con i nipoti che lo hanno sempre amato con grande fiducia. A lui potevano affidarsi sempre: il contrario avveniva con il padre che era persona assolutamente imprevedibile per cui non si sapeva mai quale reazione avrebbe potuto avere.

Lui doveva anche sopportare il confronto con il fratello minore di cinque anni, totalmente diverso da lui:  non aveva paura di niente, era più libero e teneva testa al padre, mentre lui era sempre timido e pauroso

 

Chiara=  Metti che tuo cognato vedesse il padre e il fratello simili tra di loro e  uno si sente emarginato, non voluto e persino disprezzato. Si allontana e giura che “mai sarà come loro”: fosse solo per “non soffrire più così tanto” e nasce in lui uno straordinario bisogno di differenziarsi perché capisce che così facendo non si farà schiacciare del tutto.

Se era così legato al padre e al fratello, avrà sviluppato un temperamento abbandonico: per lui un abbandono, un rifiuto, poteva essere peggio della morte. Non lo so, naturalmente. Il brutto qui  è che non si sa niente della moglie.

Secondo voi è l’infanzia che determina la malattia mentale?

 

Minnie= non sempre l’infanzia, può essere anche un amore finito male, potrebbe essere un amore infelice su cui lui-lei ha puntato, e viene a mancare, indipendentemente dall’infanzia.

Chiara = secondo me, per quello che ho visto in alcuni casi, di cui uno è il mio, quando è così per esempio, ti muore il marito a 50 anni lasciandoti due figli piccoli: il trauma è così grave e ti viene la prima crisi. Ma questa è così grave che te la porti dietro tutta la vita, perché- questo abbandono totale, il marito che amavi appassionatamente, cui ti appoggiavi -….“riaccende”, riporta alla memoria come attuale, è appena successo, un abbandono antico del quale non ti ricordavi più (il legame che si stabilisce tra i due fatti, l’attuale e l’antico, è un legame di somiglianza).

 

Ma non basta: il trauma antico allora non l’avevamo potuto “vivere”, nel senso di masticare ed assorbire, assimilarlo, perché non ne avevamo gli strumenti, né emotivi né mentali, per poterlo fare. Col tempo è diventato una pietra nel nostro cervello, fissa lì, senza poterla espellere né ingoiare; comprime i nostri delicati tessuti mentali, subiamo disagi e sofferenze, ma, a quel tempo, non ne avevamo coscienza, non sapevamo neanche da che parte metterci a ricercare. Subiamo e basta. Diciamo che il mondo non era ancora, per il bambino, abbastanza reale per agire su di lui e dargli dei limiti …per parecchio tempo, inoltre, il bambino vede il mondo attraverso una nuvola, che ha la funzione di proteggerlo da stimoli eccessivamente forti – ma il discorso è lungo.

Quello che volevo dire era che queste due palle di fuoco, l’antica e la nuova, si giuntano e provocano il crollo psichico: implodiamo, invece di esplodere.

 

 

In un disturbo mentale, secondo voi c’è una componente genetica?

Minnie= per sentito dire, ho letto da qualche parte che se è infelice la madre, molto probabilmente lo è anche la figlia o il figlio. L’infelicità si trasmette da madre a figlio, da zio e nipote. Forse l’infelicità ha una matrice nel DNA. Forse un atteggiamento familiare che si ripete di fronte ai casi della vita (appreso cioè)

 

Chiara.= In una famiglia c’è sempre anche un motivo di imitazione dei vari membri tra di loro.

 

Alma= non so, non capisco niente di genetica.

 

Minnie = per esempio mio cognato ha reagito molto bene a questa infanzia, e dopo essere stato massacrato dal padre, “si è riabilitato davanti  ai suoi occhi ”..

 

Chiara = Questo straordinario cambiamento che lui ha operato nella sua persona, mi pare senza aiuto specifico, quindi ha richiesto ben altra forza e intelligenza, è stato per il suo cervello, un gigantesco sforzo probabilmente oltre il “sopportabile”. Ciascuno di noi ha un limite di sopportabilità oltre il quale non può andare e se si ostina “muore”. O si ammala gravemente come è successo a lui. E’ veramente una figura tragica. Ha  vinto di fronte a suo padre e a suo fratello, vogliamo dire “davanti al mondo”?

Ma ha ottenuto qualcosa per sé? Si è ucciso con la pistola che teneva nel cassetto del suo studio in quanto ufficiale della Guardia di finanza. Mi pare di capire che era anche nauseato, sconvolto dalla corruzione che aveva visto a Roma.

Quello che a me pare sia successo è che non è mai riuscito ad uscire dalla ruota nella quale la famiglia lo aveva infilato, come si fa con i ratti da esperimento: rifiutato dal padre, non ha potuto allontanarsi cercando in sé, nel suo carattere, nella sua sensibilità, un’alternativa di vita, un modello suo.  Ha lottato con forze gigantesche perché l’unica vera motivazione che lo guidava dalle profondità, era farsi amare dal padre. E aveva capito che o diventava uguale o mai l’avrebbe amato. Bisogna anche ricordare che fin da piccolo, con continui rifiuti di tutto quello che originalmente era lui, è stato reso profondamente succube: voglio dire che gli hanno spezzato i muscoli per reagire fin da piccolo. Lui ha fatto un’opera grandiosa, ma forse alla fine ha capito “che non ne valeva assolutamente la pena.”

 

Minnie = non abbiamo concluso nulla questo pomeriggio.

 

Chiara = ma esserci trovate e aver cominciato a conoscerci, a parlare, direi senza barriere, mi sembra un gran passo in avanti.

 

Alma = per me è stato un pomeriggio niente, non ho fatto nulla di quello che dovevo fare

 

Chiara = certo che c’è qualcosa di curioso. Sei arrivata elegantissima con un look da imperatrice, addirittura con una bellissima sciarpa che facevi penzolare da una spalla…senza farla cadere! Hai dichiarato solennemente, appena letta la traccia che avevo distribuito, che l’argomento non ti riguardava per nulla né ti aveva mai interessato, poi – posso sbagliarmi-sei stata quella che ha tirato fuori cose più personali, originali, insomma tue.

 

Se hai tempo, prova a ripensarci.

 

Da parte mia, per contraccambiare, mi chiederò dell’inutilità di questo scambio di opinioni e di affetti, ma voglio aggiungere che, comunque sia, l’utilità di questo pomeriggio non sarà “mai” immediata: la nostra testa e i nostri affetti procedono per successive stratificazioni. Aver potuto parlare spontaneamente e con intimità e “per nulla” (di concreto), a me è sembrato di stare in un bel giardino, in questa nostra società dove l’unico dio è l’utile e mai il gratuito.

 

(continua)

 

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1 risposta a UN’INCHIESTA SULL’ORIGINE DELLE MALATTIE MENTALI E UNA PRIMA RISPOSTA

  1. D 'IMPORZANO DONATELLA scrive:

    A me questa conversazione è parsa molto interessante. E’ un modo per riuscire a guardarsi dentro, anche se apparentemente non sembra servire a niente. Forse è questione di scarsa abitudine a parlare di se’, anche perché questi argomenti sono dolorosi. Per rifarsi a personaggi illustri che adoperavano questo metodo mi viene in mente Socrate e la maieutica( si parva licet…). I disegni sono magnifici e Mario deve assolutamente venderli a carissimo prezzo, oppure tantissimi a un buon prezzo. Ciao. Do

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