non del senso di un discorso, quello che mi viene
non vorrei si trattasse di una cosa mia
e nemmeno di un amore, non conviene.
Quando dico “parlare di Maria”
voglio dire di una cosa che conosco bene
certamente non è un tema appassionante
in un mondo così pieno di tensione
certamente siam vicini alla pazzia
ma è più giusto che io parli di
Maria la libertà
Maria la rivoluzione
Maria il Vietnam, la Cambogia
Maria la realtà.
Non è facile parlare di Maria
ci son troppe cose che sembrano più importanti
mi interesso di politica e sociologia
per trovare gli strumenti e andare avanti
mi interesso di qualsiasi ideologia
ma mi è difficile parlare di
Maria la libertà
Maria la rivoluzione
Maria il Vietnam, la Cambogia
Maria la realtà.
Se sapessi parlare di Maria
se sapessi davvero capire la sua esistenza
avrei capito esattamente la realtà
la paura, la tensione, la violenza
avrei capito il capitale, la borghesia
ma la mia rabbia è che non so parlare di
Maria la libertà
Maria la rivoluzione
Maria il Vietnam, la Cambogia
Maria la realtà.
Maria la libertà
Maria la rivoluzione
Maria il Vietnam, la Cambogia
Maria la realtà
Maria la realtà
Maria la realtà.
E poi, nella parte che segue, una parte del “carteggio!” che qualcuno avrà già letto nei commenti: li raggruppo per chi volesse seguire il dialogo e l’eventuale discussione in piena armonia. Le cose sul blog, nei Commenti, sono disposte così (visto che qui non ho cambiato ordine che sarebbe stato più logico!) : il primo testo che trovate è una risposta ad un testo (è il “commento”) precedente che pubblico sotto…e così via. Serve guardare le fate (le fate sempre! ma qui anche le date) e i destinatari che qui, fortunatamente sono solo due: Salvatore e Chiara. Faccio ancora fatica a districarmi nei “commenti”, come vedete, senza contare che i più mi si cancellano, naturalmente per “colpa” di questa macchina infernale…che sono io!
E quel che è peggio, si cancellano anche quelle di Donatella, nostra colonna…infame? Scusate, la citazione era obbligatoria (dal Manzoni, come sanno anche le pietre). Vi pre-dico che, però, Salvatore è in pole position a rubarle il primato, nel senso – calma! – che ci saranno “due colonne” e la casa starà su meglio. Nemo, colonna originaria e ferrea, si sta un po’ defilando per-dice lui…ma non sarà invece disaffezione?- eccesso di impegni, anche erotici.
Al solito le sottolineature sono mie.
Salvatore a Ch. 9 marzo di quest’anno
L’intervallo per la risposta è dovuto alla mia assenza da Milano. Sono stato al mare, a Calambrone, dal 2 al 6 marzo. Là non avevo il pc.
Non è facile seguire il tuo “flusso di coscienza”, anche se ogni tanto mi balena qualche parola chiave da cui mi illudevo di partire… prima di rendermi conto che tu più che una strada disegni un labirinto (nota di chiara adesso: senza uscita?). Partiamo dal rapporto musica/vita. A riguardarla a ritroso, la vita appare (certo ingannevolmente) come un film. Dico ingannevolmente, perché la vita è solo apparentemente lineare, in realtà procede in modo, appunto, labirintico o se vuoi discontinuo. Troppe sono le accelerazioni, le deviazioni, i vicoli ciechi, i salti, le svolte che abbiamo dovuto affrontare per non rendersi conto che non c’è un senso univoco nel nostro vivere. Nonostante questo, ti chiedo di accettare per un momento la finzione che la nostra vita sia come un film. Ecco, allora in questo film gioca un ruolo essenziale la colonna sonora, e lo gioca, a mio modo di vedere, perché è nella musica che si depositano i sentimenti allo stato puro, o se non vuoi chiamarli sentimenti, gli stati d’animo. E, bada bene, non si tratta di un depositare per archiviare, ma per ri-prendere, riattualizzare, rivivere. Quando dico che ci sono canzoni che hanno segnato intere fasi della mia vita, non intendo riferirmi unicamente alle esperienze sentimentali, ma alla totalità e direi all’integrità degli stati d’animo che in quella fase costituivano il mio modo di rapportarmi al mondo. Risentire “il cielo in una stanza”, per esempio, provoca in me una reale attualizzazione della parte di me adolescente, mi rimette in quella disposizione d’animo, mi fa in un certo senso annullare lo spazio e il tempo. Alcune canzoni brasiliane che tu mi hai fatto conoscere, se le risento, mi fanno ridiventare il giovane mezzo complessato e mezzo arrogante che ero ai tempi del nostro rapporto. Si tratta, come avrai capito, del ben noto fenomeno descritto magistralmente da Proust a proposito delle famose “madelaines”, solo che invece delle madelaines c’è la musica. E’ chiaro poi che se una particolare canzone ha connotato non solo un periodo ma anche un rapporto, allora il “viaggio” in quel rapporto quando senti quella canzone diventa istantaneo. Tutto ciò non ha niente a che vedere né con la bellezza delle canzoni che ti hanno segnato né tantomeno dalla maestria o peggio ancora dall’aspetto degli esecutori. Per questo a me dell’aspetto di Dalla non importava niente, come non mi importa niente dell’aspetto materiale di un simbolo, perché quello che contava era il “rimando ad altro” tipico di ogni simbolo. Ma forse su questo argomento ho indugiato fin troppo, e me ne scuso.
Però in questo momento mi viene a galla un’osservazione, e cioè che anche la musica può essere una strada per prendere coscienza di sé, una via di accesso non solo al nostro passato ma anche al nostro subconscio. Sai che cosa mi sta tornando in mente? non lo indovini? Mi sta tornando in mente il pianoforte. Ti ricordi? Il pianoforte! Ricordi i miei tentativi di imparare a leggere la musica? E tu che mi assecondavi, al punto che ti sei messa a ristudiare lo strumento per farmi sentire meno derelitto. Con la tua solita generosità. Ce l’hai ancora quel pianoforte? Non te ne sarai mica dimenticata? E te lo ricordi qual è stato uno dei tuoi ultimi regali, credo addirittura dopo la fine del nostro rapporto? Te lo ricordi il disco di Juan Manuel Serrat? Ecco, è quello uno dei tuoi ultimi regali. Buffo! Tutto ciò sta emergendo mentre scrivo, prima non mi rendevo neanche conto di quello che era depositato dentro di me… Scusa, mi sono dilungato veramente troppo.
Vorrei poter parlare di te, di quello che ti è successo e, a quanto pare, ti continua a tratti ancora a succedere. Mi sento un verme, ma non so da che parte cominciare, come se mi trovassi di fronte a una fortezza da espugnare, a un enigma da risolvere. Per molti troppi anni ti ho perso di vista, anche perché sei andata a vivere in Brasile, e quando gli amici mi hanno dopo tanto tempo riportato notizie sul tuo conto, io mi sono sentito come uno che non aveva capito un beato cazzo (scusa il termine). Mi ero da tempo creato una corazza che mi metteva al riparo dagli effetti di notizie come quelle della tua malattia. Mi ero abituato a sopravvivere nella mia cittadella arroccata, fingendo di stare in ascolto del mondo. In realtà mi ero abbondantemente autoanestetizzato per evitare di affrontare sofferenze al di sopra della mia capacità di sopportazione. Ti avevo conosciuto come una persona vitale, generosa, divertente, profonda, sensibile, a volte rompiballe. Non potevo accettare l’idea che fossi diventata psicotica, che è come dire: indecifrabile. Non potevo rassegnarmi all’idea di avere convissuto con una persona che non conoscevo, che apparentemente mi aveva aperto tutta se stessa ma che in realtà mi aveva presentato solo una facciata al di là della quale covavano problemi e bisogni da me non colti. Di colpo, dopo la notizia della malattia, mi eri diventata estranea, ti eri rivelata un enigma, il mio enigma. Intanto avevo messo su famiglia, mi ero sposato, avevamo la nostra Martina, avevo il mio lavoro, mi ero, come si suol dire, sistemato. Calato fino in fondo nella prassi e nei problemi quotidiani, avevo più o meno consapevolemte cancellato il mio passato, ma mi illudevo di averlo cancellato. Ho cercato di recuperarlo intorno alla seconda metà degli anni 80, ti ricordi? Ma di questo, se vuoi, posso parlare in una seconda “puntata”. Solo se vuoi. Come vedi, continuo ad osservare la “fortezza” da fuori, senza neanche fare un tentativo di darle la scalata, per non dire di espugnarla.
P.S. Per quanto riguarda Anna, non posso dire che stia attraversando il periodo pù felice della sua vita, per fortuna non tanto per motivi di salute (quelli sono superati) quanto per una serie di circostanze che qui sarebbe lungo elencare. Esaattamente un anno fa è morta la sua mamma, e questo, con mia meraviglia, ha determinato un abbattimento che ad un anno di distanza non è stato ancora del tutto superato. Dico con mia meraviglia, perché mia suocera è morta al suo centesimo anno di vita, quindi non ci poteva aspettare che potesse vivere chissà per quanto ancora. A questo aggiungi che uno dei fratelli dà un po’ i numeri, che un altro è un rompiballe ecc,, e puoi apire che i motivi di inquietudine sono diversi. Il rapporto con me… beh, non sarei il più adatto a parlarne, diciamo che procede con alti e bassi, molti bassi e pochi alti, ma comunque procede.
nota ch. Anna è la moglie di Salvatore, sono veramente felice che si sia rimessa e stia bene (“problemi di salute superati”) perché so da Salvatore che aveva fatto un numero inverosimili di interventi. Domanda cattiva a Sal : ma credi davvero che ci sia un’età per morire che ci consoli della perdita di una persona che era magari il nostro sostegno, magari in un rapporto reciproco, così raro, loro due, mamma e figlia, so che viaggiamo insieme, magari questa persona ti faceva sentire utile, in pensione non è sempre facile, e forse, essendo una mamma, come del resto è successo a me, magari era l’unica che la capiva senza tanti giri di parole? Io ho impiegato 12 anni a piangere la morte di mia madre, ho potuto farlo, c’è sempre un pretesto casuale, naturalmente, e l’ho anche pianta molto perché ho capito esattamente in quel momento, dopo 12 anni (la mia vita intanto era corsa di esperienze di tante persone che “”mi hanno amato””), ho visto chiaro che nessuno al mondo avrebbe mai potuto accettarmi-amarmi-capirmi e stimarmi come faceva lei.
E a te, Salvatore, quando la tua “bella bellissima mamma, soprattutto inimitabile in tutto!” è mancata, non è successo qualcosa simile? Certo vivevi lontano…
“Ognuno è terrone a qualcun altro.” (Luciano De Crescenzo) |
Sai che io non è particolari canzoni legati ad una storia d’amore, né ad un periodo particolare o no della mia vita, un film senza sonoro, un film muto di stimoli affettivi perché è questo soprattutto che è la musica. Tu ricordi cosa suonavano alla Grotta del Drago quando hai visto per la prima volta Lauretta? Ti confesso, anche se non è affatto gentile verso di lui, che negli ultimi anni non riuscivo più a guardare Dalla in televisione perché era ridotto in una maniera che mi faceva senso, probabilmente una persona disperata che si aggrappava alla religione e a qualche fuggevole amore; credo anche che il palco non si sopporti senza droga, l’impatto con il pubblico, cioè con un giudice senza pietà, deve essere terrificante e ci vuole un coraggio .. che forse l’essere umano da solo non trova. Lo sai senz’altra che la Magnani, tutte le volte che doveva entrare in scena faceva delle scenate tremende per non salire sul palco. Deve essere proprio quel “mi tremano le vene e i polsi”… perché “qui si parrà la mia dignitade” (o simile)!
“Dalla, la Magnani e altri, sono un simbolo, qualcosa che rimanda ad altro”: non sono capace di seguire questo filo, a me Dalla faceva una terribile pena, ma come persona, del resto non è certo il primo che con grandi capacità creative ha sentito il bisogno di distruggersi o suicidarsi lentissimamente, ma sistematicamente. Forse (e lo penso da tantissimo) la mia mente non è in grado di arrivare al simbolo: in questo momento non me ne viene in mente nessuno che per me abbia il valore del simbolo. Ho impiegato tre anni a fare una tesi su Gramsci, una tesi filosofica, se fosse stata storica sarei certamente ancora lì! Tu non so quanto tempo
A cominciare dalla terza liceo sono stata-fino alla fine dell’università-terrorizzata dagli esami ed ero più terrorizzata quanto più avevo studiato. Non è il tuo caso: tu hai fatto filosofia come navigare in barchetta su un mare che “teneva per te”.
Ma mi è venuta in mente una cosa sulle canzoni: ho due canzoni, forse direi tto: il juke box, la grande passione di quella macchina da cui uscivano canzoni che amavo e che potevo ballare (da sola, si capisce) .- da ragazzina ripetevo la stessa scena alla Botte, al porto vecchio, se te la ricodi: lì, a Parabiago, sentivo sempre sempre una canzone che era “Sai che bevo sai che fumo sai che gioco anche con l’amor”, di un cantautore mi pare pugliese famoso a quei tempi, la cantavo con il disco e credevo di vedere l’immagine del mio terapeuta (negato per il mestiere al punto che dico tranquillamente che senza di lui non sarei mai riuscita da sola ad ammalarmi) a cui cantavo il mio amore, ma so che in verità cantavo ad un’immagine di me stessa molto meno derelitta di come mi sentivo io. Pare strano, ma queste immagini di sé sognanti del delirio, ti mostrano come solo un film può fare, cosa vorresti essere senza averlo mai saputo e anche eventuali potenzialità che potresti lavorare. Ripetendosi questa esperienza di identità virtuale nelle varie crisi, nell’ultima a Milano, era già intorno al ’94 (la prima è del’ 76), quasi vent’anni di incubo ininterrotto, dicevo, nell’ultima a Milano sono riuscita ad afferrare “una soluzione” di tanti tentativi ripetutisi sempre uguali, che in qualche modo mi ha guidato, negli anni, ad essere quella che più o meno sono diventata e ancora sto diventando…quasi altri vent’anni…non dimostro certamente rapidità di apprendimento perché in fondo tutta la malattia ha avuto questo significato: riapprendere una serie di schemi mentali, che al contrario di quelli originari che mi portavano al suicidio, erano fatti per farmi sopravvivere e anche godere la vita per quello che è, per quello che dà-e toglie-ridà ri-toglie. Stante questo quadretto più una certa infanzia, da anni sono una persona felice e per questo stupisco il mio amico Nemo, cui la felicità pare “una parola grossa”. La mia vita invecchiando è “magnifica” al confronto e mi illudo che migliorerà: credo che avesse ragione il tristissimo Leopardi che cantava la felicità alla vigilia della festa e, nel mio caso, la felicità come venir meno di un incubo, anche se lui diceva di un dolore. In questo ultimo anno e mezzo la mia tanto decantata (da me) felicità è stata tormentata da tante cose al punto da trovare “troppo pesante” la vita. Ma so che è un momento ulteriore di costruzione di me stessa, o se vuoi di preparami alla morte senza rimpianti di non aver vissuto, o meglio di non aver realizzato me stessa che, a quanto pare, è l’impulso più imperioso che ho da sempre, che mi darà e dà una nuova felicità che è anche una speciale “solitudine” , così tipica degli psicotici che hanno vissuto “senza potersi identificare con gli altri, imitarli e tutto quello che ti succede nell’apprendimento a convivere”, da cui discendono tanti scontri ed equivoci di comunicazione anche con le persone che hai più vicine e più care. Ma questo riguarda ogni specie di “diverso”: credo che capirai perché anche tu sei stato un adolescente “diverso” e poi, forse anche un uomo abbastanza diverso anche se ben adattato. I classici “che la realtà lavedono, sono anche capaci di fare due e più due quattro ma gli dà un gran fastidio. Adesso so che non sei così: sereno e saggio…”la serena disperazione di Umberto Saba”, o così pare a me. Tanti abbracci entusiasti, se puoi dimmi qualcosa di Anna, Ch.
PS ma sai che in così tanti anni non abbiamo mai ballato una volta insieme…alt! abbiamo delle foto, non me lo ricordavo più, allora sei l’unico tra fidanzato e fidanzatini con cui ho fatto almeno “un” ballo, e pensare che nella vita avrei voluto 1. ballare; 2. cantare…se avessi avuto un “vero” amore mi avrebbe portato a ballare e poi avrebbe cantato con me, non credi che un vero amore avrebbe capito “anche” le mie esigenze?
Inviato il 27/02/2012 alle 18:58 da Salvatore a Chiara
Scusami per il ritardo. Una risposta un minimo sensata richiederebbe altro che il tempo che ho lasciato passare! Così magari mi affido anche io al metodo delle libere associazioni, forse mi rende meno gravoso il compito di organizzare le frasi. La prima osservazione che mi viene da fare è la seguente. Tu di me conosci tutto e niente allo stesso tempo. Io di te altrettanto. Tutto: perché ci siamo frequentati troppo a lungo per non aver sviscerato i nostri più reconditi pensieri, le nostre più palpitanti emozioni, le nostre speranze e i nostri desideri. Niente: non tanto perché siamo rimasti troppo a lungo silenziosi l’uno rispetto all’altra, quindi non tanto per motivi estrinseci, diciamo contingenti, ma per un motivo molto più profondo, un motivo che ha che fare con il processo di conoscenza/riconoscimento dell’altro. Mi rendo conto solo ora che in tale processo l’identità dell’altro (quindi non solo la mia nei tuoi confronti ma anche la tua nei miei) viene in qualche modo “piegata” ai bisogni e/o alle attese e/o alle proiezioni di chi si mette in relazione, in uno scambio di ruoli del tutto paritetico. Sicché la persona che abbiamo sempre creduto di conoscere risulta per metà un prodotto di una rielaborazione interiore. Tutto ciò non ha nulla a che fare con la sincerità o con la comunicazione, ha invece a che fare, a mio parere, con le strutture profonde della nostra psiche. Vedi? da presuntuoso quale sono sempre stato mi improvviso perfino psicologo adesso! Il fatto è che ci sono cose che noi non abbiamo il coraggio di confessare neanche a noi stessi, figuriamoci alla persona di cui vogliamo conquistare l’affetto o l’amicizia. Tutto quello che tu rievochi nel tuo discorso qui sopra è del tutto e definitivamente vero, ma ciononostante non esaurisce e forse neanche fotografa esattamente la mia personalità, ma per tranquillizzarti, ti dirò che neanche io saprei fare un discorso su me stesso che mi fotografi meglio di come hai fatto tu. E’ veramente deludente constatare come all’incremento degli anni anni che porto sul groppone non corrisponda un pari incremento della conoscenza di me su me stesso. Il che lascia ben capire quanto, a maggior ragione, sia lontana anni luce da me la capacità di cogliere o semplicemente di entrare in contatto con una personalità diversa da me. Troppi sono gli strati di cui siamo composti, troppe le variabili che casualmente sono entrate nella costruzione della nostra identità. Mi viene quasi da fare le pulci a Freud e dichiarare presuntuosamente che i livelli della psiche sono ben più di tre, forse trecento se non tremila… e a questo punto se fossi si Facebook ci mettere un “emoticon” o “faccina” sorridente (ironica). |
penso di rispondere con calma al tuo testo, come al solito molto bello: non ci si può far niente caro Salvatore, anche essendo uno come tanti altri miliardi di uomini che ci osservano da tutto il mondo e magari dai pianeti satelliti, stelle nuove e vecchie senza mai stupirsi di noi, di come siamo, in quanto uguali a tutti, è innegabile che scrivi molto bene e ti esprimi su te stesso come uno abituato a guardarsi dentro o come si dice, abituato all’autoanalisi. Del resto eri così anche a 14 anni quando per la prima volta ci siamo parlati un po’ più intimamente al campeggio a Realdo, ricordo perfettamente persino il posto, ma non so spiegartelo né so se c’è ancora, ricordo il tuo viso quella sera e il tuo modo di “essere” allora: eri un groviglio nero-così ti ho visto io- come tanti calimeri pigiati insieme, che si apriva in profondità insondabili e serrate, anche se avevi un gran bisogno di comunicare con qualcuno “che ti accogliesse” con tutta la tua esasperata sensibilità, e non solo, con un cumulo di pensieri pensati parlando con se stessi, nella propria mente solitaria, o forse addirittura isolata, che si allacciavano tra loro come un gomitolo tutto disordinato (un groviglio, appunto); e tu li tiravi fuori a fatica, diciamo così, vorrei dire a singulti, solo per dare l’immagine che ho di te allora nella mia mente, pronti ad uscire però tutti d’un fiato, ma “inchiavardati”, non so cosa voglia dire, ma dice meglio che “pressati sotto chiave”. Non repressi, come si dice, sembravi avere un buon rapporto con il tuo inconscio e le sue emozioni che ti affioravano spontanee… ecco, eri come uno che dopo aver rimuginato per anni e anni, trovasse uno sbocco al suo fiume che, a quel punto, obbligatoriamente, “andava di corsa inciampandosi qua e là tanto forte era l’impulso che lo spingeva”.
La mia non può che essere un’ipotesi ovviamente senza verifica alcuna- ma credo questa porta traballante che nella tua mente separava il conscio dall’inconscio facendotelo avere…non voglio dire “in gola” perché sarebbe troppo (così ce l’hanno gli psicotici) ma “in tasca”, a mano, (gli adolescenti sono così, peccato che poi tappino, lo dico io, non ascoltate per l’amor del cielo!), dicevo, quella porta che divide il conscio dal’inconscia, il fatto che la tua fosse “traballante” era (lo dico io con i miei schemi…) certamente la tua ricchezza più straordinaria, straordinaria a me che osservavo attenta, ma forse anche – dall’altro lato della moneta, quella che siamo tutti, cioè una moneta a più facce, anche se detto così è troppo meccanico, ma per capirsi- proprio quel fiume di emozioni fortissime (passioni, si direbbe) che sentivi liberamente, poi ti rendevano così difficile “gestirti” nella vita reale. D’accordo, eri il classico adolescente “bello e tormentato” e l’adolescenza oggi è passata per tutti noi. Forse è già passata anche ad i nostri giovani, disoccupati, precari con contrattini capestro…
L’adolescente che eri è passato, ma io credo fortissimamente che tutto quello che abbiamo vissuto è registrato nei nostri nervi (vorrei pubblicare un pezzo di un articolo di Freud che lo dice …molto meglio!! anche se io preferisco usare un linguaggio neurologico (sia chiaro, a lui non affatto estraneo, è un assoluto pregiudizio che Freud abbia guardato alla psiche senza cercare costantemente un supporto neurologico alle sue scoperte: dalla prima all’ultima sua opera è espressa la speranza che nel futuro le sue teorie un giorno potessero essere tradotte fisiologicamente);
allora, questo meraviglioso groviglio dei quattordici e quindici anni…fino più o meno a Lauretta nella Grotta del Drago, anni?… non può che essere dentro di te come un fuoco sotto la cenere, ma l’impressione che ho così da lontano (per questo uno di buon senso starebbe zitto e…in silenzio!) e che-forse per troppe sofferenze, per voler essere – giustissimamente- tranquillo e sereno dopo tante tempeste (parlo delle tue), ancor più che, tutti noi, ormai crediamo-erroneamente secondo me- che un giorno la nave arriverà in porto a questo ci avviamo il più dolcemente possibile evitando tutte le sofferenze possibili da evitare. Ma senza sofferenze e senza gioie felicità errori di innamoramento anche di un ideale o di un bel figo-figa, siamo morti.
”Erroneamente crediamo” perché la mente, se possiamo accettare di fare quello che è un vero lavoro, non ha porti, se non in quell’attimo in cui ci addormentiamo alla vita: inutile aggiungere “a mio parere”, o almeno spero fortissimamente che, a questo punto del blog e ancor più della nostra amicizia, sia chiaro che posso parlare solo di me…e fa già caldo!
Dicevo, l’ impressione che ho di te così da lontano, e che esprimo invece di zittirmi, come dovrei, è che hai “dovuto” per sopravvivere e, forse dovrai ancora (penso ad Anna, per quel poco che mi hai detto l’ultima che ci siamo visti) tenerti in acque tiepide e tranquille. E’ che il prezzo di questa serenità è aver messo (né potevi far altro, forse) troppa cenere su quella fiamma adolescenziale, o- come preferisco dire- sul nostro “bambino” “tutto meraviglia e stupore” come i giganti del Vico, con cui da sempre mi sono identificata- creatività a parte-ma per idiotizia. Giganti o bambini, con i loro impulsi violenti nel bene e nel male e con la loro logica, che non è quella della luce del sole, e che, per brevità dirò “alla Walt Disney”. Solo per fare un esempio: questa straordinaria separazione tra bene e male ci permetteva, anche da ragazzi, degli straordinari innamoramenti (anche per personaggi, diciamo “pubblici”…a proposito ti ricordi il tuo “quasi delirio” per Carmelo Bene…che io non ero in grado di capire, o le tue risate, divertentissime anche per un altro, che più che del film rideva alla tua allegria, mentre vedevi “Provaci ancora Sam” di W.A.?) e paralleli rifiuti basati su un odio violento anche quando non manifesto. Allora, la nostra fatica immane era avvicinare quanto più possibile questi estremi ed arrivare ad una “integrazione” di noi stessi che ci era così necessaria per vivere e sopravvivere mentalmente, ma se negli anni “ripuliamo troppo le contraddizioni” e le affondiamo lontanissime nella mente dopo averle devitalizzate, a mio parere sentiamo freddo, un freddo mentale che “uccide” la creatività o quello che tu chiami “depressione” senza essere depresso. “La vita non può essere che ricchezza di contraddizioni”: cito, “senza memoria”…, un articolo filosofico del vecchio Mao-adesso Zé Dong…mi pare- articolo che, sempre senza memoria, dovrebbe essere quello “Sulla prassi”, uno dei suoi testi filosofici che conoscerai.
Un aneddoto forse più chiaro: una volta mia madre (il lavoro impazzante dei fiori, per lei dalle 5 alle 24, e la bambina-Pia appena nata- e la casa e la vita senza svaghi – tua mamma capirebbe benissimo) va dalla sua dicendo che non ce la faceva più di tanto lottare…e lei, mia nonna Chiara, in onore della quale mi chiamo così sul blog, ha risposto “figlia, pregati sempre di lottare perché quando non lotti più vuol dire che parti” per l’aldilà sottinteso.
Questo stesso aldilà ce lo possiamo fare qui e starci molto bene: abbiamo bisogno solo di un paio di pantofole. Ma guarda che io non ho niente contro le pantofole che sono esseri insostituibili nella nostra vita, ma forse dialoghiamo senza esplicitare un presupposto di fondo, il mio e il tuo che è certamente diverso dal mio, come diversa dalla tua è stata la mia vita e come ciascuna vita, anche quella di un tenero mollusco, sia diversa da quella dei suoi simili.: io parlo della mia vita e come vorrei continuasse. Tu parli della tua vita e di come…e qui non so…continuasse così o cambiasse? La mia è una “scelta”, con mille virgolette, certo dettata dalla mia storia precedente così come la tua. Una volta Don Alberto Ablondi mi parlava (davanti al feretro di mia madre) del famoso “libero arbitrio cattolico”: diceva che senz’altro esiste, ma che man mano che viviamo, ancor più ad una certa età, le nostre possibilità di scelta si ristringono sempre di più perché le scelte precedenti ci hanno condizionato verso una strada e non un’altra.
Io, poi, di “scelte” nella mia vita ne ho viste ben poco: se potevo scegliere, ed era raro, la scelta era tra un male e il meno peggio.
Sai cosa c’è: per troppo aver sofferto, ad un certo momento, ci rifiutamo di soffrire fino in fondo sia gioie e dolori, sia i nostri ma soprattutto quelli che riguardano gli altri, ci rifiutamo di fare quel lavoro che è “immedesimarci” nell’altro e poi tornare a noi “rifacendoci” dopo “aver assimilato l’altro”.
Ma questo lavoro mentale è quasi impossibile o totalmente impossibile, quando, l’altro, ci è estremamente vicino come forse può essere per te Anna, tua moglie, così martoriata (questo il sentimento che ho provato io). Ma non è neanche questo: alla nostra età (tu sei più giovane) le nostre energie cominciano a calare
Come vedi, nonostante l’ottimo proposito di meditarci un po’, ho preferito riflettere con te, però al mio modo, forse impossibile a seguire, che è costruire un discorso “per associazione libera”, che è però anche l’unico modo di intuire qualcosa, specie di un altro perché si lavora con entrambi i pedali (conscio-inconscio) come suonando un piano, diciamo così. Con questo non voglio assolutamente dire di aver potuto intuire qualcosa di te dopo “quasi” quarant’anni che non ci parliamo intimamente, a non essere quella volta al “bar bello”, quello sull’angolo Indipendenza-Castel Morrone, che chiamiamo così per distinguerlo dal “bar brutto” dove andiamo al mattino a prendere il cappuccio). Quella volta ci siamo parlati, ma quasi solo di me e del libro…- ti erano piaciuti gli spazi bianchi che M. invece odiava dandomi un bel conforto- perché tu-benedetto sotto tutti i cieli-eri riuscito a leggere quei due “tomi” tutti scritti così come questo commento!
Ecco, vorrei però dirti (e questa era “l’unica” ragione per cui ho iniziato a scrivere!) che credo tu abbia sottovalutato le parole (fiducia…) citate da quel famoso psicoanalista a proposito dell’età matura: non erano scritte a caso. Certo questi termini necessiterebbe di una “meditazione” approfondita sulla propria vita attuale ammesso che uno possa farlo in questo momento e che, anche, ne abbia voglia, o meglio, sia spinto a farlo da un bisogno suo o disagio anche vago, che sempre da lontanissimo, ti parlo immersa nella Via Lattea che ho tutta per me in questo momento, alla mia sensibilità c’era, magari un po’ nascosta nei tuoi scritti. Mi auguro che si possa capire qualcosa. Non mi dimentico che sono su un blog per cui scrivo a te con tutta la passione esclusiva necessaria a capire e parlare, ma ci terrei molto (scopo del blog) che anche altri trovassero qualcosa, anche un filo storto, di utile personale. Mah! Qui c’è un assoluto sole e anche con le mie ossa reumatiche credo di poter uscire a prendere un po’ d’aria. baci baci e buona giornata e una buona notte anche migliore per quando mi leggerai. ciao ch.
Ecco, devi avere pazienza con me, se puoi, perché come immagini benissimo, ho fatto anche un po’ di più di quello che posso nel cercare di “seguirti” in questo scritto come nell’altro anche se in quello non volendo invadere, mi sono limitato ad un suggerimento che a mio modo di vedere forse avrebbe potuto dirti molte cose, ma è come per gli schemi, lo sai, servono solo a chi li ha fatti, non ad altri, così le mie parole e la mia esperienza. Ahimé dovrai leggere e non ti sarà magari simpatetica neanche una virgola, al massimo una virgola e mezza che è davvero troppo poco, abbi pazienza “ma crescerò” (è vero) e se ci parliamo un po’ assieme, se vuoi, un minuto solo, crescere insieme attraverso anche degli scritti, sono sicura che ci capiremo meglio: a parte il passato, davvero lunghissimo, vissuto assieme, ma sul presente, anzi dal ’76 (Brasile)…oggi cercare di capirti è stato un po’ come leggere in una palla di cristallo senza avere dati e purtroppo (anche meglio così) non sono nata indovina. Ricordati soltanto il mio grande affetto in così tanti anni, quasi un familiare, affetto che ha anche “accelerato” in un certo periodo, durato tre anni, in cui tutti e due eravamo troppo bambini e assai sprovveduti su come sarebbe andata la vita…che è poi andata. Abbi fiducia che riuscirò a capire qualcosa come del resto, mi permetto di dire, forse sbaglio, ti-mi-ci siamo sempre capiti! -chiar
Bella ( Gaber ).