Il viaggio che ho intrapreso a dodici anni nel mio mondo interno mi ha affascinato come il mondo esterno non riusciva a fare.
Ero meravigliata dai giochi che la mente fa per non scoprirsi, dai bluff nei quali rimaniamo irretiti e dalla lotta sorda contro ogni modificazione che vogliamo introdurre.
E anche dalla terrificante lentezza necessaria perché una modificazione avvenga veramente.
Mi accorgevo, nello stesso tempo, che uno stato d’animo depressivo, una speciale stanchezza, una malattia fisica, facilmente mi portava indietro a stadi anteriori, anche se non inesorabilmente.
All’epoca studiavo l’Odissea e mi sentivo come Ulisse che non riusciva, e non voleva, ritornare a Itaca per troppe avventure.
Anch’io non volevo limiti.
Dovevo esplorare la mia mente in ogni recesso nascosto, ogni terra e ogni isola, ogni mare lontano fino ad arrivare al regno dei morti che per me significava il dominio dei sogni.
Un bisogno di infinito molto grande e anche un coraggio che non si fermava davanti a niente (sostenuto com’era da una onnipotenza così significativa!), mi spingevano fino ai limiti della conoscenza umana e della mia mente.
Ma, dopo tanti anni e tante esperienze, Ulisse torna dalla sua sposa.