ORE 16:53 AVREI VOLUTO OFFRIRVI IL RACCONTO DELLA GINZBURG: “LUI ED IO” COSI’ COME LEI LO HA SCRITTO (1963—PREMIO STREGA)—MA HO TROVATO SOLO QUESTO LAVORO DI NUNZIA ATTARDI FATTO BENE (COMPLIMENTI!) CHE LO UTILIZZA PER UN DISCORSO SULLA COPPIA—VI PIACERA’ MIEI CARI COPPIATI O VOI CHE INVECE—ILLUDENDOVI—“AVETE SCELTO LA LIBERTA’?”

http://www.letteratu.it/2012/01/20/lui-ed-io-natalia-ginzburg-analizza-la-coppia/

 

LUI ED IO DI NATALIA GINZBURG

Lui ha un grande senso dell’orientamento; io nessuno. Nelle città straniere, dopo un giorno, lui si muove leggero come una farfalla. Io mi sperdo nella mia propria città; devo chiedere informazioni per ritornare alla mia propria casa; Lui ama il teatro, la pittura e la musica: soprattutto la musica. Io non capisco niente di musica, m’importa molto poco della pittura e m’annoio a teatro. Amo e capisco una sola cosa al mondo, ed è la poesia

Natalia Ginzburg scrive il racconto Lui ed io inserito poi nella raccolta Le piccole virtù; undici testi tra autobiografia e saggio, dove la scrittrice racconta cose, episodi di vita vissuti, sensazioni, gesti.

In questo racconto c’è una donna e un uomo o meglio un uomo e una donna, partendo già dal titolo, la cui scelta di anteporre l’uomo non è fatta a caso;  leggendo Lui ed io infatti ne viene fuori una candida, malinconica e insieme divertente analisi di coppia dove una delle due parti, quella maschile, ha un forte ascendente sull’altra metà.

Le relazioni tra i sessi non sono mai facili; come in tutte le cose della vita, l’equilibrio è anche qui sbilanciato: la donna, l’io narrante, antepone i desideri, le smanie, le voglie e i difetti del compagno alle sue, confrontandole e adattandosi alle prime in vista di un sentimento che chiude gli occhi di fronte alle diversità per salvare l’unione.

Se gli racconto come si è svolto un mio pomeriggio, lo trova un pomeriggio tutto sbagliato e si diverte, mi canzona e s’arrabbia; e dice che io, senza di lui, non sono buona a niente… Credo che gli piaccia che io dipenda, per tanti aspetti, da lui.

Nelle parole della Ginzburg, nei suoi ricordi, è tutto un continuo “lui sa ,lui fa, lui dice, lui ama…” ed un “io non so, io non conosco, io non sono capace”.

C’è da domandarsi dove sia l’amore in tutto questo, per quale assurda ragione una persona creda di dovere tutto all’altro e nulla a se stessa, di vivere in una realtà dove l’io è sempre subalterno, dove costantemente l’altra metà della mela non aiuta a risolversi, a superare la propria incertezza, il proprio senso di colpa ma anzi non fa che schernire e canzonare ogni minima azione.

Sono tre le possibili considerazioni di fronte a questo atteggiamento: la prima è che ci si deve volere davvero poco bene per permettere che qualcuno altro denigri costantemente il proprio modo di essere, di vivere, di sentire. Questo è un male.

Oppure si deve amare troppo l’altro tanto da oscurarsi, da credere che  se esiste l’errore, indubbiamente non apparterrà che alla propria parte di coppia e che l’uomo da amare  merita così tanto di essere amato, considerato, ammirato da non dare spazio alla ribellione personale, alla lotta per l’affermarsi. Anche questo è un male, forse peggiore del primo, forse a quello consequenziale.

Infine, la riflessione che sconvolge il tutto: la Ginzburg nell’analisi affettuosa del suo poema coniugale se la ride sottilmente delle convinzioni del compagno, delle sue stranezze, di ciò che lui crede essere giusto e che agli occhi della donna in realtà non è; perchè ama di lui anche queste convinzioni che lei ha aiutato a rendere forti per compiacerlo in un misto di affetto e di compassione; non sarebbe così senza di lei dunque, benchè lui creda nella dipendenza opposta.

Se gli ricordo quell’antica nostra passeggiata per via Nazionale, dice di ricordare, ma io so che mente e non ricorda nulla; ed io a volte mi chiedo se eravamo noi quelle due persone, che hanno conversato così gentilmente nel sole che tramontava; che hanno parlato forse un pò di tutto, e di nulla; così giovani, così educati, così distratti, così disposti a dare l’uno dell’altra un giudizio distrattamente benevolo; così disposti a congedarsi l’uno dall’altra per sempre, quel tramonto, a quell’angolo di strada.

 

 

Scritto da  il 20 gennaio, alle 15 : 14 PM 

 

 

 

 

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