Parla Mario Bosco, antalgologo e ricercatore dell’Università Cattolica di Roma “La terapia del dolore? |
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Mario Bosco è ricercatore dell’Istituto di anestesia e rianimazione dell’Università Cattolica di Roma e lavora al Complesso Integrato Columbus come terapista del dolore. Il termine tecnico che lo designa ha un bel suono greco: è un antalgologo, un medico specializzato nella cura del dolore.
Dottor Bosco, come si definisce clinicamente il dolore? A quali condizioni patologiche si associa in prevalenza il dolore cronico? Dato che non serve a “guarire”, che cosa si ottiene con la terapia del dolore? In cosa consiste la terapia del dolore? Chi pratica la terapia del dolore in Italia e da quanto tempo? Ma i medici di base quanto ne sanno? Cosa pensa, in base alla sua esperienza clinica, della ricerca americana che indica le donne come maggiormente colpite dal dolore ma anche più capaci di sopportarlo? (11 aprile 1998) |
di Claudia Morgoglione di Claudia Di Giorgio Terapia IN RETE Università
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This article was written on 23 set 2013, and is filled under Neuro News.
Oppiacei – L’abuso precede l’uso
(a cura di Angelo Sghirlanzoni)
I dati sono impressionanti e il governo inglese ha deciso di affrontare il problema dell’uso improprio di farmaci come fosse una priorità. Di qui l’intenzione di riclassificare l’antidolorifico tramadolo ponendolo in classe C e di introdurre precise regole per custodirlo e limitarne l’uso. Il farmaco potrà ancora essere legalmente prescritto dai medici, ma non ceduto ai pazienti da parte di altre persone. Il provvedimento è giustificato da un uso improprio del farmaco che ha provocato un aumento del numero dei decessi: dagli 83 del 2008 ai 154 del 2011. Ma l’abuso di prescrizioni di oppioidi non si limita al tramadolo.
Da una indagine recente risulta che negli Stati Uniti il 2% delle prescrizioni di oppiacei, per un totale di 4,3 milioni ogni anno, è riconducibile ai cosiddetti doctor shoppers, ossia a coloro che si rivolgono a più medici per avere “legalmente” dosi multiple del farmaco desiderato.
Nella prima stima nazionale eseguita negli Stati Uniti sulla ricettazione di oppioidi, risulta che i cosiddetti “doctor shoppers” ottengono in media 32 ricette all’anno da dieci differenti medici. Nel 2008, sono state distribuite dalle farmacie americane circa 146 milioni prescrizioni di antidolorifici oppiacei, in genere una sola per medico, ma un paziente su 143 ottiene in media 32 ricette da dieci medici diversi.
Negli USA il problema si sta ampliando in modo esponenziale. Contemporaneamente all’aumento delle prescrizioni, l’abuso di oppioidi ha provocato un incremento della mortalità da overdose di 4 volte in 10 anni: dai 4000 decessi del 1999 ai 16.651 del 2010. Attualmente la morte da sovradosaggio di oppioidi per uso antidolorifico è due volte più comune di quella dovuta a sovradosaggio di cocaina e di eroina.
In una ricerca che ha esaminato 146 milioni prescrizioni di oppiacei effettuate durante il 2008 provenienti dal 76% delle farmacie americane, risulta che mentre dal 1997 al 2011 la popolazione degli Stati Uniti è aumentata del 16% (McDonald e Carlson, 2013), la quantità di ossicodone venduto dalle farmacie ha visto un incremento del 1.259%. La quantità di idrossicodone, metadone, fentanyl e morfina, ottenuti in farmacia, si è accresciuta rispettivamente del 356%, del 1099%, del 711% e del 246%. Dalla metà degli anni 1990 le ammissioni ai Pronto Soccorso dovute a cattivo uso di oppiacei è aumentata di circa 10 volte, mentre la mortalità da sovra-dosaggio è passata dai 4000 eventi del 1999 ai 16.651 del 2010.
Ormai l’avvelenamento da medicinali è la prima causa di morte accidentale negli Stati Uniti e l’abuso di analgesici ed antidolorifici miete più vittime degli incidenti stradali. Il primato della mortalità da antidolorifici si è verificato nel 2008. In quell’anno, 41 mila americani sono deceduti a causa di avvelenamento da farmaci contro 38 mila per incidenti stradali. Di questi 41 mila, il 90% è morto a causa di uso improprio di medicinali. Il 77% di queste morti è stato accidentale, il 13% ha deciso di suicidarsi.
Questi fatti, comuni a molte nazioni sviluppate o in via di sviluppo, rendono la prescrizione antidolorifica una minaccia per la salute pubblica proprio mentre si assiste ad una riduzione dell’abuso di eroina e di cocaina.
COMMENTO – Negli ultimi anni abbiamo assistito ad una rapida evoluzione del trattamento del dolore con una svolta in favore dell’utilizzo di oppiacei; sono stati sviluppati e messi in vendita composti sempre più potenti senza che la terapia del dolore entrasse a far parte dell’insegnamento medico.
Voci influenti hanno proposto il dolore come il “quinto segno vitale”. Molti hanno sottolineato come lo scarso controllo delle sindromi dolorose sia di per sé un problema di salute pubblica.
Si corre però il rischio di passare direttamente dal sotto-trattamento ad un potenziale “eccesso” di trattamento e sono aumentate le prescrizioni di oppioidi nei pazienti con dolore cronico non canceroso.
In Italia siamo appena usciti, o stiamo per farlo, da un atteggiamento di considerare quasi “peccaminoso” l’uso antidolorifico di oppioidi e già rischiamo di abituarci a prescriverne troppi e con troppa facilità, con indicazioni scorrette. Dimentichiamo che ogni terapia, soprattutto se non razionalmente valutata, comporta effetti collaterali, anche inaccettabili.
Spesso nei centri di trattamento del dolore non c’è il problema di “fare diagnosi”; i pazienti arrivano con diagnosi già fatta, frequentemente con l’etichetta di “sindrome dolorosa da causa non nota”, dizione questa che può comprendere patologie definite dagli internisti “sindromi somatiche funzionali” oppure conosciute come “disordini somatoformi” o “disturbi algici”, nel linguaggio psichiatrico.
Del resto, quasi sempre le sindromi dolorose mettono in gioco fattori psicologici che rivestono ruoli importanti nell’esordio, gravità, esacerbazione o mantenimento dei sintomi. Addirittura, è nozione generale che la simulazione o la dissimulazione si manifestano nell’1,5-10% dei pazienti con dolore cronico.
Perciò la diagnosi di “sindrome dolorosa cronica” va preceduta da un approccio psichiatrico-psico-dinamico che porti a eludere l’impiego di strumenti impropri quali appunto gli oppioidi e la miriade di stimolazioni, locali, midollari spesso utili solo a curare l’ansia del medico e del paziente. Bisogna tener conto dell’articolo di McDonald e Carlson, come degli altri studi che arricchiscono la stampa internazionale per evitare di uscire dalla padella del sotto-trattamento del dolore per cadere nei tizzoni dell’eccesso di trattamento e della dipendenza da oppiacei da trattamento improprio.
Bibliografia: McDonald DC, Carlson KE (2013) Estimating the Prevalence of Opioid Diversion by “Doctor Shoppers” in theUnited States. PLoS ONE 8(7): e69241. doi:10.1371/journal.pone.0069241.